Lessico giurisdizionale processuale

A
Aggravanti:Le circostanze aggravanti sono descritte nel cap. III del codice (paragrafi 36-38). Sono importanti perchè definiscono una particolare percezione del crimine. Il paragrafo 36 indica le caratteristiche generali della gravità del delitto:”In generale il delitto è tanto più grave quanto più matura è stata la deliberazione e più studiata la preparazione dei mezzi ad intraprenderlo; quanto maggiore è il danno ivi derivato o il pericolo che vi era congiunto; quanto più difficili erano le precauzioni contro il medesimo o quanti più doveri si sono con esso violati”.E il paragrafo 38 aggiungeva:”E’ pure una circostanza aggravante l’aver il reo tentato nell’inquisizione d’ingannare il giudice coll’inventare circostanze false”.Nel paragrafo 37 si elencavano invece le circostanze speciali:”Le circostanze specialmente aggravanti sono: a) l’aver commesso più delitti dello stesso genere; b) l’aver più volte ripetuto il delitto della medesima specie; c) e se il reo fu già altre volte punito per un simil delitto; d) se ha sedotto altri al delitto; s’è stato autore, istigatore, motor principale d’un delitto commesso da più persone”.Vedi: MitigantiVedi: Applicazione delle aggravanti e mitiganti

  
Appello:Guardando la prima parte (Dei Delitti) del Codice penale universale austriaco del 1803, al capo IX, dedicato alla sentenza, troviamo tutti i paragrafi che ci illustrano come proseguiva l’iter giudiziario di quei processi che dovevano passare all’esame dei tribunali superiori.Nel sistema giudiziario austriaco il gradino successivo alla prima Istanza era il Superior Giudizio Criminale, ovvero l’Imperial Regio Tribunale d’Appello Generale. Ne esistevano due: uno a Venezia (per il Veneto e il Friuli ) e uno a Milano (per la Lombardia).Nell’ambito di questo organo giudiziario un consesso di circa trenta giudici discuteva, diviso in diverse aule composte da cinque o sei giudici ciascuna, un’ampia serie di questioni legate all’amministrazione della giustizia civile e penale sul territorio veneto.In materia penale alla Corte d’Appello giungono tutti quei processi, e sono molti, che secondo l’automatismo previsto dal Codice al § 433 devono essere sottoposti al controllo della Seconda Istanza:“Se il soggetto dell’inquisizione è stato uno de’ seguenti delitti: cioè alto tradimento, sollevazione e ribellione, pubblica violenza, abuso della podestà d’ufficio, falsificazione di monete, perturbazione della religione, omicidio, uccisione, duello, appiccato incendio, rapina od ajuto prestato a delinquenti, quella qualunque sentenza che fu proferita deve sempre prima della pubblicazione esser portata alla cognizione del superior giudizio criminale, sia che si tratti d’un delitto consumato od anche solamente attentato.”[1]Questo passaggio vale non solo per i processi per i quali è stata emessa una prima sentenza ,ma anche per i cosiddetti conchiusi di desistenza (e cioè le decisioni di sospendere il processo nella sua fase preliminare) per gli stessi delitti che erano contemplati nel paragrafo 433.Inoltre l’automatismo è previsto anche per il reato di truffa (§ 434) soprattutto se riguarda la sfera del pubblico o eccede una somma elevata (mille fiorini).Oltre che per i reati considerati, ai sensi del codice, più gravi, secondo il § 435, per la qualità della prova e per il rigore della pena, si sottomettono al giudizio d’appello i anche seguenti casi:a) quando la condanna è appoggiata al legale convincimento di un reo negativo (ovvero un imputato che non aveva confessato e nei confronti del quale la condanna era stata inflitta in base al sistema di prove previsto dal codice)b) quando la pena oltrepassa la durata di cinque anni;c) quando alla pena legale è aggiunto l’inasprimento della berlina, o del bando, od) l’esacerbazione con colpi di bastone, o di verghe.Molteplici sono dunque le possibilità previste dal codice che implicano il passaggio automatico delle sentenze e del fascicolo processuale attraverso il controllo gerarchico della seconda Istanza. Questo fattore sicuramente contribuisce ad assottigliare il margine di discrezionalità dei giudici, condizionando il loro operato e spingendoli, anche in previsione di questo intervento censorio a non forzare il sistema di prove per giungere a decisioni che esprimessero il loro libero convincimento (magari sospendendo il processo per difetto di prove legali).Alla Corte d’Appello sono trasmessi dal Giudizio criminale il fascicolo inquisitorio, la deliberazione, la sentenza e i protocolli di consiglio. Il Giudice Relatore, come nella prima Istanza, prende in carico l’intero processo, esponendo ai colleghi i fatti e il suo giudizio: prima in ordine, ovvero rispetto alla correttezza dell’iter processuale seguito dalla prima istanza. I giudici dibattono e votano. Se vengono riscontrati dei difetti sostanziali che influiscano sulla formazione della sentenza, si rimanda indietro il processo chiedendone la correzione e l’eventuale modifica della sentenza se ritenuta opportuna dalla prima istanza. Se non vengono riscontrati difetti o sono ininfluenti ai fini della sentenza si discute allora in merito al titolo, alla presunta colpevolezza e alla pena. Il consesso giudicante dibatte ed emette la sua sentenza.Spesso la sentenza di prima istanza viene confermata nell’accertamento della colpevolezza e nella pena. Ma in un gran numero di casi c’è una mitigazione. Ritroviamo qui quel meccanismo di controllo che condiziona anche le sentenze di primo grado. Infatti l’inasprimento è raro, e comporta ai sensi del § 443 il passaggio del processo alla revisione del Supremo Tribunale di Giustizia ovvero la terza Istanza (situata nella città di Verona, operante per tutto il Lombardo Veneto), altro gradino nella scala gerarchica, altro strumento di controllo. Il suddetto paragrafo prevede che il processo sia subordinato al giudizio di questa Istanza se la pena viene inasprita di cinque anni rispetto a quella del primo tribunale, o se viene giudicato colpevole un imputato ritenuto innocente[2]. Casi insomma che implicano una forte divergenza tra prima e seconda Istanza, limitando in tal senso i margini di manovra del secondo grado sul primo. Anche alla mitigazione della pena comunque sono posti dei limiti (§ 441)[3]: le pene tra i dieci e vent’anni non possono ridursi a meno di cinque e quelle tra i cinque e i dieci a non meno di due, non potendo comunque essere rese più miti riguardo alla specie ma solo riguardo alla durata.Se il tribunale invece reputa degno l’imputato di una mitigazione che ecceda questi limiti allora il processo passerà automaticamente Supremo tribunale (§ 443d).Il passaggio automatico alla terza Istanza, secondo quel meccanismo che abbiamo già visto tra la prima e la seconda, è inoltre previsto per sentenze con carcere a vita o pena di morte (§ 443a) e per tre reati considerati di notevole gravità: l’alto tradimento, l’abuso della podestà d’ufficio e la falsificazione di carte di pubblico credito (§ 442).[4]Infine, per i casi di pena di morte (§ 444), il percorso continua fino al Sovrano (l’unico a poter concedere la grazia) al quale viene rassegnata la sentenza dal Supremo tribunale con eventuali motivazioni per una mitigazione della pena.[5](a cura di Eliana Biasiolo)
[1] Codice penale universale austriaco (1803). Ristampa anastatica, con saggi raccolti da S. Vinciguerra, Padova 1997, p. 153[2] L’inasprimento della pena rispetto alla sentenza di prima istanza diventa condizione di passaggio obbligatorio alla terza Istanza come dettano i punti b) e c) del paragrafo 443:b) quando la pena stabilita dal tribunal superiore eccede di cinque anni quella, che era stata determinata dal giudizio criminale;c) quando il giudizio criminale giudica per la dimissione dell’imputato, ed il giudizio superiore lo condanna ad una pena. cfr. op. cit., p 156[3] Con i paragrafi 440 e 441 il Codice regola la facoltà della Corte d’appello di mutare, inasprendo o mitigando, la sentenza della prima Istanza. I due paragrafi vanno riportati in successione per capirne il senso:(§ 440) Quando gli atti vengono trasmessi al tribunale superiore pei delitti compresi nei §§ 433 e 434, ha esso la facoltà di cambiare la sentenza proferita dal giudizio criminale in un’altra più rigorosa in conformità della legge.(§ 441) E’ inoltre accordata al tribunal superiore la facoltà di mitigare la sentenza, non solo quando gli sono mandati gli atti pel caso or ora indicato, ma anche quando gli vengono trasmessi per uno di motivi contemplati nel § 435. Nondimeno ne’ casi, in cui a termini della legge si sarebbe dovuto misurare la pena tra i dieci, ed i vent’anni, non può questa per le circostanze mitiganti essere resa più mite riguardo alla specie, ma solo riguardo alla durata, né ridursi a tempo minore di cinque anni; ed alla stessa maniera ove dalla legge è determinata la pena tra cinque, e dieci anni, non può essere ridotta a tempo minore di due anni.La pena di morte, o del carcere perpetuo stabilita dalla legge non può dal superior giudizio criminale essere cangiata in una pena men dura. Cfr. op. cit. , p 155-156.[4] Il § 442 stabilisce i casi in cui la sentenza viene inoltrata al Supremo tribunale di giustizia a causa della gravità del delitto. Il paragrafo recita così:Nei delitti di alto tradimento, d’abuso della podestà d’ufficio, e di falsificazione di carte di pubblico credito neppure il superior giudizio criminale può dar corso immediatamente alla sua sentenza, ma deve sottomettere al supremo tribunale di giustizia la conclusione da lui presa con tutti gli atti, e d’indi aspettarne la risoluzione. cfr op. cit. , p. 156.[5] Riporto integralmente il testo del paragrafo 444:Ne’ casi, in cui secondo la legge è da imporsi la pena di morte, il supremo tribunale di giustizia deve rassegnare la sua sentenza con tutti gli atti, e co’ motivi, che forse militassero a favore del reo per la mitigazione della pena, al Sovrano, che solo ha il diritto di far grazia. cfr op. cit. , p 157.

