6 Maria Kuhweiner

Maria Kuhweiner, nativa del Wolsberg in Carintia, suonatrice girovaga di chitarra, moglie a Giuseppe Costa di Vicenza, si aveva unita nel mese di luglio prossimo passato a Giacomo Gabbardo, suonatore pur girovago di violino, all’oggetto di esercitare la sua professione, dacchè il marito giaceva in allora in questi arresti politici.

Era nel mercoledì 10 luglio che verso le ore 11 pomeridiane si recava ella col suo compagno nella osteria di Trovaben alle Canove, dove erano vari giovinastri, fra quali certo Pietro Canevarolo, vetturale di qui, che, approfittando del loro suono, si mise a ballare con altri suoi compagni.

Terminato il suonare, il Canevarolo con due de’suoi amici raggiungeva la Kuhweiner che col compagno sortiva di là, ed esibiva ad ambedue i suonatori di pagar loro la cena.

Accettarono questi l’invito, e se ne andarono tutti e cinque alla osteria dei tre garofoli, ove mangiarono dell’arrosto e qualche altra piccola cosa; indi passarono alla vicina caffetteria Bolognin in piazza, ove ciascheduno prese un sorbetto, e sempre il conto veniva pagato dal Canevarollo.

Erano allora quasi le ore 3 dopo la mezzanotte, e la Kuhweiner proponeva di restituirsi alla propria abitazione in Santa Corona, quando il Canevarollo, presala sotto il braccio se le offeriva di accompagnarla a casa, prendendo la direzione della piazza, ed innoltrandosi per la stradella delle Morette, mentre il Gabbardo cogli altri due li seguiva lentamente e a qualche distanza, discorrendo fra loro.

Erano il Canevarollo e la Kuhweiner giunti al secondo volto di quel viottolo quando il Canevarollo, che mai fino allora le aveva tenuta parola d’amore, sciegliendo quel luogo che per essere oscuro pei doppi volti ed angolo divergente offriva campo al suo disegno, la chiedeva volesse accondiscenderlo a commercio carnale.

Si rifutava la donna e onde garantirsi dalle sinistre intenzioni di lui che la stringeva con lascivi abbracciamenti, chiamava a soccorso gli altri compagni, a cui egli intimava tosto di ristarsene, colla minaccia che altrimenti gli ucciderebbe.

Arretratisi quelli, si adoperava allora il Canevarollo onde sfogar la sua libidine su quella donna, e tenendole alzate le gambe, faceva tutti gli sforzi possibili onde riuscir nell’intento, che però non potea aver luogo stanti le di lei opposizioni, nulla ostante ch’egli la minaciasse di morte con una brittola, però chiusa a serramanico, e che alla Kuhweiner riuscì di toglierla destramente dalla saccoccia del veladone alla parte sinistra del petto.

Narra ancora la Kuhweiner che il Canevarollo la tenne in quell’atto afferata pel braccio sinistro per quasi mezz’ora, che quando si mise a gridare la percosse sulla bocca, che le chiuse ancora con la mano, e replicandole le minaccie di ucciderla se facesse rumore, scarmignandola stranamente nella persona, e battendola violentemente contro il muro.

Che uno dei compagni del Canevarollo, vedendo gli ostacoli ch’egli incontrava nella sua impresa, si avvicinò per aiutarlo, ed afferrandola per le spalle ed al collo, la teneva sempre ferma colla faccia rivolta al muro, mentre il Canevarollo, ripigliando un secondo tentativo, la teneva a sé avvitichiata colle braccia, facendo tutti gli sforzi possibili per ottener il suo intento.

E che anche in questo tentativo non ebbe a riuscire, stantechè, per quanto le permettevano i violenti stringimenti di que’nerboruti, dimenadosi ella e contorcendosi per quanto poteva, impediva una effettiva consumazione, per cui limitavasi il Carevarollo a corrompersi fra le di lei coscie e le parti pudende, donde affaticato e stanco ristavasi, lasciandola tutta lacera nelle vesti per le restistenze che gli opponeva, ed intimandole un perfetto silenzio sopra quanto era accaduto, e minacciandola nella vita se avesse osato farne parola a chichessia.

