6. Una voce dai pozzi

Rinchiuso in una nuova cella dei pozzi, Alvise Bon rivolse ripetutamente negli anni seguenti una serie di suppliche ai Capi del Consiglio dei dieci. Suppliche che, a causa di una forte opposizione interna al consiglio, vennero respinte sia nel 1590 che nel 1591. I cosiddetti pender (sospensione della decisione per la mancanza della maggioranza richiesta) ed infine il rifiuto esplicito suggeriscono la prevalente ostilità nei confronti del patrizio veneziano.
Nel 1594 Alvise Bon ricorse nuovamente ai Capi del Consiglio dei dieci esprimendo con una nuova supplica tutta la sua disperazione e chiedendo di poter rivedere i figli e di ricorrere ad una persona per badare ai suoi interessi economici.
Il Consiglio dei dieci, su proposta dei tre Capi, accolse questa volta favorevolmente la supplica del patrizio, rinchiuso nelle prigioni del Consigli dei dieci da circa otto anni. Allegata alla decisione pure un’attestazione di un canonico di San Marco, in cui si dice esplicitamente del rifiuto opposto dalla famiglia Trevisan ad ogni forma di perdono e di pace. Così come altra testimonianza simile del Patriarca di Venezia Lorenzo Priuli. La documentazione fa emergere il ruolo politico e giudiziario del Consiglio dei dieci nell’imporre una logica punitiva della giustizia, ma pure una sottile e più nascosta dialettica di equilibri e di antagonismi tra i diversi lignaggi patrizi. La concessione della pace da parte della famiglia Trevisan avrebbe probabilmente agevolato la concessione di una pena più mite o il trasferimento di Alvise Bon in un carcere meno disagevole, in attesa di una possibile liberazione.
Si riportano pure le suppliche del 1590 e del 1591, con le relative delibere che non ottennero la maggioranza prevista per il loro accoglimento.

Parte e supplica del 1590:

1590 23 luglio in Consseglio di dieci

Capi

Che sia data libertà alli Capi di questo Conseglio di poter far venir alla presentia loro una volta al mese ser alvise Bon che è nelle preggioni di esso Conseglio, condennato in vita, accioché con tal commodità possi, sì come ha humilmente supplicato, parlar con li suoi et dar quelli ordini nelle sue cose che sono necessari per la conservatione di esse. Et questo per anno uno prossimo solamente.

— 7 — 7
— 4 — 4 2/3
— 2 — 2

[allegato]

Illustrissimi et Eccelentissimi Signori

Ricoro a piedi delle Vostre Signorie Eccelentissime io povero et infelice ser Alvise Bon con questa mia, dalla qual conosceranno quanto bisogno son le cose mie, accompagnatte da sì insopportabil miserie che Iddio guardi ogni fedel cristiano, per lo che fin hora essendo andatto in sì grande ruina et esterminio quel poco de facultà che mi atrovavo per sustentation de quelli poveri orfani de mei figlioli et mia, la qual essendomi quasi affatto statta usurpatta, né havendo io in questi inferni et sepulture modo di poter negotiar le cose mie, suplico le Vostre Signorie Eccelentissime ad esser contente di concedermi gratia che possi una volta o due al mese andar di sopra a parlar con li mei, come meglio mi farà bisogno, aciò possi dar qualche ordine per la recuperation di questa poca di povertà; della qual gratia confido prima nel Signor Iddio et poi nella bontà et humanità delle Vostre Signorie Eccelentissime, che non mi serà negatta, essendo licita et honesta. Et io fra tanto pregarò il Signor Iddio per la conservation delle Vostre Signorie Eccelentissime et tuti li benefattori alli quali de tuto core mi raccomando.

Parte e supplica del 1591.

1591 21 ottobre In Conseglio di dieci

Capi

Proposero di novo la parte che pendeva alli 23 luglio 1590 di dar libertà alli Capi di poter far venir alla presentia loro una volta al mese ser Alvise Bon che è nelle preggioni di esso Conseglio condannato in vita et come in essa parte. Et furono

— 9 —- 8
— 5 —- 6 2/3
— 0 —- 0

[allegato]

Illustrissimi Signori

Ritrovandomi io Alvise Bon servitor di Vostre Signorie Eccelentissime già cinque anni sepulto in queste pregioni, fatto infermo del corpo per il patimento oribile che io faccio et spogliato anco di quella poca di robba che mi attrovavo, per non poter ordenar le cose mie, essendo passi quarantaotto mesi che io non ho né veduto, né parlato con alcuno delli miei, vengo humilmente a suplicar Vostre Signorie Eccelentissime che per le viscere del Signor vogliono metter parte nel suo Eccelso Conseglio che io possa almeno una volta al mese comodamente veder li miei per poter haver questo poco di solevamento all’animo et per poter ordinar quanto necessariamente bisogna per quel poco di facultà che mi attrovo, accioché possa sustentarmi in queste miserie et finir questa misera vita, fino che piace al Signor Dio et alle Vostre Signorie Eccelentissime, racomandandomi con tutto il core alla sua pietà, sperando che non mi mancarano di questa gratia così giusta, conforme alla charità che usano verso ognuno.