  
Applicazione delle aggravanti e mitiganti:Il capitolo V del codice ai paragrafi 41-49 trattava dell’applicazione delle circostanze aggravanti e mitiganti.Era fondamentale il paragrafo 47 che conferiva la facoltà di mitigare la pena solo nei limiti previsti dalal legge:”Negli altri delitti è da tenersi per regola che a cagione delle circostanze mitiganti non può variare nè la qualità della pena, nè la misura legale della durata, ma soltanto abbassarsene il tempo entro i limiti prefissi dalla legge. Quando in casi particolari possa farsi luogo a qualche eccezione vien determinato nell’accennata sezione II”.Infine erano importanti (anche perché effettivamente applicati in moltissimi casi) i due paragrafi 48 e 49:”Paragrafo 48: Solamente nei delitti pei quali la pena è determinata ad un tempo non maggiore di cinque anni, può il carcere essere ridotto ad un grado più mite od esserne accorciata la durata legale nel caso che concorrano tali e tante circostanze mitiganti che lascino luogo a sperare con fondamento l’emendazione del reo”.”Paragrafo 49: Inoltre nei delitti la cui pena legale non eccede i cinque anni devesi aver riguardo all’innocente famiglia e qualora dalla lunga durata della pena ridondasse un grave danno al suo stato rispetto ai proventi d’arte o d’industria, se ne deve abbreviar il tempo, aggiungendovi invece il digiuno o l’esacerbazione con colpi di bastone o di verghe, onde la maggior durata della pena venga supplita con un castigo più sensibile”.

  
Attenuanti:Vedi: MitigantiVedi: Applicazione delle aggravanti e mitiganti

  
B
Bibliografia:Vedi:Il Regno Lombardo-Veneto

  
Bibliografia sul codice e sul processo penale austriaco:Per una descrizione bibliografica più generale sul Lombardo-Veneto si rinvia alla voce in questo glossario redatta da Michele Simonetto.Più propriamente sul codice e sul processo penale austriaco si indicano alcuni testi fondamentali per avviare qualsiasi ricerca in merito ed eventualmente per trarre indicazioni bibliografiche più puntuali:Innanzitutto è di estrema utilità l’edizione Cedam del Codice penale universale austriaco (1803), ristampa anastatica, Padova 1997, con saggi raccolti da Sergio Vinciguerra. In particolare, per i temi qui trattati, il saggio di Ettore Dezza L’impossibile conciliazione. Processo penale, assolutismo e garantismo nel codice asburgico del 1803, pp. CLV-CLXXXIII. Fondamentale, inoltre, il saggio di N. Raponi, Il Regno Lombardo-Veneto (1815-1859/66) in Amministrazione della giustizia e poteri di polizia dagli stati preunitari alla caduta della destra, Roma 1986, pp. 91-164. Sul ragionamento giuridico e la struttura gerarchica giudiziaria austriaca si veda C. Povolo, La selva incantata. Delitti, prove, indizi nel Veneto dell’Ottocento, Verona 2007. Inoltre, di imminente pubblicazione: Amministrazione della giustizia penale e controllo sociale nel Regno Lombardo-Veneto, a cura di G. Chiodi e C. Povolo, Verona 2007, con vari saggi sul processo penale e sull’amministrazione giudiziaria austriaca.

