14.1 L’omicidio del podestà di Salò

L’OMICIDIO DEL PODESTA’ DI SALO’ (maggio 1610: in esterni)

Il 29 maggio 1610 il podestà Bernardino Ganassoni (inviato dalla città di Brescia ad amministrare la giustizia civile) venne ucciso da alcuni uomini armati mentre assisteva alla messa nel duomo di Salò. Il fatto venne registrato sia dal consiglio della comunità di Salò che dal consiglio della Magnifica Patria. Il Consiglio dei dieci, informato dal Provveditore in carica, assunse immediatamente il caso (inviando un avogadore ad istruire il processo) e pronunciò una sentenza contro coloro che erano stati accertati come colpevoli. Si riportano alcuni documenti su una vicenda che, nel prosieguo degli anni, si sarebbe indissolubilmente legata alla ‘fama’ di bandito di Zanzanù.

1 Le cernide

2 Antonio Bonfadino

3 Non si mosse alcuno

  1. Condoglianze
  2. Paura
  3. Oratori della Magnifica Patria a Brescia
  4. L’avogadore da Ponte in Riviera
  5. Ancora paura
  6. Il corpo di guardia
  7. A Maderno
  8. A Brescia, prima dell’omicidio del podestà
  9. Proclama e sentenza del Consiglio dei dieci
  10. Da Brescia

 

1 Le cernide

Serenissimo Prencipe

Venuto io al governo di questa terra et Rivera, per la commissione datami dalla Serenità Vostra per quel fine, che è in me di ottima administratione, ritrovai in essa molte controversie et dispareri tra principali cittadini di questa terra, che vivono con estremo odio, et molte infestationi di alcuni famosi banditi, ladri, che scorrono alcuna volta per questa Rivera con molto danno degli habitanti. Et perché il capitano Federico Foresti di queste cernide ha portato et porta in ciò molto giovamento a boni, et non poca molestia ad essi scelerati banditi, per la pratica che egli ha fatto di mali diportamenti loro ai luochi et passi di questa Rivera, et perciò giovarebbe molto all’intentione mia, che è di remediare al tutto, come io procuro per la quietezza di questo paese, et per la total estirpatione di detti banditi, che ad esso capitano fosse fatta gratia, come egli riverentemente supplica la Serenità Vostra, di lasciarlo finire la sua condotta, o almeno continuare nel suo carico, per tutto questo mio reggimento, come desiderano anco tutti li soldati di queste cernide da lui, sia ben disciplinati, che in ogni occorrenza può Vostra Serenità promettersi ogni fruttuoso servicio. Mi è parso perciò far le presenti mie, affine che la si degni gratiare esso capitano et anco me, che compitamente io resto sattisfatto delle honorate sue maniere, et del molto valere, et fedeltà sua verso la Serenità Vostra, rimettendomi però sempre al sapientissimo giuditio et voler suo. Gratie.

Di Salò li 5 maggio 1610

Giovanni Battista Loredan Proveditor e Capitano

 

2 Antonio Bonfadino

Serenissimo Prencipe

Io diedi conto, con mie delli 18 del passato, agli illustrissimi signori Capi dell’eccelso Consiglio di Dieci, dell’insulto fatto al signor Bernardino Ganassoni, rapresentante come Podestà di questa terra, la magnifica città di Brescia, da Martin Previdale, et altri di questa Rivera, et veronesi, et il caso fu dellegato, alli 12 instante, dall’eccelso Consiglio di Dieci agli illustrissimi signori Rettori di Brescia, i quali formato il processo, sotto li 21 detto, hanno fatto proclamare esso Martin et compagni in numero de 15 in termine di giorni otto. Esso Previdale continuando nel suo perverso et diabolico pensiero, et mortalissimo odio con li compagni, non contenti di haver fatto detto insulto, et volendo in ogni modo levar di vita esso Podestà, redutissi questa matina per tempo in un luoco poco discosto da questa terra al monte, con bona parte delli proclamati, et ivi accompagnatissi con Zuanne Beatrice, detto Zanon, et Bernardo Bernardinello, detto Ca’ de Dio, famosissimi homicidiari, ladri et assassini da strada, banditi de diversi bandi di tutte le terre et luochi di Vostra Serenità, et in detto loco fermatissi fino alle XI hore in circa, et poi callati alla chiesa maggiore di questa terra, dove sapevano che si attrovava alla messa grande esso Podestà, nel suo loco solito in choro. Essendovi in chiesa grandissima quantità di populo per la solennità che si facceva della festa di San Herculiano, prothetore di questa Rivera, et per essi prese le porte, et intratto Antonio Bonfadino, bravo del Previdale, armato di un terzaruolo sotto il feraruolo, incognito ad esso Podestà, se gli approssimò, et ad un tempo, mentre si cantava l’evangelio, gli sbarò contra il terzaruolo, et lo colse, et trapassò il brazzo sinistro et il fianco, per le quali ferite circa le 20 hore se ne è passato a miglior vita; essendo anco state sbarrate due altre archibugiate da quelli che erano alla porta del campanile, le quali archebugiate smarirno tutti quelli che erano in chiesa, mettendoli terrore et spavento grandissimo, et ciò fatto tutti essi scelerati si unirno et ritirorno verso li monti. Et sebbene di mio ordine fu dato campana a martello, né quelli di chiesa, né altri della terra si mossero a seguitarli, se non otto soli capelletti, che sono stati destinati qui da Vostra Serenità et il mio […] et corte, ma havendoli scoperti in molto maggior numero di quello che erano essi capelletti, et corte, non havendo altro aiuto, si risolsero ritornarsene. Questo gravissimo eccesso di lesa maestà, divina et humana, mi è parso di rapresentare alla Serenità Vostra perché dia quell’ordine che alla somma sua sapienza parerà, dicendole riverentemente che poco mi giova invigillare al bon governo di questi sudditi, continuamente oppressi da forusciti et altri scelerati, non havendo forze per essequire quelli ordeni che stimo necessari, perché quelli pochi officiali che sono qui, tutti dependono da particolari per esser fatti dal Consiglio di questa Rivera, et li capelletti mandati da Vostra Serenità sono pochi, et delle cernide non mi posso assecurare, né redurle in un bisogno così presto, et quelli delle terre, et communi manco si vogliono mover contra essi banditi, o per dipendentie o per timore, et quello che è peggio sono da molti favoriti. Sicché io non so veder altro rimedio a tante sceleratezze, se non con quella debita riverenza, che se mi conviene, raccordare alla Serenità Vostra che si degni mandar ancora almeno altrettanti capelletti, o altri soldati, et fare qualche rigoroso ordine contra quelli, che danno ricetto, favore et aiuto in qual si voglia modo a detti banditi, con premio alli denuncianti, di quel modo che all’infinita prudenza di Vostra Serenità parerà. Gratie.

Di Salò li 29 maggio 1610

Giovan Battista Loredan Proveditor e Capitano.

3 Non si mosse alcuno

Serenissimo Prencipe

Scrissi a Vostra Serenità il compassionevole caso della morte del signor Podestà di questa terra, con modo fastidiosissimo di haver prima li scelerati preso le porte della chiesa, et se le scrissi, che al sono di campana a martello, che io feci dare, non si mosse alcuno, hora le dirò di più, che sarà di sommo dispiacere alla Serenità Vostra che gli istessi scelerati per segno di esser spalleggiati et protetti da dependenti et spie, che tengono in questa terra, ben si ridussero in una casa qui in un borgo con pensiero di far del male. Et mentre che io havuta di ciò noticia facessi con ogni segretezza redur insieme quelli pochi officiali et capelletti, che mi trovo, per mandar a batter detta casa, furno li tristi avisati, et si salvorno. Et per esser questa terra vicina al monte et aperta, non mi posso assecurare che stiano lontani, et essendo questi tutti gente di bassissima conditione, assassini da strada, et parte anco banditi di terre e luochi, dichiaritissi inimici della giusticia, per molti processi contra di essi formati, si sono lasciati intendere di non volersi partire, se non levano di vita me et il mio giudice. Però mi è parso con dilligenza far saper il tutto alla Serenità Vostra, perché la resti servita di far subita provisione di una compagnia de capelletti, overo de corsi, per qualche tempo per conservatione della publica dignità, et diffesa della persona mia, poiché si vede apertamente la disperatione di detti scelerati. Gratie.

Di Salò, l’ultimo di maggio 1610.

Giovan Battista Loredan Proveditor e Capitano.

  1. Condoglianze

Nel Consiglio generale della comunità di Salò, ultimo di maggio del 1610:

Il strano et enorme accidente occorso sabbato prossimamente passato nella persona del quondam molto illustre signor Bernardin Ganassoni cavagliero et già benemerito podestà di questa Riviera, sicome nel publico ha causato nottabilissima perturbatione et per il luoco sacro dove seguì et per la qualità di quel signore et per la degnità in lui rapresentata, così obliga particolarmente questo comune per ogni buon termine di ossequio et osservanza, non ostante la condolienza fatta il giorno medesimo con esso signor podestà mentre fu dal consiglio speciale a nomine publico visitato et quella di heri fatta per la sua morte con l’eccelente signor vicario suo locotenenti, con la illustre sua consorte et anco con l’illustre vice cavagliere Fisogno suo cugnato, di condulerci anco coll’illustrissima città di Brescia et rapresentarle il comune dolore di questa terra et simile successo.

