1. Premesse

Nel corso di Antropologia giuridica da me tenuto nell’anno accademico 2007-08 mi ero deciso di presentare finalmente ai miei studenti la vicenda del grande fuorilegge Zanzanù (1576-1617). In quell’occasione avevo sommariamente descritto il mio interesse e i miei primi passi verso una ricerca che, sin dagli inizi, si prospettava complessa e non priva di difficoltà.
Con l’aiuto dell’amico Giovanni Mometto e di alcuni collaboratori e studenti approntai nel corso di alcuni mesi una quantità notevole di documenti inerenti la biografia e la storiografia del fuorilegge.
Si trattava non solo di offrire quanto era sino ad allora emerso dagli archivi che, direttamente o indirettamente, ci parlasse di Giovanni Beatrice (detto Zuan Zanon e poi conosciuto come Zanzanù). Che non era poca cosa, ma che, come spesso avviene per simili ricerche, offriva accanto a momenti documentati in maniera più che soddisfacente, tracce esili o addirittura evanescenti per altri versanti di una biografia, che non avevo esitato a definire lunga, in quanto dilatata dal protrarsi di un mito che era giunto sino ai nostri giorni.

Si trattava in realtà di procedere alla classica operazione di decostruzione e di successiva ricostruzione, in quanto quasi tutta la documentazione inerente il fuorilegge era di carattere giudiziario, prodotta dalle istituzioni che per circa quindici anni lo perseguirono in maniera spietata e, soprattutto, avvalendosi di narrazioni che di certo non indulgevano al chiaroscuro.
In precedenza avevo presentato ad un convegno tenutosi nell’Oristanese nell’ottobre del 2002 un primo profilo di Giovanni Beatrice (Storia di un uomo che divenne bandito). Si trattava in realtà di un punto di partenza da cui il corso avrebbe dovuto muoversi.

La documentazione presentata venne accompagnata pure da una serie di interventi degli stessi studenti e di alcuni miei collaboratori che parteciparono al forum. E in quella sede, a conclusione, avevo avanzato alcune Considerazioni penultime in cui cercavo di riassumere i risultati del corso. Vale la pena di riprendere quanto allora scritto:

“Nell’mminenza della presentazione del lavoro sin qui svolto, che avverrà la sera di sabato 28 marzo 2009, credo sia opportuno avanzare alcune, brevi, osservazioni, sui risultati raggiunti.
1) Sul piano didattico il corso è risultato sostanzialmente positivo. La maggior parte degli studenti ha risposto con entusiasmo, affrontando alcune questioni di fondo che erano state prospettate sin dall’inizio. Va aggiunto che forse ad influire sulla resa da parte di alcuni può avere inciso la notevole mole della documentazione offerta; una mole che poteva indurre a trascurare le possibilità che il sito offriva nella determinazione della scelta dell’argomento da affrontare. Nonostante le apparenze, la documentazione non si presentava difatti come unitaria e comportava, da parte dello studente, la predisposizione ad assumere un atteggiamento attivo, di cernita preliminare per così dire. La rinuncia a prospettare una quantità significativa di documenti avrebbe certamente reso più agevole l’esame, ma nel contempo avrebbe pure comportato il venir meno del proposito iniziale, che era essenzialmente quello di creare una sorta di archivio virtuale, entro cui ognuno avrebbe dovuto muoversi con interrogativi e curiosità.
2) Sul piano della ricerca il sito ha raggiunto indubbiamente dei risultati positivi che possiamo così enucleare:
a) La biografia di Zanzanù è risultata certamente più ricca di documenti; molti  spazi vuoti sono stati colmati. Il contesto entro cui essa si muove è stato inoltre descritto con maggiore attenzione.
b) Il ritrovamento della pace del 1603 è stato significativo, anche perché ha potuto illuminare indirettamente alcuni degli aspetti successivi della vicenda e il ruolo di altri personaggi come, ad esempio, quello di fra Tiziano o il dubbio coinvolgimento di Zanzanù in alcuni degli episodi che gli erano stati attribuiti.
c) La fase della battaglia e gli ultimi giorni di vita di Zanzanù sono stati notevolmente approfonditi. Si è individuato la persona che lo uccise, ma pure si sono chiariti alcuni aspetti della vicenda collegati alla sottrazione delle armi.
d) I tratti della famiglia di Zanzanù sono tracciati con maggiore chiarezza (sua data di nascita; i tre matrimoni del padre; il coinvolgimento del Riccobon Sette nel suo secondo matrimonio)
e) E’ apparso più chiaramente nelle vicende del 1609, con l’agguato condotto da Alessandro Remer, il tradimento perpetrato da un componente della banda, e il ruolo del mercante Alberghino Alberghini in accordo con il Provveditore Benedetti.
f) La ricostruzione della nascita del mito, a partire dai primi episodi di violenza, mi sembra maggiormente delineata.
g) La biografia lunga di Zanzanù ha carattere essenzialmente popolare (come dimostra l’inchiesta di storia orale condotta da Anna, Francesca e Laura) e deve certamente il suo perpetuarsi all’esistenza dell’ex-voto nel santuario della Madonna di Montecastello. Non ci sono contaminazioni dovute al riemergere dell’attenzione della cultura dotta nei confronti del bandito.
h) Nonostante tutti i distinguo che si possono avanzare, Zanzanù rientra a pieno titolo in quel fenomeno storiografico che Hobsbawm ha definito banditismo sociale. Sono infatti del tutto evidenti gli appoggi che gode da una parte della popolazione locale (fautori). Dimostrazioni indirette sono la stessa commissione dell’ex-voto e quella dell’iscrizione in pietra a Salò. E se si vuole pure aggiungere: i dubbi avanzati nel corso dell’inchiesta del 1617 a proposito degli autori dei numerosi morti registrati tra la comunità: ma ancora gran parte delle disposizioni assunte dai provveditori per costringere le comunità a combattere il bandito. La tipologia dei reati da lui commessi sembra certamente appuntarsi sul notabilato locale.
i) A proposito di quest’ultimo aspetto va pure aggiunto che (anche a causa di quel fuorviante dispaccio di un provveditore che parlava della presunta esistenza in Gargnano di due fazioni nemiche) che l’epopea di Zanzanù nasce quasi certamente da un episodio di vendetta (probabilmente collegata alla madre) e non tanto da una delle numerose faide che contrassegnavano all’epoca i diversi territori della Repubblica. Zanzanù compie il primo omicidio in maniera plateale, durante una mostra di soldati. C’è poi la pace e quindi l’uccisione del padre da parte dei Sette; da qui si potrebbe parlare di una catena di vendette che si concluderà solo nel 1607-08 con l’uccisione di Giacomo Sette.
3) Sono rimasti in ombra e comunque ancora da chiarire del tutto alcuni altri aspetti:
a) l’autore del quadro, che pure si è individuato in quel sorprendente autoritratto. Chi è? E’ Giovan Andrea Bertanza? Ma quanti Bertanza operavano all’epoca? Quando venne di preciso commissionato il dipinto? E quando venne poi disposto nel santuario?
b) Le origini della vendetta iniziale rimangono purtroppo ancora sfocate. Così come va pure chiarita meglio la fisionomia della famiglia Sette di Maderno.
c) Non è ancora del tutto chiarito se ci sia una connessione tra la faida di Salò (questa sì vera e propria faida) e la serie di vendette condotta da Zanzanù. Mi riferisco ai suoi esiti finali.
d) E’ certo che Zanzanù non ebbe un effettivo ruolo nell’omicidio del podestà Ganassoni. Va però chiarito se esistevano effettivamente delle relazioni tra il nostro bandito e la famiglia Ceruti (avversaria dell’Alberghini).
e) Non ci fu certamente agguato il 17 agosto 1617. Ma che cosa trattenne per un giorno intero Zanzanù sui monti di Tignale?
Risultati, dubbi e vuoti sono comunque inevitabili nella ricostruzione di una biografia che è data in gran parte da fonti di tipo repressivo, non solo calate dall’alto, ma pure prodotte in sintonia con la volontà del notabilitato locale di sbarazzarsi di una presenza minacciosa e comunque invasiva. E, non dimentichiamo, che la stessa biografia, al di là dei vuoti e dei chiaroscuri ha il grande merito di inserisi significativamente nella grande vicenda del banditismo cinque-seicentesco. “

Negli anni successivi ripresi la ricerca che decisi finalmente di pubblicare, tralasciando volutamente il biennio 1608-1609, che in parte ripresi, sempre in websideofhistory, nel corso Fuorilegge e cacciatori di taglie (anno acc. 2010-11).