  
C
Capro espiatorio: Vedi Paragrafo 424.

  
Cittadinanza: Vedi Domicilio

  
Codice:Codice penale universale austriaco (1803) Il Codice penale universale austriaco rappresenta la pietra angolare della codificazione dell’Impero asburgico. Riassumendo le caratteristiche dei due codici che lo precedettero, la Teresiana e la Giuseppina, ne assorbe le modifiche e ne porta avanti le riforme. (Il successivo codice del 1853 è, invece, un semplice aggiornamento di tutte le aggiunte di un periodo di quasi cinquant’anni di attività del codice!).Ha, inoltre, la caratteristica di essere un esempio di legge penale sovranazionale, a cui si deve  l’aggettivo universale, vigente per lungo tempo in territori che oggi sono italiani.È, infine, l’alter ego del Codice penale napoleonico (1810), l’espressione dell’Illuminismo e dell’Assolutismo austro-tedesco  in materia penale. Tenta perciò di coniugare, entro un sistema fortemente inquisitorio, la certezza del diritto e l’umanizzazione della pena, attraverso il legalismo delle prove. Mentre culturalmente cerca di  conservare alcune istanze religiose, e di ceto. Il compromesso non riuscì, e venne travolto dall’onda degli ideali liberali borghesi. I precursori La Teresiana e l’inizio delle riforme beccarianeLa prima opera di codificazione in Austria si deve a Maria Teresa, ovvero La Costitutio Criminalis Theresiana del 1768. Fu soltanto una raccolta di leggi tesa a consolidare il diritto penale che l’impero aveva ereditato nei secoli. I lavori furono affidati inizialmente al giurista boemo Joseph Von Azzoni, il maggiore esponente di quella Kompilationskommission, che allora stava già lavorando per la codificazione della materia civile. Alla sua morte, avvenuta nel 1761, l’incarico fu assegnato a Joseph Ferdinand Holger, che consegnò prima la parte relativa alla disciplina del processo, e poi quella relativa alla diritto penale sostanziale.La Teresiana entrò in vigore il 1770 nei territori ereditari austriaci e boemi, e prevedeva la tortura come mezzo legale di prova e l’uso esasperato della pena di morte. Nel 1773 venne applicata una versione italiana del codice nei territori di Trieste e di Gorizia. Tuttavia già durante quello stesso decennio si sentì la necessità di apportare importanti riforme al codice, l’esigenza scaturiva dalle spinte innovatrici dell’ambiente intellettuale milanese. L’opera Dei delitti e delle pene del marchese Beccaria era uscita nel 1764 a Livorno (in un primo tempo protetto dall’anonimato), e nel corso di un decennio aveva sensibilizzato l’Europa sull’uso della tortura e sull’applicazione della pena di morte. Joseph von Sonnenfels,  il principale esponente dell’illuminismo austriaco, allora si fece portavoce in Austria di quelle istanze. In poco tempo si ottenne così l’abolizione della tortura (2 gennaio 1776), e la riduzione dei casi di applicatione della pena di morte (19 gennaio 1776). Tuttavia la maggiore innovazione era contenuta in quella richiesta di principi e di regole certe che  Determinante fu l’uscita a Vienna in quell’anno dell’edizione tedesca dell’opera di Beccaria, con la prefazione di uno dei giuristi più illuminati e sensibili del Settecento tedesco. Karl Ferdinand Hommel andava oltre le indicazioni di Beccaria, auspicando una simile elaborazione anche per le materie di polizia. La Giuseppina e le resistenze lombardePochi mesi dopo la morte dell’Imperatrice, Giuseppe II avviò una nuova stagione di progettazione normativa, che portarono all’adozione nel 1787  della cosidetta Giseppina. I lavori iniziati nel 1781 venivano ora guidati da Franz Georg von Keess, allievo di Sonnenfels.Il Codice rispecchiava il primo compromesso fra garantismo e assolutismo. Oltre ad assorbire le riforme teresiane, si stabiliva per la prima volta e per sempre l’importante principio del nullum crimen, nulle pena sine lege, ovvero il principio della certezza del diritto. Tuttavia le principali mire dell’Imperatore erano quelle di subordinare attraverso la lettera del Codice l’intero apparato giudiziario. L’anno successivo la Giuseppina veniva seguita, allora, da altri due testi processuali, uno per i delitti (Allgemeine Kriminalgerichtsordnung) e uno per le contravvenzioni (Instruktion für die politischen Behörden). Il Kriminalgerichtsordnung, come ha osservato Cavanna, rappresenta «il primo moderno Codice di procedura penale», caratterizzato dalla natura strettamente inquisitoria della procedura e dalla presenza delle prove legali.Fu così ridimensionata la figura e il ruolo del giudice, il quale prima di pronunciare la sentenza doveva attenersi ai limiti di legge e alla presenza delle prove legali, mentre l’uso della confessione come prova veniva regolato da norme durissime. Il testo prevedeva infine il divieto della difesa tecnica, ancora usata da alcune province dell’Impero. Tale esclusione diventerà determinante per gli sviluppi storici futuri, ma già allora i tentativi di introduzione dei codici penali giuseppini in Lombardia crearono forti resistenze, e furono sventati dal decesso dell’Imperatore avvenuto nel 1790.      Il Codice penale universale austriaco (1803) A. L’inizio dei lavori. L‘assolutismo politico e la fine dei supplizi.L’umanizzazione della pena e la certezza del diritto suggerite da Beccaria avevano modificato irreversibilmente il primo codice penale voluto da Maria Teresa. Leopoldo, già Granduca di Toscana, aveva adesso riaperto i lavori di codificazione nel 1790 affidandoli a Matthias von Hann, ma era morto dopo soli due anni. Tuttavia a lui si deve la mitigazione delle pene prevista dal Codice, abolendo i colpi di bastone in luoghi pubblici, la «marca infame» e l’incatenamento. Infine dopo soli due mesi decise di abrogare anche la tanto temuta pena del trascinamento dei battelli. Sotto Francesco I, suo figlio, i lavori proseguirono invece rafforzando l’assolutismo politico. La Commissione di affari legislativi era stata infatti condizionata dai terremoti francesi che nel 1783 fecero cadere l’uno dopo l’altra le teste di Luigi XVI e della sua consorte Maria Antonietta, zia dell’Imperatore. Il relatore Matthias von Haan dovette così presentare un secondo progetto, dove veniva reintrodotta la pena di morte per tre particolari delitti: l’alto tradimento, l’omicidio per mandato ed il latrocinio.Il clima si arroventò nell’estate del 1794, quando vennero scoperte e sventate due congiure giacobine collegate tra loro, una a Vienna e una con intenti antiaustriaci in Ungheria. Le società massoniche, ammesse sotto Giuseppe II, divennero allora illegali con la Sovrana Patente del 1795, e i loro associati potevano essere così condannati alla pena di morte. B. La sperimentazione in GaliziaIntanto quello stesso anno la terza spartizione della Polonia assegnò all’Austria la Galizia occidentale, che così divenne il campo di prova dei legislatori austriaci. Il 1° gennaio 1797 venne adottato il prototipo del futuro Codice, il Westgalizisches Strafgesetzbuch, relativo ai soli delitti e contenente tanto la parte normativa che quella procedurale. Tuttavia la struttura dei delitti è la stessa del Codice dl 1803, con a capo il delitto di alto tradimento. L’urgenza era dettata evidentemente anche dalla ragion di Stato. C. La seconda parte dei lavori. Compattezza dogmatica e cooperazione procedurale.Nel mentre la Commissione riprendeva le sue funzioni, ma venne modificata  nella composizione: Keess fu l’unico giurista giuseppino rimasto in carica. Intanto Haan veniva promosso a Vicepresidente, e rientrava in scena Sonnenfels in qualità di Consigliere aulico e come redattore della parte relativa ai reati politici. Il riformatore e professore di Scienze politiche potè così attuare gran parte delle teorie contenute nel suo capolavoro « Grundsätse der Polizey, Handlung und Finanz », dove proponeva la prevenzione, attuata tramite provvedimenti di polizia, come sostituto alla repressione della pena.L’unità del Codice non veniva comprommesso, ma anzi rafforzato. Keess, infatti, pensava che non che bisognasse seguire le indicazioni della precedente Commissione, ovvero di elaborare soltanto in un secondo momento la parte relativa ai reati politici. Sonnenfels, allora, propose di dividere l’intera legge in due parti (delitti-gravi trasgressioni di polizia), con due sezioni distinte per entrambe (normativa-procedura). Si procedette allora alla modifica del §6  del Codice galiziano relativo alla pravità di intenzione, che venne posto a capo della parte relativa ai delitti del Codice del 1803, in modo da distinguere gli illeciti criminali da quelli di polizia.Venivano in tal modo attuate a tutto tondo le mire di Giuseppe II, mettendo sotto controllo l’intera procedura dalle piu piccole misure di polizia fino ai reati più gravi. Nel proclama introduttivo al Codice Francesco I spiegherà che l’urgenza dei lavori era quella che tribunale criminale compisse tutte le funzioni giudiziali. Per dare ulteriore forza all’inquisizione viene richiesto ai tribunali e alle magistrature politiche di cooperare nel migliore dei modi, ma vengono allo stesso tempo sottoposti al vincolo della norma e della prova legale, senza la quale non sarebbe stato possibile condannare. Viene in questo modo ribadita l’esclusione dell’avvocato dalle aule dei tribunali. D. L’introduzione in Italia. Gli avvocati veneti e lombardiIl Codice venne così promulgato il 3 settembre del 1803, ed adottato nelle province tedesche il 1° gennaio 1804, con l’eccezione dell’Ungheria e delle province ad esso collegate. Il nuovo codice penale venne adottato in quell’anno anche dai principati ecclesiastici di Trento e Bressanone, e salvo una parentesi napoleonica mantennero questa legislazione fino al 1918. Il Veneto e la Lombardia invece vennero annessi il 12 giugno 1814, ma la loro sorte rimase sospesa fino al 7 aprile 1815 (Atto costitutivo del Regno Lombardo-Veneto). Il 1° luglio 1815 il Codice veniva messo in piena attività in Veneto, tuttavia la procedura inquisitoria era già stata urgentemente applicata tre mesi prima.Durante quei mesi gli avvocati si divisero: alcuni, memori dell’arbitrio esercitato dai magistrati napoleonici, desideravano regole ferree (P. Mantegazza e F. Foramiti), mentre altri non volevano perdere  il ruolo di primi attori nei tribunali, temendo al contrario che nella segretezza della procedura l’arbitrio dei giudici sarebbe aumentato (G. Marocco e G. Bianchetti).In effetti i primi avevano visto bene, tanto che le difficoltà in cui si trovarono i giudici nel raggiungere la pienezza della prova costrinse l’Imperatore ad intervenire nel ’33 con una Sovrana  Patente che modificava i requisiti per raggiungerla. Tuttavia qualcosa era già maturato nelle coscienze di molti avvocati, nonostante i tanti accorgimenti presi riguardo alla circolazione delle idee. Bibliografia: Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, a c. di Franco Venturini, Torino 1965;  Ettore Dezza, Il divieto della difesa tecnica nell’ Allgemeine Kriminalgerichtsordnung (1788), Conferenza a Capod’Istria; Claudio Povolo, La Selva Incantata, Verona Cierre, 2007; Cesare Saluzzo, Foramiti e il Codice penale austriaco, Verona Cierre, in corso di stampa;Inoltre: Codice Penale Universale Austriaco (1803), CEDAM 1997: e in part. art. di Alberto Cadoppi, Il «modello» rivale del Code Pénal. Le «forme piuttosto didattiche» del codice penale universale austriaco del 1803, Stephan Tschigg, La formazione del Codice Penale Austriaco; e Sergio Vinciguerra, Ideali liberali per irrobustire l’assolutismo politico: il Codice Penale Austriaco del 1803. (A cura di Cesare Saluzzo)