Veniva quindi deliberato l’elezione di due cittadini perché:

si transferiscano quanto prima a Brescia avanti li moltoillustrissimi signori deputati publici rapresentanti dettaillustrissima città a significarli il dispiacere universale sentito perl’offesa seguita nella persona di esso signor Podestà et per la suamorte, con parolle tali che esprimano veramente l’interno comune nostrodolore et la molta riverenza verso di quella come meglio li dettarà la loro prudenza.

 

  1. Paura

Nel Consiglio generale della comunità di Salò, martedì primo giugno 1610:

Essendo stà ricercato il spettabile console dall’illustrissimo signor Proveditore che per quel spettabile console et consiglio sia fatta provisione che la persona sua sia assicurata con guarda d’huomeni che stiano per diffesa di sua signoria illustrissima et suo palazzo. Per dimsotrar la prontissima volontà di questo consiglio verso il Serenissimo Prencipe nostro et li illustrissimi signori rapresentanti et in particolare verso l’illustrissimo signor proveditor l’andarà parte posta per l’eccellente signor Andrea Rotengo consule, che sia eletto un cittadino di questo spettabile consiglio idoneo per capo, il qual debba far provisione di diece homeni soldati, di gusto et sodisfatione di sua signoria illustrissima, quali con archibuggi et altre armi debbano assistere di giorno et di notte per la diffesa di sua signoria illustrissima et palazzo a nome et spese di questo spettabile comune, tassando a cadauno soldato scudi quatro di lire sette venetiane per scudo al mese et a raggion del mese et al capo scudi otto simile al mese et a raggion del mese. Qual capo possa anco eleggere un locotenente delli diece in suo locho, in caso di sua absenza o altro impedimento.

Lo stesso giorno il consiglio generale della comunità di Salò assumeva un’altra parte:

Dovendosi anco far provisione universale per difesa di tutta la terra, acciò li banditi et altri huomeni siccarii non ardiscano venir così facilmente inessa a cometter delitti sotto speranza di poter poi salvarsi.

Vaparte che siano eletti sei collonelli dividendo tutta la terra et borghi in sei parte, un collonello per parte, a quali siano consignati li archibuggi di quel spettabile comune con le sue fiasche, balle o piombo et polvere et corda, dando per cadaun collonello la sua portione. Quali collonelli debbano poi assignare detti archibuggi a particolari delle sue contrate che lor cognosceranno atti per adoperarli et questo per cadauna volta che sentiranno il botto di campana a martello, così di giorno, come di notte. Quali collonelli in ogni occorente occasione come di sopra debbano convocare et ridur insieme tutti li homeni atti a portar arme delli suoi collonelli et quelli insieme con loro correr al palazzo dell’illustrissimo signor Proveditore et seguitar et amazzar quelli che fussero venuti per cometter delitti et anco seguitar banditi che si fussero scoperti in questa sua terra et suo territorio et far tutte quello che sarà ordinato da sua signoria illustrissima ogni volta che sarà sentita la campana come di sopra, sotto quelle pene che sono di ordine di questo Serenissimo Dominio et altre come sarà ordinato dall’illustrissimo signor Proveditore.

Quali archibuggi ad ogni richiesta di questo spettabile comune siano restiuiti all’ordine, aggiongendo che se ocorerà accidente alcuno di notte che albotto della campana ogni famiglia siano tenuti a metterfuori della finestra un lume et tener fuori acesso sino al giorno.

Ed inoltre il 9 giugno 1610 il consiglio deliberò:

Atteso che sia assicurata questa terra nel miglior modo che si può et che alcuno non possi intrarvi di nascosto dalla parte di dietro della fossa.

Va parte che sia procurato per il spettabile console et sindici con l’auttorità dell’illustrissimo signor Proveditore che siano fatte murar suso tutti li usci che si ritrovano nelli toricelli et muraglie sudette et altri forami che si ritrovano in essa.

  1. Oratori della Magnifica Patria a Brescia

Anche il consiglio della Magnifica Patria della Riviera, il 2 giugno 1610, intervenne con due delibere. La prima decise l’invio di alcuni ambasciatori a Brescia. La seconda, proposta di seguito ad una richiesta dello stesso Provveditore, diede luogo ad una discussione accesa ed infine si deliberò di sospendere ogni decisione e di rinviare al pomeriggio:

  1. Oratori della Magnifica Patria a Brescia

1) Il spaventevole caso seguito della morte data al magnifico illustre signor cavaliere Bernardino Ganassoni gentil huomo bresciano, destinato alla podesteria per le cause civili di questa Riviera, mandato dalla magnifica città di Brescia et insieme l’osservanza etdevottione che questa Riviera tiene et ha verso li magistrati et iusdicenti suoi, quali imediatamente rappresentano Sua Serenità ha dato occasione a magnifici signori sindico et deputati di farne condoglianza con li magnificiparenti di esso molto illustre signore qui in Salò et insieme ancora le parerebbe esser cosa conveniente far l’istesso con la sua magnifica città di Brescia per esser suo parto. Il che anco si sarebbe fatto prima d’adesso quando che questo magnifico consiglio s’havesse potuto radunar insieme, ma la lontananza delli signori consiglieri non ha permesso il farlo con maggiore prestezza. Et anco di questo caso ne fosse datto conto a Sua Serenità. Perhò essi magnifici signori deputati mettono parte che a nome di questa Patria sii datt oconto a Sua Serenità di questo caso in quel miglior modo che ad essi magnifici signori deputati parerà conveniente, supplicandola far quella provisione che un tal caso ricerca et questo col mezzo delli eccellenti signori nontio e ambasciatore che si ritrovano in venetia, Et inoltre che siino eletti quattro cittadini honorevoli di questa Patria li quali accompagnati da quel numero di altri honorati cittadini che ad essi parerà vadino quanto prima a nome di tutta questa patria a dolersi con la magnifica città di Brescia e suoi magnifici signori rappresentanti di questo caso, con offerirse gli sempre affetionati et desiderosi dispendere ogni suo talento per servitio di quella magnifica città et suoi dependenti per publico servitio et con quelle più accomodate parole che per complimento tale si ricercano…

2) Lecta fuit etiam alia pars super instantia facta per illustrissimi Provisorem et Capitaneum quod communia huius Rippeariae congregare faciant eorum consilia et in iis deliberent faciendi provisione de personis armatis pro assicuratione persone ipsius illustrissimi domini Provisoris et Capitanei et uti in ea.Cuicontradixit sp. d. sindicus pro debito officii sui. Super quaetiam fuit multum discussum. Tandem supersessa fuit ad melius considerandam. Et admonitum fuit consilium ad post prandium.

Cuius partis supersesse sequitur.

Havendo l’illustrissimo signor Proveditore et Capitano fatta instanza alli magnifici signori sindici et deputati come publici rapresentanti questa Patria per li acidenti che occorrono alla giornata et il mormorio che ha sentito del caminar huomeni banditi, inclinati al mal fare et sturbatori della publica quiete di questa terra et Riviera, veduto il caso seguito della morte con archibusata in chiesa del molto illustre signor Podestà et havendo anco sua signoria illustrissima inteso che tali persone di mal fare vanno disseminando voler far maggior colpo, che così per sicurezza della sua persona rapresentante Sua Serenità in questa Riviera, come anco per la publica quiete et per obviare a mali pensieri et deliberationi di persone inhumane, sprezzatori delle leggi et che vivono senza il timor de Dio, che le sii datta dalli communi guardia de soldati di gusto et a ellettion sua. Perhò li magnifici signori deputati desiderosi ancor essi della publica quiete et in segno della vera et devota fedeltà che hanno sempre mostrata con gli effetti, come publici rapresentanti di questa Riviera verso Sua Serenità et suoi rapresentanti mettono a parte che tutti li consoli delli communi di questa Riviera quanto prima faccino congregar il loro conseglio solito et in quello prendino deliberatione, se così le piacerà, di dar cadauno d’essi a loro spese quell’aiutto d’huomeni ben armati che le forze sue comportano a elletione et gusto perhò di sua signoria illustrissima, perché resti assicurata la persona di esso illustrissimo [………]

 

  1. L’avogadore da Ponte in Riviera

Il 6 giugno 1610, in attesa dell’arrivo dell’avogadore Ponte, il Consiglio della comunità di Salò delibera:

Dovendo venir l’illustrissimo signor avogador Ponte in questa terra, mandato da Sua Serenità per sodisfar all’obligo che habbiamo di honorar al meglio che si può l’illustrissimo signor rapresentante di Sua Serenità

Va parte posta per il spettabile console sia incontrato detta illustrisisma signoria con quel maggior numero di cittadini che sarà possibile a nome, spese di questo comune.

mercoledì, 9 giugno 1610

Havendo il spettabile signor console riferito che questa mattina l’illustrissimo signor Proveditor li ha comesso che faccia far provigione de paiarizzi per 50 corsi, quali han da venir in questa terra oggi o dimani, però esso spettabile signor console mette parte che sian eletti trei del corpo di questo consiglio quali habbino curadi provedere a quello sarà bisogno secondo [….] Sua Serenità per li detti corsi.

  1. Ancora paura

Nel consiglio della Magnifica Patria della Riviera, 16 giugno 1610 fu presa una parte dopo molte discussioni:

Intendendo l’illustrissimo signor Proveditor et Capitano voler tenir una guardia de soldati al palazzo, così per servizio della giustizia come per altri degni rispetti noti a sua signoria illustrissima per potersene servire in ogni occasione opportuna et havendo commesso a magnifici signori sindico et deputati di propria bocca che proveddano di far accomodar sotto la lozetta per puoter tenir detta guardia, il che volendo effettuare et essequire li magnifici signori deputati mettono parte che sii serrata di legnami quella parte di detta lozetta che è appresso la scala del palazzo della porta del massarolo in là verso le prigioni,accomodandola in quella miglior forma che sarà giudicata necessaria per potervi star detti soldati conforme l’intention di sua signoria illustrissima et questo sii fatto a spese di questa magnifica communità.

