7 Un paio di scarpe lorde di fango

Atti di preliminare investigazione sopra titolo d’attentato furto in danno di Antonio Cornioni domiciliato in Bassano, a sospetta opera principalmente di Angelo Mottin detto l’Orbo, arrestato, e di alcun altro.

Riposavano a letto nelle rispettive loro stanze in casa di Antonio Cornioni in Angarano, borgo della città di Bassano, desso, la di lui sorella Andriana e la loro fantesca Susana Stefanoni, quando un indistinto rumore alla porta che dalla corte mette alle scale del primo piano, destava prima di ogni altro, dalle ore una alle due dopo la mezzanotte del 18 al 19 aprile, la Cornioni.

E questa svegliava la fantesca, e la fantesca il padrone.

Dacchè postasi tosto al poggiolo della propria stanza, essa Cornioni avea veduto un uomo con il capo cinto da un drappo ed un lume nella mano acceso escire dalla detta porta ed a quella avviarsi dell’orto.

Nol distinse. Chiamavalo anzi in sulle prime, credendolo il proprio fratello, ma al suo silenzio, impauritasi, fece che la serva battesse alla porta divisoria della vicina casa del calderaio Giuseppe Venzo, che essa anche, a voce, chiamava.

Ed egli, esonerata qualche carica d’archibugio fuori del balcone per intimorire i malfattori e chiamato il sussidio del suo pure vicino Domenico Peruzzo, cursore municipale, tutti e due, non pella porta dell’abitazione del Cornioni che la serva non ebbe coraggio di discendere ad aprire, ma pella terrazza del Venzo, entrarono nel detto poggiolo della camera della Cornioni e di là si recarono entrambi colla fantesca ad esplorare qua e là sull’avvenuto.

E videro praticato un foro con grossa trivella alla porta della scala e per esso alzato il catenaccio inferiore e chiuso tuttora il superiore.

E recatisi alla porta dell’orto, dividente questo da quello di Giovanni Zarpellon, osservarono altro foro egualmente eseguito, per cui poterono, sollevando i catenacci, schiudere i malfattori la porta stessa e per di là introdursi.

Già al movimento de’famigliari Cornioni ed all’esplosione delle archibugiate, dessi erano fuggiti e non si rinvenne che la sola mancanza di una canovaccia che stavasi stesa sulla legnaia, prossimamente alla violentata porta della scala e che la Cornioni ritiene fosse il drappo appunto del quale avvolto avea veduto il capo dell’individuo col lume acceso in mano.

Esibiva la Cornioni al consesso pretoriale altra consimile all’involata, che veniva assunta in giudizio.

Non altro dicono i Cornioni che per l’oggetto di attentare un furto nella loro casa, ritengono si fossero accinti d’introdurvisi i malintenzionati, i quali avrebbero potuto asportare tra denaro, effetti preziosi, biancherie ed altri oggetti, oltre a un migliaio di ducati.

Tutto ciò dagli esami rilevavasi di Antonio Cornioni, Andrianna Cornioni di lui sorella, Susanna Stefanoni serva, del calderaio Giuseppe Venzo, del cursore municipale Domenico Peruzzo.

Essendo di perduta fama Angelo Mottin detto l’Orbo, delle Marchesine, e capace di commettere furti, ed essendosi vociferato che l’ortolano Giovanni Bordignon, sulle ore sette della sera del 17 corrente, avesse veduto sul ponte di Bassano fermato il Mottin con un individuo vestito alla villica, che non conobbe, ed udito il Mottin a dirgli: “Quando avremo fatto quell’affare, allora sì che se divertiremo”.

Fissando il capo delle guardie in Bassano i suoi sospetti sul detto Mottin, ordinava alle sue guardie di perquisirlo qualche ora dopo il fatto, essendo stato prima, dietro chiamata degli accorsi, all’abitazione del Cornioni a visitare quella casa ed a riconoscere anch’esso quanto abbiamo esposto.

Rinvenivano a letto il Mottin nella sua stanza ed un paio di scarpe lorde di fango. E nella porta di casa, abitata da suo cognato Giovan Maria Lovo, una schioppa scavezza, fornita di ferro e due pistole corte fornite d’ottone. E tutti questi oggetti asportavano e con essi il Mottin in arresto traducevano.

Avea il capo delle guardie incaricato, alla mattina della domenica successiva 18 aprile, la guardia De Toni onde colle scarpe perquisite al Mottin si recasse, unitamente a dei testimoni, nell’orto attiguo di Giovanni Zarpellon, lavorato dal suo ortolano Francesco Bordignon, a riscontrare se le orme che dicevansi impresse in quel terreno corrisposte avessero a quelle stesse scarpe.

