13.3 Il prete sul campanile

Il prete sul campanile (dicembre 1608)

Tremosine è una comunità posta sull’altipiano, poco sopra Tignale. Il prete Giovan Antonio Marzadro apparteneva alla fazione che si opponeva ai Beatrice e che da Gargnano si estendeva, come si è potuto constatare, a tutta la zona dell’Alta Riviera. Il Marzadro fece parte del gruppo di fuoco che nel 1603 incendiò la casa dei Baruffaldo in Valvestino, uccidendo la madre di Eliseo Baruffaldo (vedi Nascita di un fuorilegge) . Il breve fascicolo processuale presentato dagli uomini della comunità di Tremosine è anomalo rispetto agli altri che si sono riportati nel sito. Il nucleo centrale è costituito dalla testimonianza di estremo interesse resa dal Marzadro al Provveditore e al giudice del Maleficio di Salò, poco dopo la sua cattura. Al fascicolo è pure allegata la sentenza di bando pronunciata contro il Marzadro il 19 agosto 1603.

 

Il 28 settembre 1609 il Consiglio dei dieci deliberò:

Che attesa la captura fatta et consignatione alle prigioni del Proveditore e Capitano di Salò dagli huomini del commun di Tremosigno [Tremosine] sotto li 19 dicembre 1608 della persona di pre Giovan Antonio Marzadro, figliuolo del quondam Thomaso della Val di Vestino, banditi dal Proveditor et Capitano di Salò con l’auttorità di questo Consiglio sotto li 19 agosto 1603, perpetuamente dello stato nostro con pena capitale, confiscation de beni et condition di non potersi liberar se non passati anni otto, con taglia alli captori del detto pre Giovan Antonio per cinquanta miglia oltre li confini del Dominio nostro, come dalla sua sententia essequita sotto li 4 di luglio passato et dalla scrittura hora lette et relation del diletto nobil nostro Zuanne Basadonna Avogadore di commun si è inteso. Sia concesso agli huomini di detto commun di Tremosegno voce e facoltà di liberar un bandito di bando uguale overo inferiore a quello del predetto Giovan Antonio Marzadro, in virtù della parte di questo Consiglio de 29 dicembre 1604 in proposito de banditi.

 

Segue poi la scrittura del comune di Tremosine:

 

Illustrissimi et eccelentissimi signori Capi delll’eccelso Consiglio di dieci

Del mese di decembre passato 1608 fu retento da noi homeni del comun di Tremosegno territorio di Sallò pre Giovan Antonio Marzadro bandito dal clarissimo proveditor di Sallò con auttorità dell’eccelso loro Consiglio sotto li 19 agosto 1603 pepetuamente da tutte terre et lochi con pena capitale come dalla sua sentenza, la quale sotto li 4 lugio prossimo passato è stata esequita.

Però noi homeni predetti reverentemente suplichiamo le vostre signorie illustrissime che con l’eccelso loro Consiglio si degnino concederci voce et facultà di liberar un bandito simille a quello del detto pre Giovan Antonio da noi retento. Et alla bona gratia umilmente si racomandiamo.

 

Segue la lettera di accompagnamento del provveditore e capitano Piero Benedetti:

 

Illustrissimi et eccelentissimi signori colendissimi

Pretendendo il commune di Tremosigno di conseguir il beneficio et taglie per la captura et consignatione del quondam prete Giovan Antonio Marzadro bandito con l’auttorità di quello eccelso Conseglio di dieci. A richiesta di esso commune invio a vostre signorie illustrissime et eccelentissime la copia del processo in tal proposito formato et gratie,

Di Salò alli 2 settembre 1609

Pietro Benedetti proveditor et capitano

 

Il fascicolo non prosegue come di consueto con l’escussione dei testimoni. L’atto di procura che segue (presentato da Antonio Ugerio di Salò il 5 agosto 1609) è infatti rivelatore (insieme al successivo interrogatorio del Marzadro) di quanto avvenne in realtà. La procura venne dunque stipulata dopo che nei confronti del Marzadro era stata eseguita la condanna a morte prevista (4 luglio 1609) come alternativa alla sua sentenza di bando.

 

Atto di procura stipulato a Bogliaco il 31 luglio 1609 tramite il quale Gaspare Feltrinello di Gargnano costituisce come suo procuratore Antonio Ugerio a presentare, ovunque sarà necessario, la sua formale rinuncia a favore del comune di Tremosine di ogni suo eventuale diritto acquisito per la cattura e consegna (fatte dallo stesso comune) del bandito Giovan Antonio Marzadro.