  1. Il corpo di guardia

Serenissimo Prencipe

Piacque alla Serenità Vostra di ispedire cinquanta soldati corsi, sotto la scorta del capitano Giovan Antonio Arigo, per guardia di questa terra, et per poter istirpare sceme, così depravato, di questi sceleratissimi banditi, che per ancor, con ardire straordinario, si fanno sentire per questo territorio, avvicinandosi anco a questa terra con pregiuditio notabilissimo della publica dignità, et danno de poveri habitanti; et saria necessario mandar fuori in tempo di notte, così per il territorio contra banditi, come per questa terra per vedere che sorte de genti caminano. Poiché havendo io fatto un corpo di guardia sotto questo palazzo, furno persone in grosso numero, che li volsero far violenza, et non ardirno li soldati di zuffarsi, che mi ha dato causa di far publicare un proclama, che se nell’avvenire seranno persone così temerarie, che ardiscano di usare simili insolenze, possano essere dalli soldati offesi impunemente; et volendo che li soldati possano caminar sicuri di notte, et non essere scoperti dal fuoco delle corde, hanno bisogno di arcobusi da ruota. Et io scrissi all’illustrissimo signor Capitano di Brescia, che si compiacesse di commodarmi di cinquanta arcobusi da ruota, facendole restituir quelli da fuoco per servitio di essi soldati; et tenni avviso da Sua Signoria illustrissima, che non poteva ella in ciò disponere senza speciale commandamento della Serenità Vostra. Onde io ne son costretto di supplicare riverentemente a Vostra Serenità come faccio, che si degni di dar ordine ad esso illustrissimo signor Capitano per la consegna di essi arcobusi, o per imprestito, overo ricambiarli con tuor quelli da fuoco, et dargliene da ruota, acciò si possa far quelle provisioni che si convengono contra questi scelerati. Gratie.

Di Salò il 24 di luglio 1610.

Giovan Battista Loredan Proveditor e Capitano.

 

  1. A Maderno

Lo stato di allerta venne esteso anche ad altre comunità,come sembra attestare la delibera assunta dal comune di Maderno il 6 giugno 1610, su proposta del console:

Essendo successo il despiacevolissimo caso della morte del molto illustre signor Cavalliere Ganassone Podestà di Salò, commesso da sceleratissimi genti, con innaudita et straordinaria temerità in chiesa; et desiderando l’illustrissimo signor Proveditore et Capitano far quelle provisioni necessarie contra tali delinquenti, perché non vaiano vanagloriandosi di tanto delito, ha ricercato me console che io vogli rappresentare a questo consiglio et farli sapere il giusto suo desiderio che serà anco di compito servitio di questo comune et di tutta la Patria insieme, persuadendo tutti dell’istesso consiglio a prender parte di dar a sua  signoria illustrissima quella provisione de homeni che conforme alle forze di questo comune serà giudicato conveniente, da esser eletti per sua signoria illustrissima, come ha fatto il comune di Salò et poter esseguire quanto desidera, come si rende sicuro che serà fatto da questo et da tutti gli altri comuni della Patria. Però l’anderà parte che sia datta authorità a sua signoria illustrissima di poter ellegere huomeni numero quattro, quali con archibugi et altre armi debbano star all’obedienza di esso illustrissimo signor Proveditore per il tempo che serà necessario, con paga di scudi quattro per cadauno da troni sette per scudo, da esser pagati da questo comune.

  1. A Brescia, prima dell’omicidio del podestà

Da Salò a Brescia e a Venezia

La notizia delle tensioni esistenti a Salò era stata comunicata dai rettori di Brescia sin dagli inizi di maggio del 1610. Nel loro dispaccio dell’8 maggio essi allegarono pure la delibera dei deputati cittadini. Da questi documenti emerge come il futuro coinvolgimento di Zanzanù nell’omicidio del podestà Ganassoni, fosse del tutto strumentale:

(CAPI CONSIGLIO DEI X, DISPACCI DEI RETTORI, BUSTA 27

  1. 92)

Illustrissimi et eccellentissimi signori colendissimi

Sono comparsi avanti di noi li magnifici signor abbate et deputati di questa magnifica et fedelissima città, esponendoci con una loro scrittura qui occlusa, l’insulto fatto alla persona del magnifico signor Bernardin Ganassone cavalier podestà di Salò, mandato a quel governo da questo general consiglio da alcuni veronesi al numero de vinti adherenti d’un Martin Previdal di detta terra di Salò, che portava, et porta odio al detto podestà, armati tutti loro di arcobuggi et nella maniera et per le cause più esprosse nella propria scrittura, per confermatione delle qual tutte cose è venuto parimente a ritrovarci il detto signor cavalier Ganassoni, facendoci consapevoli in voce della medesima ingiuria, aggiongendoci che costoro la mattina dello stesso giorno che fu d’aprile, andorono attorniando alla sua casa et inquirendo s’esso si ritrovava in essa, ma essendo egli assente et andato a i capucini per udir missa, et supponendo che questo accidente potesse esser venuto a noticia di quella giusticia massime che prima havevano fatto certo insulto sotto la loggia di quel palazzo a Giacomo Locadello servitor del detto signor podestà, si rissolsero di partircon le due barche, con le quali avicinandosi alla già detta casa fecero quanto ch’è stato esposto per essa scrittura, voltando verso di lui gli arcobuggi, che facilmete havrebbono anco sbarato, se da un di loro colfarglieli levar in alto non fossero stati impediti; onde noi a gratificatione d’essi signori deputati et del medesimo signor podestà habbiamo stimato esser bene di rappresentar all’eccellenze vostre illustrissime le sodette espositioni, oltra quelle, che saranno, et che fin hora sono state introdotte dal nontio d’essa magnifica et fedelissima città, accioché possino l’eccellenze sue deliberar intorno ciò la sua volontà gratia…

Di Brescia gli 8 di maggio 1610.

Li rettori

Delibera dei deputati del consiglio di Brescia:

Illustrissimi signori rettori

Nel mese d’aprile passato un Carlo Bononome veronese et Martin Previdali da Salò accompagnati da molti altri huomini di mali qualità al numero de vinti in circa per quanto a noi diputati publici dilla città ha rifferto l’illustrissimo signor Bernardino Ganasone cavagliere podestà in essa terra, passarono in due barchi avanti la sua casa et dove a basso dillaripa del lago egli se ne passigiava i quali dopo havergli per scherno fatto molti gridori et urli, per maggior affronto anco gli abassorono li archibusi contra, il tutto operando per quanto crede diesso signor cavaglier per particolar odio et malevolenza che gli portano al podestà, havendo essi havuto sospetto che un Giacomo Lovatello servitore di esso signor podestà a quel tempo inquisito et presentato nelle forze della giustizia di quello illustrisimo signor proveditore habbi con l’asesnso e partitipatione sua voluto scoprire et certificare molti delitti et latrocinii de quelli vien detto che essi Previtali et suoi compagni siano colpevoli. Et si ben dopo avisate questi tali dell’informatore a noi detta perdetto signor cavaglier Ganassone fecero officio col meggio de suoi intervenienti di sincerarsi negando haver fatto alcuna delle soddette operacioni, proponendo insieme il desiderio loro qual sarebbe statto che questo caso fosse dal eccelso consiglio dedieci delegato servatis servandis alli vostre signorie illustrissime non per questo a noi e però parso che offesa et strapazzo così grave fatto contra la persona di podestà mandato da città così fedele et devota, ma altretanto cara a sua serenità debba passarsi senza il condegno et meritato castigo. Che perciò habbiamo voluto riccorrerci alla grazia et benignità delle vostre signorie illustrissime riverentemente supplicandole come facciamo si vogliano degnare di rappresentare questo gravissimo caso all’illustrissimi et eccellentissimi signori capi del eccelso consiglio de dieci, accioché venendo in cognitioni, che talinsulto et offesa sia statta comessa come si è detto, possano li delinquenti ricever quel casigo che deve meritarsi un tanto eccesso et alle vostre signorie illustrissime humilmente si raccomandiamo.

 

  1. Proclama e sentenza del Consiglio dei dieci

Di seguito alle informazioni inoltrate da Salò e Brescia,il Consiglio dei dieci assunse il caso dell’uccisione, inviando (cfr.supra) l’avogadore Ponte ad istruire la prima fase del processo. Ecco il proclama e la sentenza del Consiglio dei dieci:

Proclama e sentenza del Consiglio dei dieci contro gli autori dell’omicidio del podestà di Salò

Si riporta la sentenza emessa dal Consiglio dei dieci contro Zuanne Zanon detto Zanzanù e altre persone accusate dell’omicidio del podestà bresciano di Salò (in Archivio di Stato di Venezia, Consiglio dei dieci, Comuni, filza 39). Come avveniva nell’attività giudiziaria del Consiglio dei dieci, i fatti incriminati erano riportati nel proclama con cui gli imputati erano citati a presentarsi alle carceri, mentre la sentenza vera e propria si limitava ad esprimere le pene inflitte.