Decisione definitiva (dic. 1591)

Dopo alcuni mesi la ‘parte’ venne ripresa e lo spostamento di un voto ‘non sincero’ determinò il rifiuto all’accoglimento di quanto proposto nella supplica.

1591 18 dicembre in Conseglio di dieci

Capi

Proposero la terza volta la parte che pendeva alli 23 luglio 1590 et alli 21 ottobre passato di poter far venir alla loro presentia una volta al mese ser Alvise Bon che è nelle preggioni di esso Conseglio condannato in vita, videlicet come in essa parte et furono

—– 5 —– 5
—– 7 –/– 8 preso di non
—– 3 —– 2

Decisione del Consiglio dei dieci del 1594.

Una delibera quella proposta dai Capi del Consiglio dei dieci, volta ad accogliere finalmente quanto richiesto da Alvise Bon e che lascia comunque emergere una forma di pietà e di comprensione nei confronti di un uomo che si era macchiato di un crimine passionale, spinto dal richiamo dell’onore. Ad incidere, molto probabilmente, le attestazioni presentate in cui si fa esplicitamente notare come egli abbia ripetutamente ed inutilmente richiesta la pace alla famiglia Trevisan.

1594 a 28 zugno in Consiglio di dieci
Capi

Ha inteso questo Consiglio dalla supplicatione hora letta del nobil nostro ser Alvise Bon fo de dominus Alessandro Procurator, condannato in vita in preggion, le angustie et tribulationi sue per andar massime in sinistro tutte le sue cose per la detta sua preggionia. Onde conviene alla pietà di questo Consiglio essaudirlo in quella parte che possi servir solamente a sollevation delle cose sue familiari. Però
L’andarà parte che sia data libertà alli capi di questo Consiglio che possano quando occorerà et in tempo che siavi assistenti al tribunale, dare ordine che possa il detto nobil homo ser Alvise Bon esser condotto di sopra et presente uno delli Capi predetti possi riveder li figlioli et trattar colla madre et con altri delle cose sue domestiche solamente, come è predetto.

— / — 13
——— 1 2/3
——— 2

[allegato]

Supplica di Alvise Bon

Una supplica dai toni accorati che fa emergere la disperazione di un prigioniero rinchiuso in una delle più dure carceri di Palazzo Ducale: quelle del Consiglio dei dieci. Una supplica, comunque, che sembra far intravedere un sottile filo di speranza, anche se Alvise Bon, a diversità delle precedenti, pur di ottenere quanto richiesto, riconosce la terribile condanna che gli è stata inferta.

Illustrissimi et Eccelentissimi Signori Capi

Io infelise Alvise Bon mi ritrovo otto anni et mesi sono sepulto in questa oscurità, infermo d’una infiagione che se mi è sparsa per tutta la vita, privo d’ogni speranza di redemptione et così opppresso che non posso vedere alcun delli mei et mei figlioli in particolare, né ordinar le cose mie, le quali sono andate in questo tempo che mi ritrovo pregione in estrema roina, per il che mi ritrovo privo d’ogni sustanza et ridotto in estrema necessità et in tanta disperatione d’animo che se le Vostre Signorie Illustrissime per charità non mi soccorrono, temo che oltra la perdita certa del corpo, al quale io più non penso, che vi convenirò anco lasciar l’anima.
Però io, con quel maggior et più efficace affetto che può uscir da suggetto pieno d’ogni calamità, le supplico che vogliano, in quel meglior et più securo modo che parerà alla loro prudenza, proveder ch’io sii posto in loco dove possa veder li mei figlioli, già tanto tempo non veduti, né da me caramente abbracciati, et insieme che habbi modo di poter ordinar le cose mie, delle quali son stato spogliato, per ricuperation delle quali mi bisogna informare persona che lo possi fare col mezo et braccio della giustitia. Et perché le s’assicurino che io non ho altro fine che questo che gli adimando, reverentemente gli dico che quando io possi ottenire questo mio giusto desiderio, mi contento anco di stare dove mi attrovo, ma con questa privatione che non è inclusa nella mia sentenza, né humana appresso qual si voglia giustitia, né io lo posso patire, né alcuno delle Vostre Signorie Eccelentissime lo deve permettere.
Io son espedito, né la giustitia pretende da me cosa alcuna, stii fermo il rigore della mia sentenza che io mora in una pregione, ma habbi luoco la pietà et charità nel petto di Vostre Signorie Eccelentissime, sì che possi in capo a cento mesi respirare con così poca consolatione; et respirando salvar quest’infelice anima per la quale il Signor nostro ha pur voluto morir in croce.
Mi butto alli suoi piedi et con le lacrime di sangue le supplico a quest’opera pietosa che mi basterà per consolatione in questi pochi de giorni che mi restano di vita, offerendomi per ricompensa pregare il Signore per la prosperità di questo serenissimo Dominio. Gracie.

=> PAGINA SUCCESSIVA