  
Commissario Distrettuale:Figura nodale dell’Impero a livello periferico, da cancelliere censuario con compiti di amministrazione del catasto e di controllo dei bilanci comunali, tale figura si era evoluta, nel 1819, con l’ assunzione di competenze esecutive e di polizia.Si diventava Commissari titolari su nomina diretta del Presidente del Governo Centrale, che sceglieva il più meritevole tra una rosa di candidati in possesso dei requisiti elencati nel regolamento dell’ “Editto di Concorso”, diramato, attraverso il Delegato Provinciale, a tutti i Commissariati Distrettuali presenti appunto in ogni provincia; ci si avvaleva inoltre del parere favorevole della Direzione Generale di Polizia, formulato dopo la raccolta di dettagliate informazioni sui candidati medesimi. La possibilità di essere promossi in altri uffici più prestigiosi risultava quasi nulla; il principale ostacolo alla mobilità verticale era infatti rappresentato dall’insufficiente grado di istruzione posseduto per ricoprire incarichi superiori, a sua volta connesso al limitato curriculum formativo.In ambito fiscale il Commissario Distrettuale aveva la piena responsabilità di tutto il ciclo tributario, dalla ripartizione delle aliquote, all’esazione delle imposte, fino alla riscossione delle imposte medesime o all’eventuale pignoramento dei beni in caso di insolvenza; in ambito amministrativo, invece, basilare era la sua sistematica sorveglianza sull’operato dei Comuni.Considerate alla luce del nuovo ordinamento giudiziario, entrato in vigore definitivamente nel 1818, le competenze del Commissario Distrettuale rientravano negli affari di polizia: il suo compito era di prevenire i delitti effettuando ogni controllo imposto dalla legge e coadiuvando appunto l’autorità giudiziaria. L’organizzazione della struttura statale del Regno Lombardo – Veneto, invero, prevedeva che le attività, formalmente separate, e gerarchicamente organizzate, dell’apparato amministrativo, di quello poliziesco e pure di quello giudiziario, trovassero proprio nei Commissari Distrettuali un punto di raccordo essenziale anche tra la periferia istituzionale e gli organi di potere centrali. Le mansioni di tali funzionari erano dunque di carattere esclusivamente esecutivo ma non limitate; e ciò si evince chiaramente, ad esempio, dall’attenta lettura dei fascicoli processuali. Poteva capitare infatti che il Commissario Distrettuale addivenisse perfino all’escussione di testimoni che erano già stati interrogati dal dirigente di una pretura, oltre che all’escussione di nuovi testi; la sovrapposizione era solo apparente, in quanto ci si trovava spesso ad operare su richiesta di un Tribunale Provinciale: gli atti prodotti venivano indicati come atti di sommaria investigazione.Il Commissario Distrettuale in tal modo era in grado di diventare pure lo strumento di una politica dell’ordine. Le sue mansioni trovavano nell’immediata necessità della salvaguardia della sicurezza il momento di autonomia decisionale.In sostanza, l’azione di controllo del e sul territorio, inquadrata in questa prospettiva, conferiva a tale funzionario il compito di delega e di rappresentanza, a livello locale, di uno Stato che agli occhi dei sudditi poteva anche apparire molto lontano, ma che si proponeva costantemente di ricomporre appunto l’ordine sociale locale in un più ampio contesto di “pubblico bene”.(a cura di Luca Rossetto)