1610 5 luglio In Consiglio di dieci

  1. Bertucci Bondumier, Nicolò Bon, D. Lunardo Mocenigo, Capi. D. Antonio Ponte Avogador

Che Antonio Bonfandini detto Tonina, Zuan Antonio Agustini figliolo del Medegotto Dalle Urange , Ottavio Boccalaro detto il Conte,  Bernardo Ca’ di Dio suo fratello, Martin Previdal, Zuanne Zanon, Benedetto Dusi da San Felice detto il Chierego, Rocco Bartholi familiare delli Ceruti, Andrea Bacolo sive Ben

Imputati,videlicet Antonio Bonfandino, Zuan Antonio dei Augustini, Ottavio Boccalaro, Bernardo suo fratello, Martin Previdali, Zuanne Zanon et Benedetto Dusi, che por tando odio per le cause come nel processo al quondam cavallier Bernardin Ganassoni, che si trovava perla magnifica et fedelissima città di Bressa podestà nella Terra di Salò, accompagnati da Rocco Bartholi, Andrea Bacolo et altri che per hora si tacciono, soliti pratticar nella casa di Bonifatio et Ambroso Ceruti, tra quali Ceruti et il predetto podestà passavano disgusti et inimicitia, si siano tutti unitamente conferiti la mattina de dì 29 maggio prossimo passato alla chiesa del Domo di quella terra et mentre si cantava la messa grande per la solenne festività, solita farsi in detto giorno, con frequenza di molto popolo, spaleggiato esso Antonio Bonfadino dalli predetti, appostatisi insidiosamente con haver occupate le porte della chiesa et del campanle di essa, per dove si esce nella publica stradda, et perdove anco lisudetti Antonio Bonfadino, Ottavio Boccalaro, Zuan AntonioAgustini etaltri entrorono per commettere enormissimo et abhominevole delitto, con pessimo essempio et con offesa della publica dignità, in persona che essercitava ministero di giusdicente et senza alcun rispetto di luoco sacro, né di tempo.

Ma con temerario ardire habbi il predetto Antonio Bonfadino sbarato un pistolone terzaruolo nella vita al sudetto podestà, mentre stava intento alla messa, colpendolo con la balla nel braccio che le penetrò nel ventre, oltre due altre archibusate che quasi nell’istesso tempo le furono dalla istessa parte del campanile sbarate ncotro con tre balle per cadauna, le quali per voler del signor Dio, benchè nella maggior frequenza di popolo non perirono però alcuno.

Una delle qual archisusate fu sbarata dal sopradetto Agustini etl’altra da persona che per hora si tace. Per le quali ferite poche hore da poi sene passò a miglior vita, fuggendo li predetti tutti sicari uniti, dopo commesso un tanto eccesso, con gli archibusi bassi et cani tirrati giù,con spavento universale. Et havendo nella fuga incontrato il padre fra Giovan Maria dei Carmeni nella terrà di Salò, che se ne andava al palazzo per celebrar la solita messa al proveditor et capitano dell’istessa terra et Riviera, lo seguitorono per privar anch’esso di vita, come facilmente sarebbe sucesso se egli non si fusse salvato in una casa, finché essendo da capelletti et dalla corte di detto proveditor et capitano seguitati, si salvorono col sbarro di diverse archibusate da loro tirrate contra li sudetti capelletti et corte.

Siano ritenti et non potendosi havere siano proclamati in Salò et inquesta città ad appresentarsi nel termine di giorni otto prossimi alle prigioni dei capi di questo consiglio per scolparsi dalle imputationi sopradette; et le persone loro commesse al collegio criminal di questo consiglio, con tutte le clausule solite et consuete.

Et da mò sia presoche la retentione fatta in Bressa di ordine dell’avogador Ponte delle persone di Bonifacio et Ambroso Ceruti sia per le cose dette et lette confirmato et le persone loro commesse al collegio criminal come di sopra. Dovendo li capi di esso Consiglio scriver con l’auttorità di esso Consiglio alli rettori di quella città, che con prima occasione di scorta sicura mandino alle loro prigioni li sudetti Ceruti.

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1610 4 agosto In Consiglio di dieci

  1. Antonio Ponte Avogador

Sel ve par che, per le cose dette et lette, si proceda contra Antonio Bonfadino detto Tonina, Zuan Antonio Agostini fiol del Medegotto dalle Urange, Ottavio Boccalaro detto il Conte, Bernardo Cà de Dio suo fratello, Martin Previdale, Zuanne Zanon, Benedetto Dusi da San Felise detto il Chierico, Andrea Baccoli sive Ben, absenti ma legitimamente citadi.

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Il Serenssimo Principe. Consiglieri: D. Zuan Malipiero, D. Francesco Loredan, D.Giacomo Pesaro, D. Zuanne Moro, absente D. Andrea Basadonna. Capi: D.Marcantonio Vallaresso, D. Almorò Zane, D.Francesco Correr. Avogadori di comun: D. Zuan Basadonna, D. Antonio Ponte.

Vuolemo che siano perpetuamente banditi di questa città di Venetia et destretto et di tutte le altre città. Terre et luochi del dominio nostro, terrestri et maritimi, navili armati et disarmati. Rompendo el confin, essendo cadaun di loro presi, sia condotto in questa città, dove all’hora solita, posto in un solaro sopra una piatta sia condotto a Santa Croce, dove le sia tagliata la man più valida sì che si separi dal braccio, con la qual attaccata al collo debba esser ricondotto a coda di cavallo fra le due colonne di San Marco et nell’andar et nel ritornar per un comandador publicate le sue colpe. Et le siano per viaggio date quattro botte di tanaglia. Et gionto nel detto luoco, frale due colonne, le sia per un ministro di giustitia, sopra un solaro eminente, tagliata la testa, sìche si separi dal busto et muora, et ilsuo cadavare, diviso in quattro quarti da esser attaccati ai luochi soliti, con taglia alli captori,overo interfettori, fatta legitima fede della interfettione, di lire mille de piccoli dei suoi beni se ne saranno, se non delli denari della cassa di questo consiglio deputati alle taglie.

Chi veramente amazzerà in terre aliene per cento miglia oltre li confini, fatta legitima fede della interfettione, conseguirà, oltre le taglie sudette et oltre li benefici promesi dalle leggi in materia de banditi, voce et facoltà di liberar anco per cadauno di loro un altro bandito  di tutte terre et luochi del dominio nostro in perpetuo, da qualsivoglia consiglio, reggimento o magistrato et anco di questo consiglio o con l’auttorità di esso, purchè habbiano li requisiti delle leggi et nella sua sententia non ci sia alcuna condition.

Tutti li suoi beni, di qualonque sorte presenti et futuri et la legitima dei figliuoli di famiglia, siano et s’intendano confiscati. Dovendo il terzo di ogni confiscatione essere intieramente prima contato nella cassa di questo consiglio et il resto applicato et diviso, giusta la parte 1578.  Et le case, in qualonque luoco poste, di ragion di Antonio Bonfadin, di Zuan Antonio dei Augustini et Zuanne Zannon siano dalle fondamenta gettate a terra et spianate con perpetua memoria. Non possa il sudetto Bonfadin liberarsi mai in tempo alcun dal presente bando per facoltà che alcuno havesse o fusse per havere, nessuna eccettuata, né per via di raccordi, denontie secrete o rialditione, né per qualsivoglia gratia, neanco ad intercessione de principi, senon con tutte le ballotte di questo consiglio et Capi, ridoto al perfetto numerodi 17. Gli altri veramente sopranominati non possano per lo spatio di anni vinti prossimi venturi liberarsi, né ottener gratia alcuna come di sopra, se non con la captura di detto Bonfadin, overo di alcuni altri dei sudetti suoi compagni banditi come di sopra. Et sia publicato.

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Francesco Contarini cavalier, consiglier

Vuol in tutto et per tutto la parte sopradetta, eccetto che dove è detto che siano spianate le case di tre sia detto che debbano esser spianate quelle di tutti li soprannominati.

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Nell’omidicio del podestà Ganassoni vennero pure coinvolti i due fratelli Ceruti. In realtà essi furono accusati su istigazione del mercante Alberghino Alberghini, loro rivale. Successivamente i due fratelli insieme allo stesso Rocco Bartoli (loro servitore) vennero assolti dallo stesso Consiglio dei dieci. Per tutta la vicenda, che si inserisce nella faida di Salò si veda il punto inerente il mercante Alberghino Alberghini. E’ dunque presumibile che lo stesso Zanzanù (il quale si appoggiò tra il 1609 e il 1610 alla famiglia Ceruti) non fosse minimamente coinvolto nell’omicidio del podestà di Salò, ma evidentemente non potè presentarsi per difendersi dall’imputazione (come lascia intendere nella sua supplica del 1616).

  1. Da Brescia

Si riporta il passo tratto da Il catastico bresciano di Giovanni da Lezze: (1609-1610), con prefazione di Carlo Pasero, Brescia 1969-1973, 3 v., pp. 34-35:

Ma clamoroso, tale da profondamente commuovere la pubblica opinione bresciana per la sua efferatezza e per l’importanza della persona, fu l’assassinio in Salò del nobile cav. Bernardino Ganassoni, rettore di quella podesteria maggiore in nome della città, colpito a morte da una o più archibugiate mentre in Duomo assisteva ad una funzione religiosa la vigilia di pentecoste, 29 maggio del medesimo anno, Ne diede immediata notizia Cristoforo Gallo con un suo dispaccio alle autorità bresciane ed il Consiglio Generale cittadino, subito adunato, ordinò a Gerolamo Chizzola proprio nunzio residente in venezia ed agli oratori Luigi Landi e Lorenzo Riva, colà da qualche tempo incaricati di una missione a causa di alcune contestazioni giurisdizionali, di chiedere l’intervento governativo ed una pronta inchiesta per accertare le responsabilità e per esemplarmente punire i rei di tanto crimine.