Aggiunge poi la Kuhweiner ch’ella non conosceva nemmeno di nome li due compagni del Canevarollo, e che sapeva il nome di quest’ultimo soltanto perché dopo il fatto era andata dal giovine di bottega del Bolognin ad informarsene.

Ch’ella avea accettata la cena offertagli dal Canevarollo in compenso del suo suonare alla osteria del Trovaben, come suole avvenire ai suonatori girovaghi, ma che mai avea potuto subodorare nel contegno del Canevarolo ch’egli avesse una mira illecita verso di lei concepita.

E che in quanto al suo compagno Gabbardo ella non sapeva esternare se quando lo avea chiamato a soccorso egli se ne restasse dal difenderla o perché avesse avuta parte nella trama cogli altri compagni, o perché alla invece temesse egli di qualche sopraffazione per parte di loro, dappoichè dopo il fatto di quella sera ella si era da lui separata senza nemmeno tenergli parola sull’accaduto, sospettandolo pel suo contegno uomo di condotta equivoca e simulata.

Questo Gabbardo, che durante il fatto se ne stava a capo della stradella, se non vedeva al dire suo quello che dal Canevarollo si faceva sì per l’oscurità dell’aria, sì perché la conformazione materiale della strada che a metà formando un angolo, e divergendo la retta linea non puossi da chi sta al mezzo vedere quelli che ne sono a capo, e viceversa, corrisponde però la Kuhweiner per tutto quello ch’egli potea vedere o conoscere nel modo seguente.

Anch’egli dice che non conosceva né il Canevarollo, né i suoi compagni e se accettava la cena, lo faceva perché riteneva che ciò fosse in compenso del suonare, com’è costume ai suonatori girovaghi.

E che mai s’era accorto di alcuna sinistra intenzione per parte del Canevarollo sulla sua compagna, se non quando fatto il volto delle Morette la sentiva chiamarlo a soccorso, e che allora sospettando e comprendendo ciò che ben succedeva, avvanzava il passo per raggiungerla, ma ne veniva impedito da quei due compagni del Caneverollo, che attraversandogli la via si lasciava imporre dalle parole: “Come ella la staga qua che sarà megio per ella”.

Allora vedendosi egli impossibilitato a superare una forza maggiore alla sua, deliberava di stare a vedere come andava a terminare la cosa, nel qual frattempo udiva un rumore nella contrada, e per quanto l’oscurità glielo permetteva, un muoversi confuso di persone, senza distinguer atto o intender discorso, che alla fine moveano tutti verso di lui, ed allora udiva il Canevarolo che diceva “Sta maledetta no la mi ha volù dar gnente”, e la Kuhweiner che si lagnava contro di lui sul modo con cui l’avea trattata.

Allora la Kuhweiner e il Gabbardo si riducevano alla propria abitazione, e qui termina osservando ambedue che quei tre pure l’accompagnavano, supplicandola continuamente che volesse osservare un perfetto silenzio sull’accaduto, al qual effetto le prometteva il Canevarolo denari e robe.

Aggiunge poi la suonatrice che nel giorno dopo veniva visitata in casa sua da una donna che si diceva moglie del Canevarolo, e che la pregava di non voler far male a suo marito col palesarlo, promettendole un Napoleone d’oro ed altre robe in compenso delle sofferte ing[iur]ie e stracciamenti di vesti a cui andò suggetta in quell’incontro, ma che ella si rifutò di ricevere.

Tali sono in sostanza le deposizioni della Kuhweiner e del Gabbardo fatte dinanzi alla polizia e ripetute da ambodue dinanzi alla regia pretura in Valdagno, stantecchè qualche giorno dopo il fatto se ne andavano in Recoaro, ove in allora per l’affluenza de’forestieri li richiamava l’oggetto della loro professione.

Chiudesi finalmente col far conoscere che la regia delegazione dice sottrattosi il Canevarollo alle disposizioni da lei emesse sul suo arresto su di che tuttora pende riscontro, dipingendolo intanto per uomo dedito alla scostumatezza e violento.

Per la fedina criminale apparisce il Canevarolo condannato una volta ad un anno di carcere per libidine contro natura e per grave trasgressione di polizia contro la costumanza pubblica, e che per difetto di prove legali gli veniva sospeso il processo una volta in titolo di stupro violento in Giustina Nicolazzo, ed una volta per attentato stupro violento in Catterina Panigaglia.