  
Conchiuso di desistenza:Decisione del Giudizio criminale (o proposta con voto del giudice relatore) , tramite cui si decideva di non procedere ulteriormente con le indagini per l’insussistenza del delitto o per la non imputabilità della persona sospettata.Vedi:InvestigazioneReferato di preliminare investigazione

  
Condanne politiche: vedi Gravi trasgressioni di polizia

  
Confessione:Vedi:Prove legaliTestimonianza

  
Confronto:Il confronto viene dettagliatamente trattato nel Capo IX del Codice. Prima di ricorrervi, il giudice nel costituto ordinario avvertiva l’imputato che si aveva ragione di credere stesse mentendo, poiché altri testimoni affermavano il contrario; Se l’imputato persisteva nella negativa, il giudice poteva accogliere la sua richiesta di essere messo a confronte col testimone. In ogni caso, come riportato nel paragrafo 388, il giudice, qualora fosse stato convinto che l’imputato potesse confutare la prova legale acquisita tramite la deposizione dei testimoni, poteva decidere autonomamente che esso avesse luogo. I paragrafi 392-394 descrivono la procedura da seguire nello svolgimento di un confronto. Il ruolo del giudice qui risulta limitato: dopo aver chiesto all’imputato se abbia qualcosa da eccepire riguardo al testimone, presentava alle due parti in causa gli elementi di disaccordo e ne chiedeva ad entrambi la conferma o la smentita. Infine registrava, talvolta in maniera suggestiva, l’atteggiamento ed il comportamento tenuto dagli stessi nel rispondere. Nel caso in cui né l’uno né l’altro dei due avesse voluto recedere dalle precedenti affermazioni, il confronto veniva concluso con la registrazione del suo esito negativo.  Di particolare interesse sono le trascrizioni dei discorsi che intercorrevano fra i due esaminati nel corso del confronto. A tal proposito appare evidente lo sforzo da parte del segretario nel cercare di rimanere il piu’ fedele possibile nel trascrivere il gergo dialettale, facendo però in modo che potesse essere comunque comprensibile anche a chi non lo conosceva; tuttavia spesso, dopo poche righe, doveva arrendersi alla difficoltà e rassegnarsi ad italianizzare il vernacolo. Il confronto veniva eseguito al termine del costituto ordinario, sempre nel rispetto del doppio ruolo svolto dal del giudice: a garanzia dell’imputato, interrogandolo più volte se vi si volesse davvero sottoporre e in modo che gli venissero mosse solo accuse ben provate; inoltre il confronto aveva anche un’implicazione sociale evidente: il teste, con le sue affermazioni, non si poneva solo di fronte al giudice (come con la sua testimonianza), ma anche di fronte allo stesso imputato, assumendosene tutte le responsabilità rispetto al contesto esterno. Ma anche a tutela dei testimoni che, trovandosi i rei in carcere, riuscivano col tempo a superare la paura delle ripercussioni e vendette che la loro testimonianza poteva scatenare.(a cura di Erasmo Castellani)

  
Costituto ordinario: Vedi Interrogatorio

  
Costituto Sommario: Vedi: Interrogatorio

  
Costituto Sommarissimo: Vedi: Interrogatorio.

  
D
Delitto di omicidio: Vedi paragrafi 117-120.

  
Descrizione personale:Vedi: Paragrafo 285         Voce Identikit nel blog.