La pubblica voce fu sollecita nell’addossarne la colpa, diretta oppure indiretta, alla famigerata banda di Giovanni Zanoni, allora temutissima soprattutto dalle popolazioni del lago; in Brescia,tuttavia, non pochi sospettarono che il misfatto si dovesse attribuire allo stato di tensione fin dal 1440 esistente tra la città e la Riviera benacense, la quale pure non trascurò di esprimere le proprie condoglianze ufficiali. Ma le indagini subito avviate dall’avogadore Da Ponte misero in luce “disgusti et inimicitia” tra il podestà Ganassoni e la banda di Bonifacio e fratelli Ceruti; accertò inoltre che alcuni loro aderenti avevano già in precedenza minacciato il magistrato bresciano a causa di certe condanne sue e del provveditore veneto Giovan Battista Loredan per un furto da coloro perpetrato in un filatoio locale. Esecutore del delitto fu indicato tale Antonio Bonfadini detto Tonina e con lui si sospettò anche Giovan antonio Agostini, figlio del Medicotto da Livranghi; li avevano spalleggiati Rocco Bartoli, Andrea Baccioto detto ben ed altri; tutti vennero chiamati in giudizio a Venezia.

L’assassinio del Ganassoni fu invero determinante motivo perché il governo centrale finalmente si decidesse ad adottare misure di emergenza nel bresciano e nelle altre provincie del dominio “per ritrovarsi ancora tutto lo stato della Repubblica infetto di banditi”. Due provveditori ed inquisitori di Terraferma, uno al di là ed uno al di qua del Mincio, ricevettero l’incarico di restaurare la legge e di restituire la tranquillità alle terrorizzate popolazioni; in veste e con autorità appunto di provveditore giunse a Brescia, atteso e salutato con fervido augurio, il medesimo Leonardo Mocenigo già ricordato per la sua precedente energica azione podestarile

Nel prosieguo della ricerca.

L’archivio di stato di Venezia e quello di Brescia conservavano molte tracce (anche se spesso esili e indefinibili). Per ritrovarle era necessario che l’interpretazione si rivolgesse a cogliere percorsi che le fonti ufficiali erano restie a rivelare.

Ma i risultati sono stati sorprendenti…

 

Flashback. Ricostruzione di un retroscena con un personaggio tra le quinte: Giacomo Lovadello (Salò tra aprile e maggio del 1610).

Già da subito, Giovan Battista Loredan sembrava conoscere molto bene le dinamiche che avevano condotto al delitto. Non aveva esitazioni a sottolineare il timore e l’assoluta passività che avevano contraddistinto l’atteggiamento dei salodiani. Solo i soldati che agivano ai suoi ordini avevano quantomeno mostrato di reagire. Di certo egli indicava chiaramente i colpevoli di tanto misfatto. Tra di essi compariva anche Zuanne Beatrice detto Zanon, che da ben otto anni, pur colpito da numerosi bandi, si muoveva nei territori dell’Alto Garda, combattendo con determinazione nemici ed avversari. Il suo nome era divenuto famoso, anche perché era sempre riuscito a sfuggire agli insidiosi attacchi ed agguati organizzati dai soldati inviati da Venezia o dai numerosi banditi e cacciatori di taglie attratti dalle cospicue taglie che pendevano sul suo capo. Ed alcuni noti nemici ed avversari del podestà Ganassoni s’erano uniti all’ormai famoso ed imprendibile bandito per compiere la temeraria impresa nel Duomo di Salò. Una liaison che li avrebbe inesorabilmente stritolati nell’imminente azione repressiva condotta direttamente dalle magistrature veneziane.

Le notizie che Giovan Battista Loredan inviò al Senato il 29 maggio 1610 erano alquanto dettagliate. Ma quanto erano affidabili e precise? E’ comunque importante partire dal dispaccio da lui inviato a Venezia, quando, si può dire, il cadavere del compianto podestà era ancora caldo, anche perchè la sentenza, che il Consiglio dei dieci avrebbe pronunciato nel luglio successivo per l’uccisione del Ganassoni, ne avrebbe sostanzialmente convalidato il contenuto.

Secondo il rappresentante veneziano c’era dunque un retroterra conflittuale che aveva infine condotto all’uccisione del podestà bresciano. Un’affermazione che, paradossalmente, lasciava intravedere pure una sua qualche forma di responsabilità, in quanto gli si poteva imputare di non essere riuscito ad impedire le estreme conseguenze di uno scontro vero e proprio, già delineatosi sin dall’aprile precedente. Evidentemente, ciò che premeva a Giovan Battista Loredan era allontanare da sé il plausibile sospetto d’inefficienza, anche se, come vedremo subito, il suo ruolo in tutta la vicenda non fu irrilevante e, per certi versi, fu strettamente intrecciato con l’iniziativa intrapresa dal  Ganassoni tra l’aprile e maggio del 1610.

Si tratta di antefatti rilevanti e decisivi per capire quanto sarebbe poi accaduto il 29 maggio 1610, ma che soprattutto si costituiscono, nell’insieme, come una vicenda inquietante, da cui emerge come il podestà Bernardino Ganassoni e il provveditore Giovan Battista Loredan avessero di certo proceduto di comune accordo per mettere fuori gioco Martin Previdale e i suoi compagni.

Il 21 aprile 1610 i  Deputati della città di Brescia scrissero una lettera al nunzio cittadino residente a Venezia per sollecitare l’intervento delle magistrature veneziane in alcuni gravi episodi avvenuti a Salò proprio nei giorni precedenti:

E’ comparso qua da noi l’illustrissimo signor cavallier Ganassone, Podestà di Salò e si ha esposto che un tal Carlo Bonanome veronese et Martin Previdale da Salò, con molti altri, nel passare avanti al suo palazzo in barca, essendo lui abasso che apassegiava dietro alla riva del lago, cominciorno con molta insolenza a gridare e far gesti e moche contro la persona di esso signor Podestà, abbasando anco con temerità grandissima li arcobugi, come più distintamente potrete vedere da una scrittura formata da esso signor cavaglier, che costì vi sarà mostrata da suoi agenti. Però considerato benissimo questo negotio […] havemo terminato che dobiate comparere avanti li excelentissimi signori Capi et esporli questa tal insolenza usata a detto illustrissimo signor Podestà con offesa anco della reputatione e dignità publica et esporli anco che […] sono qua comparsi alcuni intervenienti delli sudetti Carlo Bonanome et Martin Previdale et hanno presentato la aclusa scrittura  nella quale negano haver usata detta insolenza; però non havendo noi giustificatione alcuna et dovendo dar maggior credenza all’esposizione fatta dall’illustrissimo signor Podestà, suplicar perciò sue signorie illustrissime excellentissime che voliano comettere che sia sopra di ciò fatta diligente perquisicione et se sarà trovato che siano colpevoli, pregarli a volerli dare quel castigo che merita una tal insolenza.

Sarete però avisato che havemo inteso che questi tali disegnano comparer loro ancora a volersi difendere.

Parimente sarete avertito che havendo noi hauto l’atentione dell’illustrissimo signor Proveditore di Salò di voler elli venir a Venetia a consiliar questo negotio per aiutar in tutto quello potrà questa causa a favore d’esso signor Podestà, si è però messo in consideratione se fosse statto bene l’esser seco unito a consiliar la sudetta causa et si è risoluto non esser bene. Però se vi sarà detto qualche cosa potrete dirle che havete così comissione di non intervenire per maggior beneficio della causa…..

I dirigenti bresciani erano stati dunque informati direttamente dal Ganassoni intorno a quanto era accaduto pochi giorni prima a Salò. Nonostante l’intervento giustificativo degli avvocati del Previdale e del Bonanome essi scrivevano al nunzio a Venezia di richiedere l’intervento del Consiglio dei dieci perché fosse fatta luce sul grave episodio che metteva in discussione la stessa dignità pubblica della città. Essi riferivano inoltre che il Provveditore di Salò era intenzionato a recarsi a Venezia per sollecitare a sua volta l’intervento della suprema magistratura veneziana a difesa del podestà Ganassoni. Ma, aggiungevano i deputati bresciani, era opportuno che il nunzio respingesse diplomaticamente il suo aiuto.

Che i pubblici rappresentanti di Brescia diffidassero dell’aiuto interessato del Provveditore di Salò in una questione che riguardava così da vicino l’immagine e l’onore della giurisdizione cittadina non può stupire. Ma è di certo sorprendente che il provveditore veneziano manifestasse, probabilmente tramite lo stesso Ganassoni, la sua disponibilità ad intervenire direttamente a Venezia per sollecitare a sua volta l’intervento del Consiglio dei dieci. Un comportamento discutibile, che lasciava intravedere un suo coinvolgimento personale nella vicenda e che è maggiormente comprensibile alla luce del dispaccio che il 28 aprile successivo il nunzio bresciano Girolamo Chizzola indirizzava in risposta ai deputati cittadini.