La Kuhweiner poi viene dipinta di costumi poco plausibili e dedita all’ubriachezza, per cui non gode favorevole opinione.

Estratto del protocollo di consiglio tenuto nella sessione 31 gennaro 1840, presenti li signori Fostini facente funzione di presidente, Borgo, Marchesini, Galanti, Zannella, Cassetti consiglieri, Scarsellini segretario, Ballardi protocollista di consiglio.

Atti d’investigazione in titolo di attentato stupro violento ai danni di Maria Kuhweiner Costa, a sospetta opera di Pietro Canevarollo, arrestato.

Esposte le risultanze della investigazione, esternò il relatore il seguente

Voto

Fra le condizioni giuridiche dell’attentato al stupro violento quella pure si esige che l’azione intrapresa con prava intenzione presenti tutti gli estremi del particolare delitto che si va ad intraprendere, meno la effettiva esecuzione del medesimo.

Nello stupro violento poi stabilisce la legge per estremo essenziale che la donna sia messa in istato di non poter resistere alle libidinose voglie dello stupratore, senza riguardo che ciò segua o per minaccie pericolose, o per violenza effettivamente usata, o per artificio diretto ad istupidire i sensi, purchè sia uno dei mezzi dalla legge contemplati.

Ciò posto, venendo ora all’applicazione della legge al fatto, non riscontrandosi nelle minaccie del Canevarolo quelle minaccie che potessero incutere un fondato timore ed un male di pronta esecuzione, perché fatte con brittola a serramanico e che alla donna riusciva di toglier al seduttore, e mancando nella forza effettivamente usata quel grado di violenza che potesse mettere la donna in istato da non potere resistere, stantechè abbastanza valida era la difesa ch’essa opponeva.

Da ciò deriva che il Canevarolo appalesi bensì il desiderio di usar carnalmente con donna di scorretto vivere, ma che non seppe o non volle metter in pratica tutto ciò che valer potesse a farla inchinare a’suoi desideri anche contra valido pronunciato di lei dissenso, ragione per cui se questi mezzi gli mancarono, non poteva avverarsi il concepito atto delittuoso, e se potendolo se ne asteneva dall’usarli: egli stesso veniva così di sua volontà a cessare dalla delittuosa intrapresa.

Il relatore propose quindi

1) di desistere in sede criminale da ogni ulteriore procedimento per mancanza di estremi costitutivi il delitto di stupro e

2) di rimettere alla locale pretura nob. la posizione coll’abito e brittola in presentazione, acciò nei limiti di sue attribuzioni conosca e giudichi se nelle azioni addebitate al Canevarolo, o di lui compagni, siavi argomento di procedere sia sotto il caso di mali tratti, sia sotto quello delle ingiurie e pubblica scostumatezza.

Richiamatasi dal signor presidente la votazione, il consigliere Borgo si mostrò di diversa opinione, e per suo avviso riteneva che il fatto presentasse gli estremi dell’attentato stupro violento, per quello che, stando alla deposizione della dolente, convalidata da quella di un testimonio, il Canevarolo avrebbe posto in opera tutto ciò che tendeva alla consumazione del delitto.

Diffatti egli, colle pericolose minaccie e colla effettiva violenza, tentava di sfogare le libidinose sue voglie, ed a quegli atti si corrompeva.

La lacerazione dei vestiti a quella donna dimostra la resistenza fatta allo stupratore, e fatto riflesso alle preghiere di lui di non accusarlo, promettendo alla stessa donna denari e robe, ed alla successiva offerta fatta alla medesima dalla moglie dell’imputato di un napoleon d’oro ed altro, purchè non denunziasse il marito, danno tali circostanze appoggio all’accusa per cui esso consigliere Borgo, ritenendo delitto d’attentato stupro violento il fatto processato, apriva contro il Canevarolo, capace d’altronde a simil genere di delitto per le precedenti sofferte inquisizioni e condanne, la inquisizione pel sudetto titolo in istato di arresto, requirendo il locale regio commissariato superiore di polizia per l’esecuzione e traduzione a queste carceri.