  
Difesa: Vedi Paragrafo 337

  
Domicilio:Domicilio  Nei territori della monarchia austriaca esisteva una complessa e mai compiutamente definita relazione fra il cosiddetto “domicilio politico” e il diritto di cittadinanza (Staatsbürgerschaft). I paragrafi 28, 29 e 30 del Codice universale austriaco pel Regno Lombardo-Veneto (Parte I, Milano 1815) ne davano una formulazione abbastanza generica: «§ 28 Col diritto di cittadinanza si acquista pienamente anche quello dei diritti civili. Compete ai figli de’ cittadini austriaci per la sola loro nascita la cittadinanza in questi Stati ereditari»«§ 29 Gli stranieri acquistano la cittadinanza austriaca entrando in un pubblico impiego; dandosi ad una professione, l’esercizio della quale richiegga l’ordinario domicilio nel paese; dimorando in questi Stati pel corso non interrotto di dieci anni compiti, a condizione però che in tutto questo tempo non siano incorsio in veruna pena per qualche delitto»«§ 30 Anche senza darsi una professione o mestiere, e non compito il decennio, può chiedersi il diritto di cittadinanza alle autorità politiche e da queste concedersi, avuto riguardo al patrimonio, all’industria ed alla condota morale del supplicante». Il problema aveva già interessato il primo dominio austriaco nella Lombardia settecentesca, quando ci si era dovuti confrontare con i concetti italiani di cives e civitas, del tutto sconosciuti alla cultura giuridica asburgica. Un decreto del 1780, all’inizio delle riforme giuseppine, aveva così stabilito di considerare sudditi di sua maestà nella provincia e stato di Milano tutti coloro che possedevano una stabile e fissa dimora «in der österreichischen Lombardei»; quindi non la nascita in una città, l’appartenenza a un ceto (com’era stato fin lì) o il possesso di beni terrieri offrivano la qualifica di cittadino, ma solo la residenza continuativa in un luogo, il cosiddetto politisches Domicil. La precisazione venne accolta e formulata, come abbiamo visto, nella prima edizione del Codice civile, pubblicato in lingua tedesca nel 1812 e poi accolto nelle province riconquistate al dominio napoleonico. L’impossibilità tuttavia di far dipendere il diritto di cittadinanza dalla nazionalità del suddito (inattuabile in un edificio plurietnico come l’impero) rese la sua definizione soggetta, da subito, a continue modifiche. Da un lato, come fece il primo grande commentatore del Codice civile, Franz von Zeiller, ci si sforzò di definire i cittadini come membri dello Stato (Staatsbürger), creando un modello formale di cittadinanza esclusiva e indivisibile, valevole per tutte le etnie imperiali. Dall’altro, tramite successive decretazioni, si definirono meglio i requisiti per il suo acquisto. Accanto alle norme fissate originariamente nel Codice – servizio nella pubblica amministrazione, attività commerciale accompagnata alla residenza, residenza decennale continuata, concessione graziosa dell’autorità politica – vennero via via enumerate ulteriori condizioni. Una patente del 1 marzo 1833, ad esempio, introdusse un cambiamento nella procedura che riguardò il requisito dei dieci anni di ininterrotta residenza. Da allora, lo straniero che avesse soddisfatto questa condizione, riceveva la cittadinanza austriaca solo quando dimostrasse alle autorità locali il proprio «Wohnort» (luogo di residenza), prestasse giuramento, e le competenti autorità politiche fossero convinte che il richiedente non aveva commesso crimini, teneva un comportamento morale e non dava origine a sospetti o lamentele. Una conseguenza di quest’imprecisione, trascinatasi negli seguenti fino alle costituzioni del 1848 e 1867, fu l’estrema (e per certi versi ossessiva) insistenza delle autorità austriache sul criterio del domicilio, che doveva formare in fin dei conti l’unico solido fondamento della cittadinanza. Lo spiegava esaurientemente A. Lorenzoni, Istituzioni del diritto pubblico interno pel Regno Lombardo-Veneto, Padova 1835, p. 125, Capitolo VII, commentando i passi del Codice (e in particolare il § 31) dopo averne elencato i modi d’acquisto tradizionali, Lorenzoni puntualizzava: «§ 187 Colla sola detenzione o col solo godimento però di una casa, di una possessione o di un fondo, collo stabilimento di un traffico o di una fabbrica commerciale, o colla partecipazione all’uno od all’altra senza il personale domicilio in una Provincia del Regno, non si acquista la cittadinanza lombardo-veneta». Le severissime misure sul controllo della mobilità individuale messe in opera dalla polizia austriaca per tutto il periodo della Restaurazione si collegavano direttamente a questa, per così dire, originaria imprecisione nello stabilire chi fosse cittadino austriaco e chi no. Quanto in età teresiana e giuseppina era stata favorita la libertà di immigrazione nelle province lombarde, tanto ora, nel Regno ottocentesco, l’emigrazione illegale veniva colpita da pene molto severe, comportanti la perdita di tutti i diritti civili e soprattutto la confisca dei patrimoni. Vale la pena di leggere, in chiusura, l’efficace commento di Antonio Lorenzoni (pp. 128-129) «§ 191 Si dice che emigra quel cittadino il quale si assenta dallo Stato per istabilirsi in esteri paesi. Colla emigrazione adunque senza il superiore permesso non solo si perde il diritto di cittadinanza, ma si commette un delitto od una grave trasgressione di polizia, secondo i casi. La procedura in materia emigrazione spetta alle R. Delegazioni provinciali, le quali conoscono e giudicano in prima istanza di tali contravvenzioni in via politica, salvo il ricorso al Governo ed all’Aulico Dicastero. La sentenza da pronunciarsi e da pubblicarsi regolarmente per parte delle competenti Autorità politiche contro le persone emigrate senza permesso, dopo le prescritte citazioni edittali, deve esprimere la pena della morte civile colla perdita del diritto di ereditare, ed in conseguenza che in tutti i casi la facoltà ereditaria passi a chi sarebbe chiamato alla successione se il condannato fosse mancato di vita; del diritto di stipulare contratti fra vivi, e di fare testamento; di esercitare tutele, o intervenire alla destinazione di tutori; di deporre testimonianze davanti ai Tribunali in un Atto pubblico; di comparire in giudizio come attore e come reo, potendo ciò però aver luogo all’occorrenza col mezzo di un sostituto da destinarsi legalmente».  A cura di Marco Bellabarba

  
G
Giudice relatore:Era il consigliere cui veniva affidata la conduzione del processo. Era suo compito stendere sia il Referato di preliminare investigazione che il Referato di finale inquisizione. Leggeva i due referati agli altri colleghi consiglieri esponendo il suo voto. Nei due referati doveva esprimere sia la sua funzione di accusatore che quella di difensore dell’imputato.Vedi:InvestigazioneInquisizioneConchiuso di desistenza

  
Giudizio criminale: vedi Prima istanza

  
Giuramento e testimonianza:La testimonianza ha una sua validità processuale nel momento in cui è avvalorata dal giuramento prestato dal teste.Vedi Paragrafo 384