 

La cessione di ogni diritto da parte di Gaspare Feltrinello indica l’avvio della procedura per la riscossione della consueta voce, che nel caso di cattura di un bandito iniziava dopo l’esecuzione della pena alternativa prevista nella sentenza di bando (in questo caso la pena capitale). La cessione da parte del Feltrinello (che in realtà si accompagnava agli Zannoni) si comprende meglio alla luce di quanto accadde poco dopo la cattura del Marzadro. Nel febbraio del 1609 quasi tutta la banda Zannoni venne sterminata con l’aiuto dello stesso Gaspare Feltrinello, il quale, successivamente, aveva dunque ottenuta la libertà (come attesta l’atto di procura). Per questo si veda Le sessantasette notti di Alessandro Remer con la lettera del provveditore e capitano Giovan Battista Loredan del maggio 1610.

Il fascicolo prosegue poi con lo straordinario ed interessante interrogatorio di Giovan Pietro Marzadro:

 

Die martis 23 decembris 1608

Nella camera dell’illustrissimo signor Proveditor verso il lago, alla presentia di sua signoria illustrissima et dell’eccelentissimo signor giudice al maleficio.

Interrogato del nome, cognome, padre, patria et esercitio.

Cavato dalle pregioni un uomo più tosto grande che comune, di barba et capelli negri, di età di anni quaranta un circa come disse, vestito di giupon di pelle et sotto una camisola di pan rosso, braghessi di panno mischio con botonatura et cositura della scarselle insino in fondi, calcetti di feltre negro con una fasseta ricamata

Rispose: Ho nome Zuan Antonio q. Thomaso Marzadri di Gargnano, benché mio padre venisse della Val di Vestino già ottanta anni et il mio mestiero è sacerdote prete et son rettore della cura di San Giovanni di Turano di Val di Vestino, giurisdition di Trento et ho detto la mia messa continuamente insino che mi son posto a perseguitar li Zanoni banditi.

Interrogato: Quando sia stato preso, in che loco et da chi.

Rispose: Io ero andato di ordine di messer Gioseffo Putellino con quatro o cinque huomini verso Tremosigno per mettermi in una posta et aspettar li Zanoni passar per quella banda per andar verso Limon et Riva, ma commettero prima un latrocinio ad una casa nella terra di Ustechio nel comun di Tremosigno et perché quatro di questi miei compagni che erano Bersani dissero che li era di bisogno che andassero a Brescia et volendo partire, io li dissi che si affermassero dove erimo, che sarei andato a Boliaco a tuor delli altri huomini che venissero meco in questo servicio e tornato sarei subito la matina o la notte seguente. Et nell’andar io per terra verso Boliaco, anco quelli huomini, per quanto intesi, si partirono da Ustechio andando a Limone et ivi imbarcati vennero a Boliaco, per quanto intesi, per tuor forsi licentia da messer Iseppo per andar a casa. Quando fui al Pontesello, posto ai confini di Tremosigno et di Tignale, mi incontrai in detti Zanoni banditi, che erano al numero di sette, che io vidi, se ben intesi che erano otto, li quali venivan verso a detto Pontesel verso al qual io andavo; et conosciutoli me ne diedi volta in dietro, li quali conobbero anco me subito et si posero a seguitarmi di corsa, per il che io me ne andai di longo a Tremosigno alla pieve, in casa di monsignor arciprete, per salvarmi. Et poco dopo, et posso dir subito, arivorno anco detti banditi et havendo dimandato a messer Antonio fratello di monsignor arciprete dove io ero, gli rispose non saperlo. Et io ero in casa con monsignor curato et col arciprete in una camera. Et essendomi venuto detto messer Antonio ad avisarmi che li banditi mi cercavano et che eran attorno alla casa, havendo io dimandato a monsignor arciprete dove potessi salvarmi, mi disse al campanile, dove sarei stato sicuro, accompagnandomi anco al campanile.

Et salitovi suso, apresso alle campane, drio di me salirno anco doi di questi banditi a cercarmi, che sentei un di loro dire, che credo fosse Marco Tulio o Michele et l’altro non lo conobbi, che disse: ‘Dammi una pistola che andarò su a vedere se vi è’; et haveva un lume in mano acceso.

Et sentendo io che venevan su per le scale tutti doi, mi posi apresso al buco per il quale si entra sul volto da una banda et perché stando in piedi dubitavo più facilmente di esser veduto mi risolsi di ingenochiarmi con uno piede. Et calato il cane del arcobuggio longo per esser pronto a sbararlo, nel stare così basso, il pistolese mi toccò con la ponta terra et col manico o con l’alzi mi toccò il griletto del terzarolo che havevo sotto il medesimo fianco attacato et se mi sbarò, perché havevo anco con esso calato il cane. Per il che dissero: ‘L’è qua, l’è qua’. Et smorzato di subito il luse calorno in basso et io così alla ventura gli sbarai dietro l’arcobugio longo, ma invano.