Si trasferì infatti la guardia De Toni nell’indicato orto del tutto attiguo a quello del Cornioni e diviso da un muretto di circa cinque piedi, unitamente all’ortolano Francesco Bordignon, al calzolaio Bellin Gobbato, al farmacista Giovanni Montini.

E tutti riconobbero che le orme impresse stavano in detto orto nella direzione tutta di quello del Cornioni, sicchè dedussero che i ladri pell’orto, in parte molle dalla caduta pioggia, dello Zarpellon si fossero fatta strada a quello del Cornioni e sette pedate distinsero del tutto in grandezza e forma corrispondenti alla scarpa destra perquisita, traccia rimas[t]a essendo nel terreno anche di due brocche alla punta di detta scarpa e di altre tre alla parte di fuori del piede; niun vestigio poi avendo riscontrato del corrispondente piede sinistro, e ciò pella solidità a quella parte del terreno stesso.

E molte altre orme, qua e là, inoltre distinsero di diversa configurazione e grandezza e tutte rivolte verso il detto orto Cornioni, cosicché dovettero anche dedurre che nella fuga non retrocessero i malfattori, ma seranno naturalmente usciti pel susseguente limitrofo orto di Antonia Martinetto.

Dessa, e la Domenica Trevisan, lavoratrice, abitante nella medesima corte che confina coll’orto della Martinetto medesima, e questo coll’altro del Cornioni argomenterebbero, da alquante orme impresse nel primo di questi orti e dallo smuovimento di fresco di un sasso del muro di cima dell’orto suddetto, nonché dal portone della menzionata corte trovatosi aperto, mentre suole trovarsi chiuso con semplice saliscendi per di dentro, che i malfattori fossero evasi dall’orto del Cornioni per quella parte alla scarica delle archibugiate.

Maria Battocchio, moglie del cursore municipale anzinominato, alquanto dopo i colpi di fucile, postasi alla finestra, vedeva correre tre o quattro individui, che dal borgo dirigevansi dietro l’argine destro del Brenta.

Non potè distinguerli pella oscurità della notte. Forse, dice, avrebbe potuto essere gente intimorita dallo scoppio delle diverse schioppetate, e che casualmente per di là passasse.

Alle già fatte ed esposte verificazioni sul luogo del fatto corrispondono le rilevazioni della giudiziale polizia eseguitesi nel giorno 20 aprile successivo.

Fu giudicato effettivamente eseguiti i due fori alle porte dell’orto e della scala a mezzo di una trivella dallo grossezza di un dito, e coll’opera anche di due sole persone, nello spazio di circa un’ora.

Diverse vestigia di piede umano scarpato scorgevansi anche in quel giorno, nell’antedetta direzione, e tre distinguevasi corrispondenti alla scarpa in presentazione, anche pelle rilevate impressioni delle cinque brocche nel modo sopradistinto.

Non verificavasi a carico dell’imputato Mottin la diceria dell’espressione che collo sconosciuto individuo avesse fatto nel ponte di Bassano nella sera prima dell’accaduto. Almeno nega di averla intesa quel Giovanni Bordigon da cui vola così propalata.

Un qualche sospetto era insorto alla serva del Cornioni in aggravio anche del falegname Antonio Zanchetta detto Strozzo, perché parevale che stesse in qualche osservazione pochi giorni prima del fatto, in prossimità alla scala ove fu forzata la porta, nell’incontro in cui ebbe a rimanere per alcune ore in quella casa per un lavoro del suo mestiere.

I padroni di essa non formarono alcun sospetto; anzi il Cornioni disse che in quel giorno lavorò quasi sempre alla di lui presenza, né lo vide assolutamente capace di tali azioni.

Sentivasi sotto riserva il Mottin e vorrebbe essersi ritirato nel sabbato 17 aprile passato alla propria casa alle Marchesine, ad un’ora circa di notte, in compagnia di Giuseppe Basso, entrando questi nella propria, desso nella sua, l’una all’altra rimpetto, né essendo più di là uscito sino al di lui arresto sul far del giorno della domenica susseguente.

Cita la testimonianza di suo cognato e sorella Giovanni Maria e Angela Loro, coi quali coabita, ma anzi approfittando del beneficio del paragrafo 377 del Codice penale non si poterono esaminare, e sono i soli che con lui ritrovansi sotto il medesimo tetto.1

Procedeva verso la sera del detto sabbato dal palazzo Rezzonico in Bassano, ove col Basso era stato a lavorare in una cedraia del signor Paolo Baroni.

Riconosceva come sue le scarpe in presentazione, e dice ch’erano così infangate per aver appunto lavorato in detta cedraia, molle essendo il terreno dalla caduta pioggia, e riconobbe le pistole e la schioppa siccome possedute e di spettanza di suo cognato.