  
Gravi trasgressioni di polizia:Il Codice  penale universale austriaco del 1803 si divideva in due Parti: la prima, Dei delitti, definiva quegli illeciti collegati all’inquisizione criminale per i quali era prevista necessariamente la pravità dell’intenzione cioè il dolo, congiunta ad un’azione od omissione delittuosa. La seconda, Delle gravi trasgressioni di polizia, comprendeva quelli illeciti commessi senza pravità d’intenzione, che per diversi elementi non erano qualificati per la criminale inquisizione. Corrispondevano in parte alle contravvenzioni dei moderni codici penali, in parte alle misure di sicurezza.            Il Codice, nel definire gravi trasgressioni di polizia  quei reati di minore gravità rispetto ai delitti veri e propri, ne individuava tre tipi: trasgressioni contro la sicurezza  e la tranquillità dello Stato, delle sue istituzioni e della comunità; trasgressioni che attentavano alla sicurezza dei privati  a livello fisico, etico e civile; trasgressioni contro la pubblica correttezza morale e dei modi.            Oltre alla tipologia dei comportamenti perseguiti con pene più lievi, emergono differenze nelle competenze di giudizio e  nella  procedura            La competenza di giudizio era  affidata a un magistrato politico. A differenza del magistrato togato presente nei tribunali ordinari, al giudice politico erano richiesti solo i seguenti requisiti: aver compiuto i ventiquattro anni  e aver dimostrato di conoscere il Codice penale mediante il superamento di un esame. Nell’espletare la sua funzione giudiziaria egli era affiancato da un attuario.            Per la definizione di tale figura erano occorsi  dei tempi relativamente lunghi di elaborazione; dal 1815 al 1818 la giurisdizione per  le trasgressioni era stata affidata ad “un’autorità politica specialmente delegata”:  il giudice di pace, non identificabile con un magistrato togato.            Nei decenni successivi la competenza era passata alle preture foresi nelle campagne, mentre  le preture urbane nelle città di provincia conservavano il giudice politico,  magistratura che  nel 1832  veniva riunita alla pretura urbana.            Tale flessione legale e amministrativa può trovare una risposta  in un ambito sociale, considerando, cioè, i “destinatari” delle  misure di polizia, in particolare quelle di prevenzione e contro la pubblica costumatezza. Essi appartenevano, in larga maggioranza, allora come oggi, alle fasce culturalmente più deboli della società, meno tutelate economicamente e più facilmente devianti, secondo i canoni della società dell’epoca.             Il processo per l’omicidio di Giovanni Rama ne rappresenta un efficace esempio: sia gli imputati che alcuni indagati avevano subito delle precedenti condanne politiche, per violazione di norme configurabili come gravi trasgressioni.  In particolare, Lucia Graizzaro, moglie dell’ucciso Giovanni Rama, aveva subito 13 giorni di arresto per pubblica scostumatezza perché aveva passato una notte intera al ballo in una festa di paese.             Per quanto riguarda la procedura, essa  si sviluppava con modalità più semplificate rispetto a quelle relative ai delitti.            Nel momento in cui l’azione deviante era raffigurabile come un illecito e  la notizia perveniva alla polizia, iniziava l’ investigazione.  Una serie di paragrafi prescriveva dettagliatamente l’iter da seguire che comportava, fra l’ altro, la stesura di un protocollo contenente tutti gli atti  del  caso, sottoscritti dal pretore o dirigente e dall’attuario.            Quando le circostanze mostravano una connessione tale tra il fatto  ed una persona, che essa ne possa essere imputata con verosimiglianza come rea,  si apriva la fase inquisitoria nei confronti di quest’ultima.            Il § 323 della Parte II  prevedeva  i casi in cui la polizia poteva procedere all’arresto formale. Nella clausola conclusiva del paragrafo si nota, come in altre fasi del procedimento, il richiamo del legislatore  al rispetto della dignità e della reputazione dell’ individuo nell’esecuzione dell’ arresto.               Tale “sensibilità” del legislatore  rivelava, però, un aspetto discriminante quando prevedeva fra le varie pene il castigo corporale, costituito in colpi di bastone per i maschi e di verghe per le femmine e per i giovani al di sotto dei diciotto anni, da somministrare “… soltanto nella gente di servizio, nei lavoranti degli artigiani, ed in quelle classi di persone, che guadagnano il mantenimento di giorno in giorno, alle quali perciò  l’arresto anche di pochi giorni recherebbe danno nei loro guadagni, e nella sussistenza della propria famiglia”.             L’iter continuava con l’ acquisizione del costituto, per definire il fatto, le circostanze poco chiare, la colpevolezza dell’ inquisito ed altro; anche in questa fase erano previste le modalità di stesura di un protocollo, il comportamento che l’inquirente doveva tenere nel corso  dell’interrogatorio, l’uso di testimonianze e prove. Particolare interesse  assumeva il contenuto del § 340 in cui il giudice  inquirente,  alla ricerca e definizione della reità dell’inquisito, svolgeva anche la funzione di difensore per verificare la sua totale innocenza o la minore colpevolezza.            Considerati i forti  limiti alle  garanzie procedurali come l’iniziativa ex officio, la segretezza degli atti istruttori e l’assenza di un difensore, risulta  paradossale ravvisare una sorta di garanzia per l’ imputato la confluenza dell’esercizio di più funzioni (inquisitoria-difensiva-giudicante) nel giudice.            Tale sistema tendeva, comunque, a compensare i tratti inquisitori del processo  con i vincoli delle prove legali e la pluralità dei gradi di giudizio. Il Codice, infatti, prevedeva l’acquisizione della piena prova legale sia per i delitti che per le gravi trasgressioni attraverso il concorso delle circostanze, la deposizione di testimoni, la confessione dell’ imputato.             A quest’ ultima prova il legislatore riservava un’attenzione particolare, esternata in vari paragrafi in cui al giudice era prescritto  il rispetto di precise garanzie.            Il magistrato politico, infine, procedeva alla lettura del costituto, del protocollo riassuntivo e formulava la sentenza alla presenza dell’ imputato e di due assessori, che dovevano sottoscrivere gli atti. Il fascicolo processuale veniva, quindi, trasmesso all’autorità politica superiore  che ne controllava la regolarità; in caso affermativo, il giudice politico dava esecuzione alla sentenza.            Come per i delitti, anche per  le ” trasgressioni di polizia” erano previsti tre gradi di giudizio: in prima istanza le preture foresi nelle campagne, e urbane nei capoluoghi di provincia, in secondo grado  i Governi di Milano e di Venezia, in terzo l’Aulico Dicastero Politico di Vienna.(a cura di Mila Manzatto)                    