Et cominciorno poi a chiamarmi a basso, promettendomi di non volere offendermi et io rispondevo di non voler calare a basso altramente, ma che essi salissero su se volevano qualche cosa da me.

Et mi cominciorno poi a dire delle vilanie, minaciandomi di dar il fuoco al campanile se io non discendevo. Et io rispondevo che facessero quanto volessero, che io non ero per discendere di là se non cadendo anco il campanile; et così allhora cominciorno a tuore delle fassine in casa di monsignor, portandole nel campanile et dandoli il foco, abrugiando doi solari et le corde del horologio, che diedero il foco sei o otto volte, vedendo chel suniva per riacenderlo, nonostante che monsignor curato li pregasse a portar riverenza alla chiesa. Et io continuavo a dar campana martello, gridando sempre et chiamando li consoli et huomini del comune che andassero a darne l’aviso a messer Gioseffo Putellino et alla giustitia a Salò, ma tutta la notte, per molto che io gridassi et sonassi le campane, mai corse alcuno et essi banditi stavano là, intorno alla chiesa et al campanile, sbarandomi delle arcobusate et io gli ne sbarai una, non potendoli veder perché stavan ascosi, benché mi chiamassero.

La matina poi, a doi o tre hore di giorno, vennero poi delli huomini a doi, a tre, senza arme et ragionorno con li Zanoni, dicendoli che detti huomini del comune dovessero attendermi et non lassarmi scampare, per quanto mi dissero detti huomini del comune.

Et li banditi andorno poi a una casa sopra la terra un’archibugiata, che non so di chi si sia, che io li vidi, come vidi anco alcuni huomini del comune al numero di quatro o sei che andorno alla detta casa a parlar con li banditi due o tre volte, che non so dir chi fossero questi huomini, ma è forza che fosse il console et altri huomini del comune. Et allhora mi lamentai con loro dicendoli: ‘Donque si fa a questo modo, che in cambio di amazar o prender li banditi, andate a trattar seco per prender consiglio et attender a me’.

E vennero poi, de lì un pezzo, nella terra a disnare, non so in casa di chi, et dopo disnato tornorno alla medesima casetta. Et allhora vennero poi li huomini del comune dicendomi: ‘Pre Giovan Antonio, toccate campana martello che vogliamo perseguitar li banditi’. Et io risposi che l’era una burla, havendo essi trattato con loro et potuto haverli per inanti che potevano amazarli tutti se li banditi fossero ben stati 50.

Tuttavia sonai et vidi a partirsi 7 o 8 huomini, andando quatro di qua et quatro di là, verso quella casa dove eran andati li banditi et sbarorno alcune arcobugiate alla volta del campanile dove ero. Et poi venuti li huomini del comune sul segrato della chiesa mi dissero se volevo rendermi a loro che mi assicuravano di non esser offeso et io gli dissi di no, perché non mi fidavo di loro, havendo parlato con li banditi, dicendoli se havean mandato a Salò ad avisar la giustitia, perché se fossero venuti li suoi ministri mi sarei di longo dato pregione nelle sue mani.

Et così, arivato che fu il cavaliero di vostra signoria illustrissima et havendomi dimandato, me li rese subito, calando a basso et dandoli le mie armi, le quali sono a ponto quelle che vedo la sù la tavola, dove erano un terzarol con una chiave di archibuso, un pistolese, un manico di osso bianco con zimina, una fiasca da polvere, uno taschino de cordonan con dentro della monitione per arcobusi, un centuron con sie cargadure et stezzaroli di rame bianco, dicendo: non vi è con queste armi il mio arcobuso da un cane, che diedi con queste robe al cavaliero.

Detoli: Sete voi un bandito?

Rispose : Signor sì.

Dicendo interrogato:
Fui bandito dal clarissimo signor Filippo Bon et havevo a casa la copia del mio bando, se bene fui bandito a torto et peccato. Et è vero, come Dio è in cielo.

Dettoli: Che hora era quando ritrovasti, come havete detto, li Zanoni al Pontesello?

Rispose: Circa le 22 hore, 22 et meza. Et quando andai sopra il campanile era l’ave maria.

Quibus habitis iussum fuit duci ad locum suum.