I consiglieri Galanti, Zannella e Cassetti si uniformarono al parere del proponente consigliere Borgo, e persisendo il consedenti nella già esternata rispettiva opinione fu conchiuso ad maiora contra votum di ritenere delitto d’attentato stupro violento il fatto di che trattasi e di aprire [l’inquisizione] al confronto del legalmente indiziato Pietro Canevarolo, vetturale di qui, requirendo il locale commissariato di polizia per la di lui cattura, e traduzione a queste carceri.

Nota

All’imperial regio commissariato superiore di polizia in Vicenza

Si ricerca uffiziosamente codesto imperial regio commissariato superiore di far arrestare e tradurre a queste carceri criminali Pietro Canevarolo, vetturale in questa città, sendosi in di lui confronto aperta la speciale inquisizione in titolo di attentato stupro violento.

Vicenza, 31 gennaio 1840

Scarsellini segretario

Referato finale

Nel 31 gennaio 1840 a maggioraza di voti si segnava l’arresto di confronto al vetturale Pietro Canevarolo per accusa di stupro violento sopra girovaga suonatrice di chitarra Maria Kuhweiner, d’anni 30, moglie a certo Giuseppe Costa, il quale, nel luglio 1839, epoca dell’avvenimento, trovavasi politicamente carcerato, ragione per cui la Maria di lui moglie erasi infrattanto accopiata a certo Gabbardo di Valstagna, suonator di violino.

Il fatto d’onde ne venne l’accusa nel referato in pezza XIV di cui a dovuta reminiscenza se ne rinova lettura al Consiglio, leggendosi poi anche l’estratto del corrispondente protocollo di consiglio in pezza XXIV.

Assente l’accusato e di niun effetto le annesse circolari, nel 14 luglio dell’anno successivo si riponevano gli atti in archivio, da cui poi si traevano nel 20 dell’aprile ultimo passato, quando per riferta del carceriere lo si sentiva consegnato agli arresti nel dì precedente a mezzo dell’ispettore delle guardie di pubblica sicurezza.

Costituito sommariamente dichiarò ben ricordarsi come in una delle caldissime notti del luglio 1839, trovandosi all’osteria Trovaben, in quella vi capitasse certa suonatrice girovaga di chitarra in compagnia di sconosciuto suonator di violino, ove si ballò alcuni waltzen.

Disse che giunta la mezza notte e finito il suonare ed il ballo, egli si avvicinò alla donna chiedendola se il compagno fosse il marito di lei, e che avendogli essa risposto che il marito lo avea prigione per rissa.

Egli allora le soggiunse che avrebbe volentieri fatto su lei le veci di marito in quella notte, al che sorridendo, essa gli rispondeva che aveva più bisogno di ristorarsi con cibo anziché di marito, ma che peraltro avrebbe essa dopo assecondato il suo desiderio.

Disse che, tratto da questa lusinga, egli la conduceva alla trattoria dei tre garofoli assieme al compagno di lei ed a certo Francesco Baracca, che era suo conoscente, essendovi col Baracca altro giovane che egli non conosceva.

Disse che dopo la cena sortirono da quella trattoria, che egli si poneva ai fianchi della donna, la quale, quando venne su questa piazza desiderò reficiarsi con un sorbetto, e quello preso, la chiese ove essa intendesse condurlo, al che essa gli rispondeva che l’avrebbe condotto al di lei alloggio nella casa del vetturale Gambarelli; ma egli allora le soggiungeva che in quella casa non vi sarebbe andato perché era troppo conosciuto, ma piuttosto la avrebbe condotta in uno stanzino dietro alla bottega da caffè rimpetto alla locanda del cappello.

Disse che persuasa la donna di andare in questo luogo, egli entrava con essa nella stradella delle Morette e giunti a capo di quella, vedeva che la disegnata bottega da caffè era chiusa.

Disse che allora tornava indietro, e quando fu alla metà di quell’oscuro viottolo, stante li due porticati sovraposti, egli si sentiva desiderio di compiere il suo disegno, ed invitata la donna a prestarsi, essa si rifiutava, dicendo che quello non era luogo addatato, ricordandogli anche la presenza dei compagni che la metteva in soggezione, e verso i quali al dir suo non sarebbe stata disposta dei suoi favori.

E qui osserva l’accusato che interpretando egli questo discorso come uno di quei soliti complimenti delle donne di quel carattere, caldo come era dal vino e dai cibi, insistè egli presso la donna acciò permettesse che su lei si sfogasse, ma essa, ora con un pretesto, ed ora con un altro, cercava scansarsi.