Apparve così, nel 2011 il volume Zanzanù. Il bandito del lago (1576-1617) che sorprendentemente offriva risultati decisamente nuovi ed inaspettati rispetto a quanto si era raggiunto in precedenza.
In particolare la ricerca era riuscita a chiarire molti dei punti che avevo allora indicato come irrisolti:

  • l’autore del grande dipinto del santuario di Monecastello è apparso essere, al di là di ogni ragionevole dubbio, Giovan Andrea Bertanza che è, dunque, ‘l’uomo che guarda’ in quel gruppo di soldati posto in basso a destra.
  • La ‘scoperta’ del personaggio di Giacomo Sette, figlio di Riccobon Sette, di Vigole di Monte Maderno ha chiarito una possibile relazione con l’aggressione che Giovanni Beatrice compie nei confronti di Francesco Sette (fratello di Giacomo), anche se rimanevano oscuri i motivi del lungo conflitto che si sarebbe acceso tra le due famiglie.
  • Si è accertato in maniera lampante l’estraneità di Zanzanù rispetto all’omicidio del podestà Ganassoni. Un coinvolgimento che venne architettato in particolare dal mercante Alberghino Alberghini e dal provveditore veneziano. L’intermediario che nella fase cruciale della vicenda si presenta davanti agli ambasciatori bresciani per proclamarne l’innocenza potrebbe essere fra Tiziano Degli Antoni il guardiano del monastero di San Francesco di Gargnano.
  • Le interconnessioni tra lo scontro accesosi tra alcune famiglie di Salò (Alberghini, Ceruti, Gnecco, Arrighi) e il nostro fuorilegge apparivano più chiare e documentate, anche se nel volume non venivano del tutto affrontate, in quanto si erano soprattutto manifestate nel biennio 1608-1609, lasciato volutamente in sospeso. Si accennava però alla presenza di Alberghino Alberghini e Alessandro Remer (nonostante fossero entrambi banditi) a Salò nei giorni in cui l’Avogadore di comun inviato dal Consiglio dei dieci istruiva il processo per l’omicidio Ganassoni.
  • L’agguato (da parte del Badoer) non avvenne e nel volume si seguiva un’ipotesi che poi però ho potuto meglio approfondire alla luce di altri documenti.
  • È emerso il ruolo della pistola di Zanzanù che finì nelle mani del provveditore Badoer.

Dopo la pubblicazione di Zanzanù, il bandito del lago la ricerca è proseguita ed è approdata a due saggi che appariranno tra non molto, ma di cui si offre in questa sede una prima stesura. Altri aspetti sono emersi, di notevole rilevanza:

  • si è accertato che la famiglia Beatrice possedeva un fontico a Riva (in territorio arciducale) tramite il quale praticava il commercio dei cereali e il contrabbando di grani dal grande mercato cerealicolo di Gargnano. In un processo istruito nel 1598 Giovanni Beatrice, insieme allo zio Giovan Francesco, è accusato di praticare tale attività e viene riportato pure il suo interrogatorio.
  • dai registri matrimoniali di Fornico (parrocchia posta sopra Bogliaco) è sorprendentemente apparso il matrimonio di Giovanni Beatrice. La moglie è Caterina Pullo, sorella del chierico ucciso da Giacomo Sette. Appare dunque chiaro il coinvolgimento dei Beatrice nel conflitto con i Sette e l’aggressione compiuta nel 1602 contro Francesco Sette.
  • L’ultimo viaggio di Zanzanù è stato ricostruito con esattezza, così come quello del provveditore, rendendo assai probabile l’ipotesi che il fuorilegge intendesse lanciare una vera e propria sfida nei confronti del notabilato locale.

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