 

In una nota, apposta a fianco della copia della sentenza bannitoria pronunciata nel 1603 contro Zuan Antonio Marzadro, è scritto:

“Die 4 iulii 1609. Rifferì il cavaliero esser questa mattina stata essequita la contrascritta sentenza et il contrascritto pre Zuan Antonio haver patito l’ultimo suplicio. Bartholomius A Sale, notarius cancellerie”.

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Il fascicolo si chiude infine con una dichiarazione di Gaspare Feltrinello che venne presentata il 19 dicembre 1608 (giorno della cattura del Marzadro) al giudice del maleficio di Salò da parte di Domenico Faustini di Tremosine, che riferì “bannitum ipsum reperiri in campanile plebis Tremosigni custoditum ab hominibus dicti communi”

 

Io Gaspare figlio di Piero Feltrinello di Gargnano con la sua compagnia hanno seguitato uno bandito di tutto lo stato della Signoria di Venetia che si chiama pre Giovanni Antonio filiolo di Thomaso Calmasino sartore et il detto prete era arciprete di Turano. Et il detto bandito bandito si è ritirato nel campanile et si è sonato a martello et così il console del comun è comparesto a quattro hore di notte et così subito il detto Feltrinello con la sua compagnia hanno commesso al detto console che vista la presente che dovesse comandar tutti li suoi huomini del suo comune.

Io Feltrinello ho fatto scrivere.

 

Il giorno stesso il provveditore e capitano inviò il proprio cavaliere con alcuni suoi uomini a prelevare Giovan Pietro Marzadro perché fosse condotto a Saò.

Altre interessanti informazioni si ricavano dal dispaccio del provveditore Benedetti del 20 dicembre 1608, da cui emerge il ruolo di Gaspare Feltrinello:

 

Serenissimo Principe

Li Zannoni banditi, et in proposito de quali mi è occorso di scriver più volte a Vostra Serenità, incontratisi heri nel territorio di Tremosigno, venticinque miglia lontana da questa terra, in un pre Giovan Antonio Merzadri, della Valle de Vestino del contado di Lodrone, parimente bandito con auttorittà dell’eccelso Consiglio dei Dieci da tutte terre et luochi, con pena della vita, taglia et in terre aliene, et conditione di tempo, per sentenza del clarissimo signor Filippo Bon, mio precessore, per homicidii gravi et altri eccessi, et loro nemico lo fuggarono per amazzarlo fino nella chiesa di Tremosigno, nel campanile della quale essendosi egli salvato, et postosi a sonar campana a martello li abbruggiarono li sollari, et lo lasciorno, poi sopravenuti gli huomini del commune, che lo custodirono come bandito, finché pervenutane, notitia a questa giustitia con denuntia mandata da un Gasparo Feltrinello, seguazze et compagno di essi Zannoni, io mandai a levarlo per il mio cavagliero et offitiali che lo hanno condotto in queste forze. Et imaginandosi li stessi che alla famma di questa insecutione potesse moversi Iseppo Ferrari, detto Putellino da Gargnan, loro persecutore, et andar ai loro danni, callarono a certo passo angusto nel commun di Tignale, et postissi ad esso in insidie, heri sera circa le 23 hore, essendovi egli conforme al loro pensiero, capitato con alcuni de suoi lo assalirono et mirarono di vita, et mortalmente ferirono anco un suo nepote, come ho di una quasi universal divulgatione, sebene fin hora non ho notitia com’è ordinario et debito del consule del commun. Tutto che ho voluto significar riverentemente a Vostra Serenità, per aggiungerle quel di più che io trovassi con la formatione del processo, non dovendo io intanto tralasciar di dirle che havendo li sodetti Zannoni in disprezzo delle leggi et de loro gravissimi bandi, che sono molti con auttorità et di questo eccellentissimo Senato et dell’eccelso consiglio dei Dieci, continuato a conversar et habitar sempre in questa Riviera dalla quale non hanno potuto snidarli, né questa giustitia, né forze de loro nemici, né qualche aggiutto publico datto loro, hor de cappelletti, hor de soldati. Hora che li vien a cessar ogni sospetto anco del sodetto Putellini, che con frequenti insecutioni gli era pur di qualche frenno, tanto più restaran formidabili et tanto maggiormente infestarano questo territorio et gli altri convicini, se dalla Serenità Vostra o col destinar in questa Riviera una compagnia de capelletti, o con altra provisione degna della sua somma prudenza non vien proveduto alla sicurezza et quiete de sudditi et alla depressione de questi tristi. Gratie

Di Salò li XX dicembre 1608
Pietro Benedetti Proveditor e Capitano.

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