Desso non si fermava al ponte di Bassano a parlare con veruna persona, ed appellavasene alla testimonianza del Basso.

Egli non conosce dove sia situata l’abitazione del Cornioni in Angarano, e supplica di venir presto liberato dal carcere, essendo innocente.

Assunto Giuseppe Basso in esame, si uniforma pienamente alle dichiarazioni del Mottin.

Dava il capo delle guardie di sicurezza nel suo rapporto 18 aprile decorso come sospetti in genere anche certi Angelo e Vincenzo Guadagnin detti Canevalla, e Gaetano Grigolatto detto Morello, ma nel loro posteriore esame, lungi dal consolare i suoi sospetti, dichiarava che, a dir il vero, non muovevano che dalla loro pregiudicata forma, e non più.

Furono declarativamente uditi ed il succitato Grigolato, ed il falegname Zanchetta, ma trovo di sollevarne della relazione il consiglio, se gli atti non offrono soggetto di ottenere schiarimenti sulle loro direzioni nell’argomento, ed aggiungendosi, quanto al Grigolatto, che li coniugi Peruzzo testificano che, coabitando con essi, ritrovavasi a letto al momento del fatto.

Malamente definito viene il Mottin dalla politica autorità: la fedina politica segna a suo carico due sospensioni di processo per difetto di prove legali in titolo di furto, varie condanne per contravvenzioni al precetto politico e per altri titoli.

In criminale due sopensioni in titolo di furto, una condanna a due anni di carcere duro nello stesso titolo, altra ad un anno in casa di correzione in Venezia in titolo di complicità in furto.

Ultimamente è pervenuta nota commissariale da Bassano, la quale indica l’inutilità delle ulteriori sue indagini nella scoperta de’rei, ed offre sfavorevoli informazioni sulla condotta e carattere di Angelo Mottin, inclinevole ai furti, e favorevoli quanto ad Antonio Zanchetta.

Voto

Sussiste il furto in genere, come il dimostrano le deposizioni dei danneggiati, d’altri testimoni, la giudiziale perizia.

Offresi il fatto con carattere d’attentato furto delittuoso, se non altra causa ravvisasi che quella di rubare negli individui che sonosi introdotti sino alla porta della scala dell’abitazione dei Cornioni, e non hanno effettivamente consumata l’intrapresa loro azione, che pell’esonero delle archibugiate ed i movimenti dei famigliari, per cui dovettero mettersi in fuga, e se effetti e danari custodivansi in quella casa dal complessivo valore d’oltre 2 mila ducati, e concorrevansi anche le circostanze del luogo chiuso e sforzatura della sortita.

Non del tutto, a dir vero languendo, indizio sorgerebbe in aggravio dell’imputato detenuto Angelo Mottin, se capace a delinquere, un paio di scarpe sarebbegli state perquisite, dalle quali quella del piede destro avrebbe pienamente corrisposto ad alcune orme rimaste impresse sul molle terreno dell’orto dello Zarpellon del tutto attiguo a quello del Cornioni, e nelle vestigia pure delle cinque broche di cui era munita, due alla punta e tre al di fuori del piede.

Non pertanto, avendo il Mottin quanto basta giustificata la infangatura delle perquisite scarpe coll’essere stato a lavorare nella cedraia del Baroni, e dove pure il terreno era molle per la sopravvenuta pioggia, e non essendo impossibile l’esistenza d’altre scarpe consimili a quella perquisita, segnatamente se riflettesi che quelle di villici vanno ordinariamente munite di brocche anche al dinanzi, non troverei quest’indizio sufficientemente elevato al grado d’indizio legale, non potendosi d’altronde porre a carico dell’imputato se le due sole persone che avrebbero potuto far fede del suo costante ritrovamento nella notte del fatto nella propria abitazione abbiano approfittato del beneficio del paragrafo 377; inoltre, se fosse lecito di trarre argomento in aggravio dell’imputato stesso, questa disposizione di legge perderebbe molto del suo scopo ed essenza.

Quanto ad Antonio Zanchetta, non avrei dato alcuno in processo che possa menomamente admetterlo, e così relativamente ad ogni altro che venne introdotto soltanto come sospetto in genere. Quindi propongo che

Deliberazione

Doversi dichiarare sussistente e delittuoso il furto quale attentato furto.

Desistersi per insufficienza di legali indizi da ogni ulteriore procedura al confronto del detenuto Angelo Mottin, scrivendo nota alla regia pretura in Bassano, significandole che pella presa deliberazione nulla osta quanto a questo tribunale che venga posto in libertà.

Desistersi del pari per assoluta mancanza d’indizi in confronto di Antonio Zanchetta, Angelo e Vincenzo Guadagnin e Gaetano Grigolatto.

