4. Nei pozzi di Palazzo Ducale

Dall’interno delle prigioni del Consiglio dei dieci
(gennaio 1588)

Condannato al carcere a vita Alvise Bon non si rassegnò ad accettare una decisione che evidentemente riteneva ingiusta. I documenti del Consiglio dei dieci registrano un suo clamoroso tentativo di fuga. Nel gennaio del 1588 i guardiani delle prigioni del Consiglio dei dieci, segnalano ai Capi di aver scoperto una fuga organizzata dal Bon insieme ad altri prigionieri. Il supremo organo veneziano decretava così che il patrizio fosse destinato ad un carcere più sicuro. Il Capitan grande del Consiglio dei dieci il 21 gennaio 1588 fu incaricato del trasferimento e, come riferì, “lo feci mandar da la pregion dove el si atrovava et meterlo alle quatro da baso per esser preson più sicura, per quanto à detto li guardiani”.
Si riporta pure la supplica dei due guardiani, Piero e Andrea, che il 16 gennaio pensarono bene di chiedere un premio per la loro sorveglianza che aveva sventato il tentativo di fuga del Bon.

Parte del Consiglio di dieci (21 gennaio 1588)

1587 a XXI di gennaro in Conseglio di dieci [more veneto]

Capi

Che per la buona custodia che hanno delle preggion di questo Conseglio con molta fede et diligenza Piero quondam Zuanne et Domenego quondam Andrea Di Ruberti guardiani gli sia per una volta tantum donati ducati trenta per cadauno di loro et sia commesso al camerlengo di detto Conseglio che gli debba far dar li detti danari.

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Parte del Consiglio dei dieci:

1587 a 26 gennaro in Conseglio di dieci

Capi

Che per le cose hora dette ser Alvise Bon carcerato debba continuare nella pregione dove egli al presente si ritrova, nella quale debba star solo, né possa essergli dato alcuno in compagnia se non colli tre quarti delle ballotte di questo Conseglio.

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Supplica dei due guardiani delle prigioni

Illustrissimi et eccellentissimi signori Capi dell’eccelso Consiglio di dieci
Humilmente comparemo alli benignissimi piedi di Vostre Signorie Illustrissime noi Piero q. Zuanne et Domenego q. Andrea di Ruberti fedelissimi guardiani delli cameroti di quelle et con ogni reverentia li esponiamo quante et quali siano state le fatiche, vigilie et quanti pericoli habiamo passati in questa nostra così longa servitù prestata a Vostre Signorie Illustrissime et masime io Piero che è già anni 36 che le servo in queste carceri in tanta moltitudine et diversità di carcerati, i quali per gravezza de deliti invigilano giorno et note di fugirsene et tra quali fu quello che rubò li camerlenghi, che conveni redurmi con lui nel cameroto rispeto alla sutilità del suo inzegno, che fino le manete delle mani se rompetero con i denti.
Donde per tal causa io sopradetto Piero presi una infermità grandissima che fino hozzi ne patisco; et nel caso in Bergomo che si rittrovorono 18 in un istesso caso, de quali ne furono giustiziati sei, per il gran seguito et parentando mi fu dato il governo et custodia loro et nel caso de Zan Batista Garzeta sotto la vardia de noi sopradetti Piero et Domenego per la diligenza usata da noi trovasimo una rotta de molta importantia et di più nel presente accidente di tanto pericolo del magnifico Bon, che per la qualità di feri da noi trovati, come con li propri occhi da Vostre Signorie Illustrissime sono stati veduti, oltra il fugir che haverebbe fatto erimo in evidente pericolo da esser amazati et per la Iddio gratia in tutti li carichi importantissimi et secretissimi havuti da Vostre Signorie Illustrissime le ne ha trovati sempre fideli. Ma per non esser tediosi li diremo solo delli fuochi seguiti dell’Arsenal del Palazzo et piaza in quanto pericolo si ritroviamo a tal custodia. Et perché le Vostre Signorie Illustrissime et Eccelentissime tengano natural memoria delli suoi servitori che le servono fedelmente tanto più che mai per alcuna nostra colpa o nigligentia è occorso cosa contraria in tal servitio talché si può dir certo mentre che siamo a questo caricho non havemo mai un reposo, né di giorno né di notte per li incomodi ordinari et importanti. Et ridutto io povero Pietro sudetto in questa mia vechieza con la moglie et due neze da maritar che mi sono rimaste per il contagio alle mie spale et io Domenego sopradetto con tre poveri mei nepoti orfani et il pocco salario che havemo, le malatie ne hanno reduti a tal che si rittroviamo carichi de molti debiti. Però prostrati noi sopradetti a piedi di Vostre Signorie Illustrissime et suplicandole che con i occhi della sua pietà et clemenza si degnino di compassionar alle nostre miserie di concederne in gratia un bando con il qual possiamo liberar un bandito diffinitivo o a tempo i pur che non sia stà bandito per il suo illustrissimo Consiglio di X con tutte le clausule solite e requisiti che si liberano essi banditi et sì come è anco stà fatto in altri et questo lo reconosceremo solo dalla gratia di Vostre Signorie Illustrissime et e alle quali con ogni su missione se gli inchiniamo et raccomandiamo.

Relazione del Capitano grande Marco Dolce:

1587 di 22 zener

Io marco Dolce Capitan grande e servitor delle Vostre Signorie Illustrissime andai heri, dopo disnar giusto l’ordene datomi dalle Vostre Signorei Illustrissime ala pregion del magnifico messer Alvise Bon fo del clarissimo Alessandro il procurator et lo feci mudar dela pregion dove el si atrovava et meterlo alle quatro da baso per eser preson più sicura per quanto ha detto li guardiani. Et nel mudarlo de preson li fu fatto dalla guardiani la cercha sì adoso de deto magnifico messer Alvise come a Floriselo Soncin, dove li fu trovato dredo la schena a Floriselo un parro de fonfe et un sfolgio di charta non scrito, con un feretto de stringha longo acomodato per pena da schrivere et nela vesta un cortelo tuto de fero et al magnifico Bon non li fu trovatto cosa alguna. E per esser cusì la verità ho scrito e sottoscrito de mano propria.

Io Marco Dolce Capitan grande

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