Disse che allora per siffatti pretesti si illanguidiva sua fantasia e subentrava una specie di sdegno, ragione per cui la prendeva per un braccio e stingendola la scuotteva dicendole: “Capisco buzarona che adesso l’hai magnà e bevù no te me vo’ dar parte”. Disse infine che ciò accadeva in mezzo a’que’due portici, e che frattanto li compagni, immaginando forse ciò che non succedeva, se ne stavano fermi a qualche distanza.

Tale il fatto da lui narrato, dichiara che pochi giorni appresso se ne andava a Milano, e di là poi nella Svizzera, sperando migliorare sua sorte; che ben presto se ne disingannava, e era anzi per rimpatriare, quando sua sorella Rosa lo avvisava come presso il tribunale si agitava contro di lui un’accusa per via di quella suonatrice di chittara, quando allora gli si presentava alla mente le angustie del carcere altre volte sofferte per via di donne, e quindi non sapeva risolversi al ritorno.

Ed aiutato dalla speranza che infrattanto la giustizia avrebbe verificata la verità del caso, si pensò dilazionare, ma ultimamente, non potendo più resistere a quel clima ed a quelle fatiche ed al desiderio di rivedere la patria, se ne ritornò.

E nel mentre era intenzionato di presentarsi volontario al giudizio da cui era certo di una assoluzione, le guardie lo arrestarono poche ore innanzi al tempo da lui disegnato per la presentazione, ed in prova del proponimento che aveva di presentarsi volontario al carcere, introduce la sorella e l’avvocato Ferrari, come quello che colle sue lettere lo consigliava al rimpatrio ed alla volontaria presentazione.

Corrisposto dalla sorella e dall’avvocato Ferrari sul proposito di presentarsi, e favorito sugli accidenti di quella notte colla marcata donna dai testimoni Baracca e Moli, che erano a lui compagni, i quali, standosi a pochi passi dal punto di soffermo sotto il porticato, escludono qualsiasi alterco e grido d’aiuto per parte della donna, fu assoggettato a costituto ordinario in base a ciò che la donna aveva attestato, e che attestato pure aveva il di lei compagno Gabbardo.

E comunque le escussioni fossero rafforzate dal carattere dell’accusato, pur troppo capace a questo genere di delinquenze, e rafforzate pur fossero dal laccerato vestito esistente in presentazione, e dal piccolo coltello ricurvo che la femmina vuol avergli levato dai vestiti allorchè, al dire di lei, alla violenza accoppiava la minaccia, pure l’inquisito non si smosse dalle sue asserzioni e, negando aver mai posseduto quel coltello che la femmina presentò in giudizio, rispetto al lacerato vestito osserva come, per la sua vetustà e poca consistenza, ogni leggier tocco poteva lacerarlo.

Presento al giudizio il vestito per le opportune osservazioni, e presento poi anche il piccolo coltello a ricurvo, quindi osservo che in queste or narrate risultanze consiste tutto ciò che vi ha di essenziale in questa inquisizione, la quale fu chiusa il dì 28 maggio ultimo passato.

L’inquisito fu tranquillo in carcere e rispettoso inanzi il consesso. Il di lui morale non diede motivi ad osservazioni, e comunque il suo fisico si mostri robusto, pure il medico carcerario non lo trova suscettibile che al digiuno.

Voto

Tutto il valor dell’accusa sta concentrato nel detto di quella suonatrice di chittara, Maria Kuhweiner, donna di niuna buona opinione perché scostumata e dedita alla ubbriacchezza, come della nota delegatizia 7 gennaio 1840 in pezza XII.

Ciò basta al subordinato parere del relatore perché la prova del fatto sia dubbia ed ancora imperfetta, e perchè stante la sua dubbiezza ed imperfezione, egli debba piuttosto inclinare a ritenere che il fatto di cui la donna si querela sia lungi ancora dal presentare i caratteri dell’attentato stupro violento, e se il compagno di lei in qualche accidente farebbe supporre per parte dell’inquisito una qualche fisica prepotenza, ciò non basterebbe a rassodare l’accusa se la prepotenza deve essere gravissima e pericolosa, e se al contrario viene questa interamente esclusa dai compagni dell’accusato.