Accompagnarsi gli atti alla pretura di Bassano sulla procedura di suo istituto quanto alle armi perquisite in confronto di Giovanni Maria Loro.

Restituirsi le scarpe perquisite al Mottin, e la canevazza al Cornioni.

Vicenza primo giugno 1841

Cassetti

Conchiuso per maiora contro il voto del relatore doversi aprire la speciale inquisizione al confronto del detenuto Angelo Mottin, quale legalemente indiziato autore dell’attentato furto in danno di Antonio Cornioni, colla conferma del politico suo arresto, con riserva di deliberazione negli altri dati a sospetto, rimettendo alla pretura di Bassano il protocollo di perquisizione domiciliare nella procedura di suo istituto quanto alle armi perquisite in confronto di Giovanni Maria Loro.

Atti finali a sentenza in titolo d’attentato furto a danno di Antonio Cornioni ad imputata opera di Angelo Mottin detto l’Orbo, d’anni 38, lavoratore in campagna, ammogliato con un figlio, dipinto dalla politica autorità siccome uomo dedito ai furti, stato punito per simil titolo criminalmente e politicamente varie volte, ed alcune altre per contravvenzione a precetto politico, costituito la prima volta il 16 giugno corrente, chiusa l’inquisizione il 30 detto mese, il cui contegno dinanzi al consesso fu rispettoso e tranquillo, buona la sua condotta nel carcere, ed atto a sostenere gli inasprimenti di legge.

Preleggo al consesso l’antecedente referato alla pezza 49.

Negativo si mantenne l’inquisito in riguardo al fatto oppostogli, persistendo nell’asserto di essere in quella notte dell’attentato furto rimasto sempre in propria casa.

Non seppe però in sua giustificazione addurre alcun altro testimonio tranne quei due parenti suoi, benchè avvertito del non aversi potuto assumere quelli in esame perché prevalsisi del beneficio di legge.

Cercò di snervare gl’indizi a suo carico col sostenere la possibilità d’una combinazione nella conformazione, grandezza e disposizione delli sottopposti chiodi tra le scarpe a lui perquisite ed altre, quantunque gli si sia opposto che appunto perché, a suo dire, era usanza comune fra i villici di collocare delle brocche tutto all’intorno della scarpa, era ben difficile e quindi inverosimile che da due scarpe spettanti a due diversi individui staccandosi tutte le altre brocche ve ne rimanessero solo cinque, e queste di eguale configurazione, grandezza, ubicazione, tre cioè al dinanzi, due al di dietro, corrispondenti alle orme impresse sul terreno.

Riguardo alla sua capacità di delinquere, asserisce mal fondate le triste informazioni date sul suo conto dalla politica autorità, e chiamandosi innocente di quasi tutti quei fatti per cui subì condanna, o fu processato.

Rimane sussitente a carico del Mottin quanto già lo aggravava al momento in cui l’inquisizione fu aperta, giacchè niuna cosa egli addusse di positivo in contrario, in modo da toglierne o scemarne il peso.

D’altronde, avendo egli persistito nel negarsi autore del furto oppostogli, e null’altro essendo emerso ad aggravio suo durante tutto il costituto, rimane incompleta la prova di sua reità, perciò propongo la seguente

Deliberazione

Che venga sospeso il processo in titolo d’attentato furto a danno di Antonio Cornioni, ad imputata opera di Angelo Mottin, per difetto di prove legali, condannandolo però nelle spese processuali ed alimentarie, nonché nella tassa di fiorini 12 pella sentenza, sotto le riserve del paragrafo 537.

Che si abbia a desistere per assoluta mancanza d’indizi in confronto di Antonio Zanchetta, Angelo e Vincenzo Guadagnin e Gaeteno Grigolato.

Che vengano restituite le scarpe in presentazione al Mottin e la canevaccia ad Antonio Cornioni di Bassano.

Vicenza, luglio 2 del 1841

Cassetti

Ad unanimia

1 Il paragrafo 377 del Codice Penale recitava: “Se i parenti della persona imputata in linea ascendente, e discendente, i suoi fratelli, e le sue sorelle, ed i suoi primi cugini, o gli altri suoi parenti ancor più prossimi, il suo consorte, od i suoi affini in primo grado vogliano, o no, far testimonianza, dipende dal loro arbitrio. Questi possono bensì essere citati a fine di assumere al caso la loro deposizione; si devono però espressamente avvertire della libertà che loro compete, di potersi esimere dall’esame; e quest’avvertenza deve essere annotata al protocollo. Allora solamente non possono ricusare dal far testimonianza, quando si tratta del delitto di alto tradimento, e v’è in oltre una fondata speranza, che la loro deposizione possa aprir l’adito ad investigare più da vicino circostanze ancora ignote”.