3. La sentenza

Proclama e sentenza pronunciati dal Consiglio dei dieci

Come avveniva nella prassi giudiziaria veneziana, le motivazioni del procedere non erano descritte nella sentenza definitiva, bensì nella citazione solenne (proclama) o nel decreto di arresto degli imputati.
Il decreto di arresto nei confronti di Alvise Bon venne emanato il 19 settembre 1586. Qualora l’imputato non fosse stato consegnato alle carceri veniva previsto il suo proclama, tramite il quale lo si invitava a presentarsi alle prigioni del Consiglio dei dieci. La votazione, come in tutti i provvedimenti delle magistrature veneziane esprimeva i proponenti (in questo caso l’Avogadore di comun che aveva avviato la fase istruttoria del processo), i voti a favore, quelli contrari e i cosiddetti non sinceri, cioè degli astenuti, i quali però erano tenuti a loro volta ad avanzare una proposta alternativa.

Il decreto di arresto:
(1586)

Che ser Alvise Bon fu de ser Alessandro el Procurator, solitto commetter simili et altri eccessi, imputato che havendo conceputo odio contra ser Andrea Trivisan fu de ser David et deliberato quello offender, sia andato a 18 d’agosto passato a levar con carrozza in compagnia di sua moglie et altri a Mincana esso ser Andrea et non l’havendo trovato andò a casa de ser Nicolò Malipiero a Ponte de Riva, dove esso ser Andrea si trovava et lo persuase venir de compagnia la sera a Gorgo a casa di esso Bon, come fece, essendo prima stati in Mincana luoco di esso Trivisan in tripudio de soni, havendo preparate quelle commodità che lui giudicò esser opportune per adempir quanto haveva in animo d’operar, essendo esso Trivisan in letto incauto la notte di detto zorno venendo li XIX l’habbi di XV ferite mortal proditoriamente, pensatamente et crudelmente morto, come fece etiam della nobil donna Paulina Molin, consorte di esso Bon, che con trenta ferite l’ammazzò; sia retento, costituito et commesso al Collegio ordinario di questo Consiglio, dal qual sia riconstituito etiam con tortura, se così ad esso Collegio parerà, il qual habbi auttorità di retenir, constituir, torturar, proclamar altri quomodocumque colpevoli del presente caso et con quanto si haverà si vegni a questo Consiglio et sia fatta giustitia; non si possendo haver sia proclamato sopra le scale di Rialto con termine di giorni otto per presentarsi alle pregioni delli capi di questo Consiglio per far nelle cose premesse sua difesa, il qual termine passato si procederà contra di lui, la sua absentia et contumacia non obstante.

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La sentenza:
(1587)

La sentenza venne pronunciata il 21 maggio 1587 e, come spesso avveniva, riportava pure, con le relative votazioni, le proposte alternative che non avevano avuto la maggioranza necessaria. Otto membri del Consiglio dei dieci, sui quattordici presenti, votarono la condanna al carcere a vita di Alvise Bon. Una maggioranza non compatta. Altri cinque membri del Consiglio avevano inutilmente proposto per il patrizio veneziano la relegazione all’isola di Candia per otto anni. A prevalere era stata molto probabilmente la consapevolezza che solo una pena esemplare avrebbe potuto acquietare le tensioni e il desiderio di ritorsione dei lignaggi patrizi coinvolti, anche se alcuni membri del Consiglio dei dieci propendevano per una pena assai più mite in base alla considerazione che i due omicidi erano stati comunque commessi da Alvise Bon sotto l’impulso della passione e per difendere il proprio onore.

Adì detto in Consiglio de dieci [21 maggio 1587]

Anzolo Basadonna Avogadore di Commun [proponente]

Se’l vi par per le cose dette et lette che si proceda contra ser Alvise Bon fu de ser Alessandro il Procurator volontariamente presentato

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Il Serenissimo Principe
ser Alvise Zorzi consiglier
ser Daniel Priuli Capo
Anzolo Basadonna Avogador di commun [tutti proponenti]

Vuoleno che’l sia confinato a finir la vita sua in una delle prigioni serrate delli Capi di questo Consiglio di qua da canal, dalla quale non possa in alcun tempo esser liberato per facultà che alcuno havesse o fusse per haver di liberar confinati in prigion o altrimenti. Si fuggirà di ditta prigion sia et s’intenda bandito di questa città di Venetia et distretto et di tutte le altre città, terre et luoghi del Dominio nostro, così da parte da terra come da mare, navilii armati et disarmati in perpetuo, rompendo il confin essendo preso sia condotto a Venetia et all’hora solita fra le due colonne di San Marco dove sopra un soler eminente gli sia tagliata la testa sì che la se separi dal busto et muora, con taglia a chi quello prenderà dentro i confini di lire duemille di piccioli da esser pagati de’ suoi beni se ne saranno, se non delli denari della cassa di questo Consiglio deputati alle taglie. Non possa dal detto bando esser liberato per facultà che alcuno havesse o fusse per haver di liberar banditi. Oltre di ciò sia privo mancando alcuno delli fioli nati da lui et dalla quondam madonna Paulina Molin ab intestato, succedere in alcun tempo nelli beni che a loro aspettano di essa quondam sua madre. Sia publicata nel primo Maggior Consiglio et sopra le scale di Rialto.

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[la proposta che prevalse dapprima ebbe sei voti e poi gli otto necessari per la sua approvazione]

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