Il Chizzola era riuscito finalmente a farsi ricevere dai Capi del Consiglio dei dieci, cui aveva presentato una supplica a nome della città. Costoro però, prudentemente, come egli riferiva ai pubblici rappresentanti bresciani:

sono entrati in opinione che le Magnifiche Vostre debbano far instanza a signori rettori che rappresentino a Sue Eccellenze questo fatto con sue lettere, per dar maggior riputatione al caso et la causa, mediante esse lettere, si facia publica, onde habbino maggior pretesto per prendere il procedere, dicendo che essi lo sentono vivamente, né poter li signori Rettori ricusar di scrivere, essendo offesa la dignità di quella città nel suo giusdicente et di medesimi signori Rettori, che con sue patenti lo mandano a quel governo et viva si può dire sotto l’ombra et prottetione del’auttorità et superiorità sua.

Una risposta sottile, che abilmente rilanciava l’iniziativa alla città, la quale, in tal caso, doveva esplicitamente farsi carico della difesa del suo rappresentante. Ma il Chizzola aggiungeva altri particolari proprio in merito alla posizione ambigua del Provveditore di Salò:

Il clarissimo Proveditore haveva scritta la qui acclusa lettera, per farla presentar alli eccelentissimi signori Capi et voleva che la facessimo consigliare, ma ciò repugnando alle lettere delle magnifiche Vostre, che mi avertiscono a non essere con lui uniti, il che inteso da lui penso che non l’habbia fatta presentar.

 

Giovan Battista Loredan si era dunque recato a Venezia con il dispaccio diretto ai Capi del Consiglio dei dieci e nel quale li informava di quanto era accaduto al podestà Ganassoni, chiedendo, nel contempo, che il nunzio, a nome della città, sorreggesse e convalidasse la sua iniziativa. Il Chizzola, com’era stato consigliato dai deputati cittadini, aggirò la richiesta e, di conseguenza, ritenne scontato che il Loredan rinunciasse infine ad inoltrare il suo dispaccio. In realtà, come sappiamo, proprio dalla lettera che il Provveditore scrisse il 29 maggio 1610, egli presentò comunque il dispaccio, datato 18 aprile 1610.

Giovan Battista Loredan aveva dunque atteso ben dieci giorni per inoltrare le informazioni inerenti gli insulti ricevuti dal Ganassoni. Se poi pensiamo che la medesima aggressione era avvenuta il 13 aprile, appare del tutto sorprendente il lungo lasso di tempo da lui impiegato per informare il massimo organo veneziano su un caso così importante e delicato e di cui comunque era tenuto a dare segnalazione.

Perché questa lunga attesa? Evidentemente perché egli riteneva importante che l’inevitabile azione giudiziaria fosse gestita da lui direttamente e in prima persona. E questo poteva essere più agevolmente ottenuto se la sua iniziativa fosse stata sorretta dalla città di Brescia. E’ infatti probabile che un episodio così grave, avvenuto a Salò, ma concernente direttamente la giurisdizione della città, fosse delegato ai rettori di Brescia con la concessione dello stesso rito inquisitorio del Consiglio dei dieci. Evidentemente Giovan Battista Loredan temeva che il processo potesse far emergere talune sue responsabilità, insieme a quelle stesse del podestà Ganassoni.

Il suggerimento che i Capi del Consiglio dei dieci avevano rivolto al nunzio bresciano venne evidentemente accolto, poiché, in data  8 maggio 1610, i rettori di Brescia comunicarono al Consiglio dei dieci che i Deputati della città avevano presentato loro una scrittura in cui si descriveva l’insulto rivolto al podestà Ganassoni.

Nella loro rimostranza scritta i Deputati cittadini ribadivano quanto già, qualche giorno prima, il nunzio residente a Venezia aveva esposto ai Capi del Consiglio dei dieci, ma aggiungevano pure altri particolari molto importanti:

 

Illustrissimi signori Rettori

Nel mese d’aprile passato Carlo Bononome veronese et Martin Previdale da Salò, accompagnati da molti altri huomini di mali qualità, al numero in circa, per quanto a noi Deputati publici della città ha rifferto l’illustrissimo signor Bernardino Ganassone cavagliere Podestà in essa terra, passarono in due barche avanti la sua casa et dove abasso della ripa del lago egli se ne passeggiava. I quali, dopo havergli per scherno fatto molti gridori et urli per maggior affronto, ancora gli abassorono li archibusi contra, il tutto operando, per quanto crede esso signor cavalier, per particolar odio et malevolenza che gli portano, havendo essi havuto sospetto che un Giacomo Lovatello, servitore di detto signor Podestà, a quel tempo inquisito et presentato nelle forze della giustitia di quello illustrissimo signor Proveditore, habbi con l’assenso et participatione sua voluto scoprire et certificare molti delitti et latrocini de quelli vien detto che essi Previdali et suoi compagni siano colpevoli.

Et se ben dopo avisati questi tali dell’informatione a noi data per detto signor Ganassoni, fecero officio col meggio de’ suoi intervenienti di sincerarsi negando haver fatto alcuna delle sodette operacioni, proponendoci insieme il desiderio loro qual sarebbe statto che questo caso fosse dall’eccelso Consiglio de dieci delegato servatis servandis alle Vostre Signorie illustrissime, non per questo a noi è però parso che offesa et strappazzo così grave, fatto contra la persona di podestà mandato da città così fedele et devota, ma altretanto cara a Sua Serenità, debba passar senza il condegno et meritato castigo. Che perciò habbiamo voluto riccorerci alla gratia et benignità delle Vostre Signorie illustrissime riverentemente supplicandole, come facciamo, si vogliano degnare di rappresentare questo gravissimo caso alli illustrissimi et eccelentissimi signori Capi dell’eccelso Consiglio di dieci, acciò che, venendo in cognitione de tal insulto et offesa, sia statta comessa, come si è detto, possano li delinquenti ricever quel castigo che deve meritar un tanto eccesso.

Et alle Vostre Signorie illustrissime humilmente si raccomandamo.

 

Nella scrittura della città si evidenziava chiaramente come Giacomo Lovadello, servitore del podestà e da lui sorretto nella sua iniziativa, avesse accusato Martino Previdale e i suoi compagni di delitti assai gravi. Un’accusa grave, difficilmente contestabile nel momento in cui lo stesso provveditore Loredan sembrava appoggiare quella che, a tutti gli effetti sembrava una manovra del podestà Ganassoni per mettere fuori gioco il gruppo di mercanti salodiani.

Il 12 maggio successivo il Consiglio dei dieci delegò il caso ai rettori di Brescia conferendo loro l’autorità di procedere con il rito inquisitorio. Come sappiamo dal dispaccio scritto dal Provveditore Loredan il 29 maggio 1610, i rettori di Brescia istruirono rapidamente il processo e già il 21 dello stesso mese citarono solennemente ben 15 degli imputati a presentarsi alle carceri cittadine per difendersi dalle imputazioni loro rivolte. Ad essi venivano concessi otto giorni di tempo per presentarsi e procedere poi alle loro difese.

Gli otto giorni scadevano il 29 maggio 1610. Come già abbiamo potuto vedere, la mattina di quel giorno, festa di San Ercoliano, patrono della Riviera del Garda, mentre assisteva alla messa solenne nel duomo cittadino, il podestà Bernardino Ganassoni veniva ucciso da uno degli uomini che egli così tenacemente aveva sperato ed auspicato che fossero severamente puniti per l’affronto subito. Antonio Bonfadino detto Tonina compiva il gesto estremo, ma quasi certamente del tutto meditato, di lavare con il sangue l’offesa ricevuta nell’onore. Un’offesa che, probabilmente, molti di coloro che stavano seduti in chiesa ad assistere alla messa solenne, conoscevano bene.

 

Scena quarta. Salò, il console della comunità Andrea Rotengo, nella sala consigliare della Magnifica Patria (domenica, 6 giugno 1610)

 

Sembrava aver perso la testa. Dava ordini a destra e a manca e guardava sospettosamente qualsiasi persona che lo avvicinava. Ovviamente si guardava ben dall’uscire dal proprio palazzo, in cui s’era rinserrato subito dopo l’omicidio del podestà. Nelle funzioni di rappresentanza si era fatto sostituire dal giudice del maleficio Marcantonio Cavino. In qualità di console della comunità di Salò era stato ripetutamente chiamato da lui perché provvedesse alla sua sicurezza. Sì, il provveditore Giovan Battista Loredan sembrava essere uscito di senno. E continuava con quella storia che nessuno di loro si era mosso per inseguire e prendere i malfattori che avevano ucciso il Ganassoni. Non spettava a lui, in fin dei conti, assicurare la pace in città? Non era di sua competenza l’amministrazione della giustizia penale? Chissà che cosa scriveva a Venezia. E non nascondeva neppure di avere delle simpatie per i bresciani. E del resto lo avevano percepito tutti, ben prima dell’omicidio compiuto nel duomo della città. Con il podestà Ganassoni aveva francamente superato le misure della decenza, incoraggiandone le aspirazioni e le ambizioni, che di fatto esorbitavano dai compiti previsti dalla sua carica. Ed ora, invece di difendere le prerogative della Magnifica Patria soffiava sul fuoco alimentato da Brescia.