Le lacerazioni del vestito poco contano, se il vestito è fragilissimo e la presentazione del coltello conta ancor meno, se questo era rinserrato nella fessura, e se in ogni modo non è provato neppure che appartenesse all’odierno inquisito.

Per tutti questi riflessi il relatore è inclinato a proporre, come propone, che il Canevarollo sia dichiarato innocente per non esservi nel processato fatto gli estremi del delitto.

Vicenza, il dì 4 giugno 1841

Marchesini

Sentenza

Propostosi il processo costrutto al confronto dell’arrestato Pietro Canevarollo, imputato d’attentato stupro violento, costituito la prima volta il giorno 20 aprile anno corrente nell’inquisizione ultimata il 28 maggio passato,

quest’imperial regio tribunale provinciale qual giudizio criminale ha dichiarato e dichiara colpevole il nominato Pietro Canevarolo dell’imputatogli delitto d’attentato stupro violento, e come tale lo ha condannato e condanna ad anni cinque di duro carcere da espiarsi nella casa di forza di in Padova, al risarcimento dei danni verso Maria Kuhweiner Costa da liquidarsi in separata sede di giudizio civile, nonché al pagamento delle spese processuali, di vitto, e nelle tasse della presente sentenza, in fiorini 12 sotto le riserve del paragrafo 537 del Codice penale, parte prima.

Dall imperial regio tribunale provinciale

Vicenza, 4 giugno 1841

Sentenza

Dall’imperial regio tribunale d’appello penale,

Venezia 6 luglio 1841

Compostosi il processo costrutto contro Pietro Canevarolo, imputato di attentato stupro violento, letta la sentenza 4 giugno 1841 n.° 3072 dell’Imperial Regio tribunale provinciale di Vicenza con cui fu dichiarato colpevole il Canevarolo dell’imputatogli delitto di attentato stupro violento, e come tale venne condannato ad anni cinque di duro carcere1 da espiarsi nella casa di forza di Padova, al risarcimento dei danni verso Maria Kuhweiner-Costa da liquidarsi in separata sede di giudizio civile, nonché al pagamento delle spese processuali, di vitto, e nella tassa della sentenza in fiorini 12, colle riserve legali,l’imperial regio tribunale di appello generale e superior giudizio criminale in riforma della detta sentenza ha dichiarato sospeso per difetto di prove legali il processo costrutto contro Pietro Canevarolo sull’imputatogli delitto di attentato stupro violento = Ritenuta però la sua condanna nelle spese processuali ed alimentari e al pagamento dlle tasse della sentenza in fiorini 12, sotto le riserve del § 537 del codice penale, parte Ia.

Di ciò col ritorno degli atti, si rende inteso codesto imperial regio tribunale provinciale per la pubblicazione ed esecutione

(firma)

All’imperial regio tribunale provinciale in Vicenza

Lì 7 luglio 1841

Nota

Letta in consiglio la presente appellata sentenza, si propone

Che sia pubblicata a Pietro Canevarolo

Che di seguito alla pubblicazione della stessa sentenza sia copia di essa, colla tabella di metodo, tresmessa a questa imperial regia delegazione provinciale, cui si darà ordine al carceriere di presentare il Canevarolo

Che la specifica delle spese processuali si spedisca all’ufficio tasse, riponendo il processo presente all’archivio

Lì 8 luglio 841

Marchesini

Nota

All’imperial regio s. delegato conte Michiel

Vicenza

Con sentenza dell’eccelso appello 6 corrente luglio n. 8535 colla sospensione del processo, venne riformata quella di questa provinciale giudicatura 4 giugno prossimo passato, con cui condannava Pietro Canevarolo in titolo di attentato stupro violento a cinque anni di duro carcere.

Le pessime qualità di costui, specialmente in quanto alla dissolutezza dei costumi, per cui ebbe ad essere condannato per libidine contro natura, richiamano sul suo conto una speciale sopraveglianza ed … che per la maggior pubblica sicurezza gli sia interdetto di esercitare la precedente sua professione di vetturale, togliendolo così dalla circostanza di poter nuocere od abusare di persone che altrimenti potrebbero a lui affidarsi.

Dalla … del tribunale di Vicenza

8 luglio 1841

1 La pena è sottolineata nel testo originale.