L’omicidio del podestà li aveva evidentemente messi in difficoltà. Già da subito erano accorsi dal podestà ferito per esprimere il loro rammarico e poi, dopo la sua morte, avevano manifestato le loro condoglianze più sentite alla vedova e al vicario Cristoforo Gallo. Inoltre, il 31 maggio, avevano pensato bene di correre ai ripari assumendo in consiglio una delibera che era stata presa a pieni voti. Si trattava, indubbiamente, di un caso strano ed enorme:

Il strano et enorme accidente occorso sabbato prossimamente passato nella persona del quondam molto illustre signor Bernardin Ganassoni cavagliero et già benemerito podestà di questa Riviera, sicome nel publico ha causato nottabilissima perturbatione et per il luoco sacro dove seguì et per la qualità di quel signore et per la degnità in lui rapresentata, così obliga particolarmente questo comune per ogni buon termine di ossequio et osservanza, non ostante la condolienza fatta il giorno medesimo con esso signor podestà mentre fu dal consiglio speciale a nomine publico visitato et quella di heri fatta per la sua morte con l’eccelente signor vicario suo locotenente, con la illustre sua consorte et anco con l’illustre signor cavagliere Fisogno suo cugnato, di condulerci anco coll’illustrissima città di Brescia et rapresentarle il comune dolore di questa terra per simile successo.

Era stato così decisa l’elezione di due cittadini perché

si transferiscano quanto prima a Brescia avanti li molto illustrissimi signori deputati publici rapresentanti detta illustrissima città a significarli il dispiacere universale sentito per l’offesa seguita nella persona di esso signor Podestà et per la sua morte, con parolle tali che esprimano veramente l’interno comune nostro dolore et la molta nostra riverenza verso di quella come meglio li dettarà la loro prudenza.

Il giorno seguente era stato chiamato dallo stesso provveditore che, senza mezzi termini, gli aveva imposto di provvedere alla sua sicurezza personale, facendo circondare il suo palazzo da uomini armati, che però dovevano essere di suo gradimento. Evidentemente perché non si fidava di loro. In qualità di console aveva quindi dovuto proporre l’elezione di un cittadino appositamente incaricato di occuparsi della cosa. Ma il nome del capo che essi avevano eletto per guidare gli uomini armati  non gli era infine andato bene ed avevano così deciso che se lo scegliesse lui di persona il capo, come pure gli uomini armati che aveva preteso.

Aveva inoltre richiesto, senza mezzi termini, che la città fosse militarizzata, in modo che banditi e sicari non osassero penetrarvi per compiere delitti. Cose da non credere. Comunque non gli era rimasto che ubbidire e del resto non c’era da stupirsi se la sua proposta era stata approvata all’unanimità da tutti i consiglieri:

Che siano eletti sei collonelli dividendo tutta la terra et borghi in sei parte, un collonello per parte, a quali sian consignati li archibuggi di questo spettabil comune con le sue fiasche, balle o piombo et polvere et corda, dando per cadaun collonello la sua portione. Quali collonelli debbano poi assignare detti archibuggi a particolari delle sue contrate che lor cognosceranno atti per adoperarli et questo per cadauna volta che sentiranno il botto di campana a martello, così di giorno, come di notte. Quali collonelli in ogni occorente occasione come di sopra debbano convocare et ridur insieme tutti li homeni atti a portar arme delli suoi collonelli et quelli insieme con loro correr al palazzo dell’illustrissimo signor Proveditore et seguitar et amazzar quelli che fussero venuti per cometter delitti et anco seguitar banditi che si fussero scoperti in questa sua terra et suo territorio et far tutte quello che sarà ordinato da sua signoria illustrissima ogni volta che sarà sentita la campana come di sopra, sotto quelle pene che sono di ordine di questo Serenissimo Dominio et altre come sarà ordinato dall’illustrissimo signor Proveditore.

Le stesse scene si erano ripetute nel consiglio della Magnifica Patria, in cui lui pure sedeva in quanto era uno dei cinque membri che rappresentavano la quadra di Salò. Avevano potuto riunirsi solamente il giorno due, poiché non era stato semplice convocare su due piedi i rappresentanti di tutte le  sei quadre. Si era infine deliberato di inviare a Brescia ben quattro onorati cittadini per porgere alla città le loro condoglianze e il loro rammarico. E, cosa ben più importante, s’era pure deciso di scrivere immediatamente al nunzio e all’ambasciatore già presenti a Venezia di riferire alla Signoria quanto era accaduto e di chiedere gli opportuni provvedimenti.

Ma anche in quell’occasione avevano dovuto affrontare la richiesta rivolta dal Loredan al consiglio perché la Magnifica Patria provvedesse a sua volta a riunire degli uomini armati destinati alla sua difesa. Il sindaco Pietro Pasquino aveva preparato una delibera subito letta nel consiglio generale:

Havendo l’illustrissimo signor Proveditore et Capitano fatta instanza alli magnifici signori sindico et deputati come publici rapresentanti questa Patria per li acidenti che occorrono alla giornata et il mormorio che ha sentito del caminar huomeni banditi, inclinati al mal fare et sturbatori della publica quiete di questa terra et Riviera, veduto il caso seguito della morte con archibusata in chiesa del molto illustre signor Podestà et havendo anco sua signoria illustrissima inteso che tali persone di mal fare vanno disseminando voler far maggior colpo, che così per sicurezza della sua persona rapresentante Sua Serenità in questa Riviera, come anco per la publica quiete et per obviare ai mali pensieri et deliberationi di persone inhumane, sprezzatori delle leggi et che vivono senza il timor de Dio, che le sii datta dalli communi una guardia de soldati di gusto et a ellettion sua. Perhò li magnifici signori deputati desiderosi ancor essi della publica quiete et in segno della vera et devota fedeltà che hanno sempre mostrata con gli effetti, come publici rapresentanti di questa Riviera verso Sua Serenità et suoi rapresentanti mettono a parte che tutti li consoli delli communi di questa Riviera quanto prima faccino congregar il loro conseglio solito et in quello prendino deliberatione, se così le piacerà, di dar cadauno d’essi a loro spese quell’aiutto d’huomeni ben armati che le forze sue comportano a elletione et gusto perhò di sua signoria illustrissima, perché resti assicurata la persona di esso illustrissimo signore, per quel tempo che le parerà in questo suo reggimento, in segno di vera osservanza verso li rapresentanti Sua Serenità.

Ne avevano discusso a lungo e alla fine avevano però ritenuto che forse era più opportuno  soprassedere. Considerando che la comunità di Salò aveva già deliberato in merito, era meglio che lo stesso provveditore si rivolgesse alle singole comunità, chiedendo quanto gli stava così a cuore. E gli era infatti giunta notizia che proprio quel giorno la comunità di Maderno, non senza contrasti interni, aveva intrapreso un’analoga iniziativa.

Giovan Battista Loredan si muoveva come fosse circondato da nemici, pretendeva soldati a sua difesa e, pure, non nascondeva la sua diffidenza verso la Magnifica Patria; e, ancora, ostentava le sue simpatie per la città di Brescia. Ora paventava persino che gli uccisori del Ganassoni minacciassero di fare “maggior colpo” e cioè, a suo dire, di togliergli la vita. Ma di lì a poco sarebbe stato del tutto tranquillo, poiché l’arrivo dell’Avogadore di comun, con una nutrita scorta di soldati, era ormai imminente e proprio quella mattina il consiglio della comunità aveva deciso l’elezione di un’ambasceria che avrebbe dovuto incontrarlo nei giorni seguenti.

Tutti ne erano certi. Ora Giovan Battista Loredan avrebbe tentato di regolare i conti in sospeso con quelli che riteneva i suoi avversari.

 

Dalla finestra del palazzo poteva scrutare il lago e, in lontananza il promontorio che racchiudeva il golfo in cui era distesa la città. Di lì a non molto, sarebbe apparsa l’imbarcazione inviata sino a Peschiera per prelevare l’avogadore di comun con tutto il suo numeroso seguito.

Si voltò, attraversò la stanza, raccolse il mantello appoggiato ad una sedia, e, prima di uscire, gettò uno sguardo quasi inebetito alla superficie piatta del lago.

 

Scena quinta. Il sindaco Quinto Scanzo nel palazzo del comune di Brescia (sabato, 12 giugno 1610)

 

Due giorni prima era ritornato da Salò, dove s’era incontrato con gli oratori appena eletti dalla città per affiancare l’Avogadore di comun, inviato dal Consiglio dei dieci con il compito d’istruire il processo intorno all’uccisione del Ganassoni.  Erano stati giorni convulsi ed impegnativi. Insieme agli altri colleghi aveva dovuto affrontare una situazione complessa. Non si trattava solo della morte del podestà, ma, cosa più importante, era in gioco la stessa giurisdizione della città. Non erano pochi i soggetti politici con cui avevano dovuto raffrontarsi. Innanzitutto Venezia, la città dominante, da dove si sarebbe intrapresa l’auspicata azione repressiva. Il Consiglio dei dieci aveva deciso l’invio di un avogadore di comun provvisto di poteri straordinari, ma ora era importante che tutto si svolgesse rapidamente, in modo da evitare che la situazione con il tempo si decantasse e si sgonfiasse. Ma anche a Salò le cose non erano semplici. Il provveditore e capitano veneziano, se n’erano resi conto da subito, si era immediatamente allineato sulle loro posizioni, prendendo significativamente e sorprendentemente le distanze dai rappresentanti della comunità di Salò e dai consiglieri della Magnifica Patria. I primi, senza alcun dubbio, avevano avuto un ruolo non insignificante nelle dinamiche conflittuali che avevano condotto alla morte del podestà. Quantomeno indiretto. Salò si costituiva come un centro dall’indiscutibile fisionomia cittadina e le famiglie insediate nel suo consiglio vantavano un profilo di distinzione e di onore nettamente superiore al rimanente delle comunità della Magnifica Patria. Quest’ultima, arroccata sui suoi antichi privilegi, rappresentava tutta la Riviera del Garda e non disdegnava di mettere in discussione le stesse prerogative di Brescia. Ma molti di coloro che risiedevano in quel consiglio, anche se provvisti di un profilo sociale eminente, di fatto non erano che rappresentanti di piccole comunità o comunque di centri minori.

In realtà le cose più importanti si decidevano a Salò, dove pure risiedeva il provveditore veneziano. Non a caso da alcuni anni, nonostante una pace conclusasi nel 1607, esisteva una dura contrapposizione tra una fazione che deteneva saldamente il potere nel consiglio cittadino e un’altra, ferocemente avversaria, costituita di famiglie, in parte già residenti a Salò ed in parte provenienti dai centri limitrofi della Riviera, che premevano per entrare decisamente nell’area del potere, soprattutto in virtù della loro ricchezza.  E quanto stava avvenendo in quei giorni era un’ulteriore dimostrazione delle forti tensioni in atto. Forse il podestà ucciso s’era inserito in queste dinamiche. Altrimenti come spiegare un’uccisione così brutale e, per di più, compiuta nel corso di un’importante funzione religiosa, alla presenza di gran parte dei rappresentanti politici della città e della Riviera?

La città aveva comunque proceduto con estrema risolutezza. Nello stesso giorno in cui era avvenuto l’omicidio il consiglio cittadino aveva deliberato di scrivere ai due oratori già presenti a Venezia perché si presentassero immediatamente ai Capi del Consiglio dei dieci, chiedendone l’immediato intervento. Il 2 giugno avevano comunque deciso l’elezione di altri due oratori, il cui compito sarebbe stato quello di

 

comparer a Venetia ai piedi di Sua Serenità, overo avanti delli signori Capi dell’eccelso Consiglio di dieci per procurare alli rei quella peggior pena et castigo che si conviene a tanta sceleratezza et con quelli ordeni et commissioni che gli saranno date dalli detti deputati.

 

Inoltre, nell’imminenza dell’invio di un Avogadore di comun per istruire il processo, essi avrebbero dovuto incontrarlo quanto prima ed accompagnarlo sino a Salò. In tal modo la città avrebbe potuto seguire da vicino una fase così delicata e risolutiva per l’individuazione e la punizione dei colpevoli.

In realtà, quella stessa mattina del due giugno, gli oratori già presenti a Venezia avevano chiesto udienza ai Capi del Consiglio dei dieci, portando con sé sia il memoriale fatto pervenire loro dai deputati cittadini, che il dispaccio dei rettori di Brescia in cui si riferiva del grave episodio. I due oratori, come da istruzione, avevano opportunamente evitato di fare qualsiasi nome dei possibili autori del fatto, in quanto si sperava che l’indagine imminente avrebbe pure delineato gli stessi complici e fiancheggiatori. Il Consiglio dei dieci non aveva avuto esitazione ad accogliere la richiesta da loro formulata a nome della città, decidendo l’invio a Salò di un avogadore di comun per istruire rapidamente il processo. In tale occasione i due oratori avevano riferito ai deputati cittadini quanto probabilmente già si vociferava nella stessa città dominante:

 

Noi creddiamo che non essendosi in tanta frequenza di populo mosso pur uno, o per tema o per altro, a seguitar li malfattori, né havendo quei publici mostrato alcun segno di dispiacere, il caso habbi altissime radici, con tutto che molti della Riviera, godendo internamente, dicano liberamente che il cavagliere [Ganassoni] haveva molti inimici et che li rei sono certi, pure li magnifici ambasciatori che saranno eletti per incontrar detto signor Avogadore, et che saranno sul fatto, sapranno in che maniera governarsi per dar lume alla giustitia di così tremendo eccesso.

 

In quei giorni era stato un continuo andirivieni di corrieri tra Brescia e Venezia per far pervenire i dispacci che essi (come sindaco si muoveva insieme ai deputati) e i loro rappresentanti si scambiavano senza sosta. Solo due giorni prima il nunzio Girolamo Chizzola aveva riferito di un episodio curioso, quasi divertente l’avrebbe definito, se non fosse stato per la gravità della situazione. Si erano presentati a Venezia, in Collegio, il nunzio e gli ambasciatori di Salò, appositamente eletti per esprimere il dispiacere della loro città per quanto era avvenuto. Il Chizzola li aveva immediatamente seguiti per sorvegliare a distanza quanto sarebbe stato detto. Il doge Leonardo Loredan li aveva ascoltati con attenzione, ma, come riferì il Chizzola, non senza nascondere un certa ironia di fronte al loro evidente imbarazzo. I Salodiani avevano esposto

 

in nome della sua Patria il dispiacer che han sentito per il caso del signor Podestà et scusando l’omissione di non haver seguito i rei, per essere tutto il popolo spaventato, come persone imbelle et dedite ad essercitii di botteghe, che erano però state fatte dopo provisioni gagliarde contra costoro, li quali sono gente di infima et vilissima conditione. Che nel fatto furono sbarate tre archibusate sole, da una delle quali rimase offeso detto signor podestà et che per esser prese le porte da parte di questi sicari hebbero perciò facilità in salvarsi. Che quella Patria haveva destinati quattro ambasciatori a Brescia per condolersi et offerirsi pronti a vendicare questa offesa in ogni modo possibile.

Da Sua Serenità gli è stato risposto in detestar il fatto e riprendere acremente il mancamento de’ salodiani in seguire essi rei, non admettendo scusa, né del spavento, che passato il pericolo doveva tranquillarsi e rendere gli animi pronti alla giusta vendetta; essere i salodiani bellicosi e forti e poterne egli stesso rendere testimonio, havendoli già risegnati: però che dovessero all’avvenire havere più bona custodia del paese, havendo Sua Serenità dato altro sì bon ordine di gente che vada ad haverne custodia, essortandoli a vederla volentieri et trattarla bene, tolerando in essa qualche licenza militare per liberarsi da maggior pericoli et mali. Dopo di che sono stati licenziati, con assai pochi vezzi.

 

L’avogadore di comun Antonio da Ponte era finalmente giunto a Salò l’8 giugno. Insieme a lui avevano fatto il loro ingresso in città anche i due nuovi oratori, Francesco Povelaga ed Alessandro Barbisone. Il loro compito, come recitavano le loro commissioni, era di assicurarsi che tutti i colpevoli fossero rapidamente individuati, e non solamente gli esecutori materiali del delitto. E l’aveva ripetutamente ribadito da Venezia anche il loro nunzio. Era infatti sin troppo facile che a livello locale si tendesse a scaricare le responsabilità su quei pochi il cui nome era sulla bocca di tutti.

Era corso anche lui a Salò, per sorreggere l’azione dei due oratori. Ma aveva dovuto far rapidamente ritorno a Brescia.

Con sua grande sorpresa un intermediario del famoso bandito Zan Zanone gli si era infatti  avvicinato per parlargli. E così, subito dopo, esortando i due oratori alla prudenza, era ripartito per Brescia. Di fronte alla sorprendente notizia, i deputati avevano subito scritto ai due loro rappresentanti raccomandando a loro volta che la necessaria ricerca dei colpevoli non coinvolgesse alcun innocente. Un’esortazione cui i due risposero immediatamente, senza alcun indugio e, soprattutto, senza nascondere la loro evidente irritazione:

 

La principal comissione che le vostre signorie molto illustrissime ci diedero, consigliata anco pesatamente et ben ruminata, conforme il solito loro, fu apunto che dovessimo invigilar che gli rei fussero processati e castigati et gli innocenti non intricati. Ciò essequendo non habbiamo mancato, né manchiammo d’usar ogni possibil diligenza perchè questa principal comissione sii essequita, ancorché per la prudenza loro sappiano molto bene che difficilmente si può schivar questo scoglio. Se mò alcuno o interessato o troppo credulo dubitasse d’altro, le vostre signorie molto illustrissime non hanno da creder che gli ambasciatori loro, i quali per puro zelo dell’honor publico han preso questo sì fastidioso carico, habbino a deviar da comisione sì resoluta per offender quelli da chi né sonno offesi, né appena conosciuti. Et tanto basti cerca questo particolare.

 

Come sindaco della città egli riteneva di aver fatto il suo dovere, anche se intuiva forse il motivo per cui i due rappresentanti cittadini s’erano così adombrati di fronte alla sollecitazione alla prudenza loro rivolta dai deputati della città. Tant’è che questi ultimi il 12 giugno ritenevano opportuno chiarire meglio il loro precedente intervento:

 

Quanto al particolare della lettera d’impunità et dell’offerta fatta in nomine del Zanone di voler dar in mano alla giustitia alcuni de’ principali interessati, sì come havemo inteso dal sudetto signor sindico, havemo stimato sia bene non far cosa alcuna per hora, che sarà il fine.

 

E in fin dei conti non era compito loro farsi carico di tale incombenza. Quel che importava alla città era che fosse inflitta una severa lezione a quegli irrequieti salodiani.

Quinto Scanzo ripensò a quell’intermediario del famoso bandito. Non poteva nascondere con se stesso che costui infine  l’aveva convinto. Ma si poteva essere innocenti lungo quel lago, in cui tutto sembrava assumere la dimensione delle immagini che vi si riflettevano?

 

Scese lentamente le scale del palazzo pretorio, uscì dal grande portale, chiamò la carrozza con un lieve gesto della mano. Salì sul predellino, entrò nello stretto abitacolo, rinchiuse la porta e ordinò al vetturino di ripartire.

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