  
I
Il Regno Lombardo-Veneto:                                   Il  Regno Lombardo-Veneto  Con atto imperiale del 7 aprile 1815 venne creato il regno Lombardo-Veneto. Stabilendo una continuità territoriale dei domini assurgici, l’Austria vedeva così assicurata una solida egemonia e una salda posizione strategica sulla penisola. Della nuova entità territoriale entrarono a far par parte integrante l’ex Ducato di Milano, gran parte dei territori della Repubblica di Venezia, la Valtellina, una fascia della sinistra del Po già appartenente allo stato Pontificio.Il regno era formalmente retto dall’imperatore rappresentato a sua volta da un viceré la cui funzione si ridusse a compiti decorativi. Il potere effettivo era esercitato da due governatori residenti a Milano e a Venezia i quali dovevano rispondere del loro operato direttamente al governo di Vienna. Essi presiedevano un consiglio di governo nelle due capitali ai cui membri era affidata la responsabilità di una o più materie. A Milano e a Venezia vennero costituiti un Magistrato Camerale, con competenze tributarie, e due Congregazioni centrali, dotate di poteri consultivi, composte da due deputati per provincia e di uno per ogni città regia scelti dall’imperatore all’interno di una rosa di contribuenti diretti, appartenenti alla nobiltà o alla borghesia, proposta dalle Congregazioni provinciali, presiedute da un podestà, e dai consigli comunali delle città.Nei capoluoghi di provincia operavano un regio delegato e un intendente di finanza con responsabilità rispettivamente politiche, simili a quelle di un prefetto, e finanziarie, in particolare in merito alla riscossione delle imposte indirette. All’interno di ciascuna provincia l’organizzazione austriaca prevedeva i distretti alla cui testa erano posti i commissari distrettuali con funzioni di polizia e con la prerogativa del controllo sull’operato dei comuni. A questo proposito venne di fatto riesumata la legge comunale Teresiana risalente al 1755 che concedeva un’apprezzabile autonomia alla realtà municipali in ordine alla gestione dei bilanci e alla nomina delle cariche locali.I rapporti tra stato e chiesa furono regolati dalla legislazione Giuseppina tenendo conto del fatto che la vendita dei beni del clero avvenuta durante il periodo napoleonico fu riconosciuta anche sulla base dei trattati stipulati al Congresso di Vienna.A Milano e a Venezia furono create due direzioni generali di polizia dipendenti dai rispettivi governatori e dal ministero centrale della sicurezza con sede a Vienna. Esse sovrintendevano all’operato delle locali direzioni di polizia formalmente subordinate alle rispettive regie delegazioni provinciali di cui facevano parte i commissari superiori di poliziaAlla base del sistema giudiziario troviamo i pretori, posti alla testa di ogni distretto, che, oltre a promuovere le inquisizioni su delega dei tribunali di prima istanza, avevano competenze in materia civile e di gravi trasgressioni di polizia. Nei capoluoghi di provincia era attivo un tribunale di prima istanza che giudicava sia nel criminale sia nel civile, mentre a Milano e a Venezia era insediato un tribunale d’appello civile e criminale. Al vertice di questa struttura gerarchica si poneva il Senato-Lombardo-Veneto, con sede a Verona; una sorta di corte di cassazione che estendeva le sue competenze alla Dalmazia e alla Croazia. Nel settore civile era in vigore il Codice Universale Civile del 1811, la giustizia penale era invece amministrata sulla base del codice promulgato da Francesco II nel 1803 al tempo della prima dominazione austriaca su Venezia, caratterizzato da coerente sistematicità, solidità normativa, rigore nella descrizione tipologica delle pene, chiarezza nella definizione dei confini tra ambito penale e ambito civile, risoluta limitazione dei diritti della difesa comprendente la segretezza del processo e l’esclusione degli avvocati, durezza delle pene del carcere e corporali (peraltro formalmente abolite per il solo Regno Lombardo-Veneto il 14 marzo 1816).Dal punto di vista  amministrativo e legislativo il governo austriaco nel Lombardo-Veneto ebbe indubbiamente un’impronta di relativa modernità, soprattutto se si procede ad un confronto con la situazione di altri stati italiani dell’epoca. Fra gli altri Marco Meriggi si è spinto fino a parlare dell’esistenza di una vera e propria “struttura costituzionale” parallela che, in ambito locale e amministrativo, “pareva addirittura avere il sopravvento sulle articolazioni del controllo dell’apparato dello stato”. Meriggi ha posto l’accento principalmente sul ruolo delle Congregazioni che, pur non esercitando il potere legislativo, non sarebbero state dei semplici involucri formali come voleva l’agiografia risorgimentale, bensì il tramite efficace di una non formale azione di autogoverno. “Con modalità e con intenzioni diverse, rispettivamente in ambito comunale e in ambito provinciale e regionale, le istituzioni di autogoverno lombardo-venete erano dunque in grado di svolgere un ruolo attivo nella vita del Regno. E, indubbiamente, almeno fino al 1848 la loro esistenza fece avvertire ai sudditi lombardo-veneti come meno gravosa la loro dipendenze da Vienna”. E’ tuttavia non meno evidente la pesantezza della dipendenza del Regno dall’Austria: la mancanza di un’effettiva autonomia amministrativa; l’odiosa presenza di un corpo di occupazione composto in prevalenza di soldati appartenenti alle altre nazionalità dell’impero, la pesantezza degli aggravi fiscali e gli squilibri del sistema doganale proibitivo che non favorivano i commerci lombardo-veneti; i gravosi e capillari controlli di polizia; la sostanziale durezza del sistema giudiziario penale (in contrasto con quello regolato dal codice civile informato a principi liberali).In questo quadro generale lo sviluppo dualistico del Regno Lombardo-Veneto affondava le sue radici nella differente eredità storica delle due regioni. Nell’insieme l’economia e la società veneta conservarono a lungo un carattere di relativa staticità, pur nel quadro di uno sviluppo differenziato fra le variegate aree della regione. Un’agricoltura fondamentalmente stagnante e la decadenza del commercio avevano segnato gli ultimi decenni di vita della Repubblica secondo una tendenza che sembrava prolungarsi anche sotto il dominio asburgico. Al contrario la Lombardia, nel corso del Settecento, aveva conosciuto la sua rivoluzione agraria e commerciale nell’ambito di un’economia sempre più protesa verso i mercati esteri e di un notevole sviluppo della borghesia intellettuale e delle professioni. Mentre si erano da tempo preannunciati i notevoli sviluppi capitalistici ed industriali che si verificarono nel corso della Restaurazione e poi nei decenni successivi all’unità, la Lombardia si apriva dunque precocemente ad una piena partecipazione alla vita culturale europea del tempo. (a cura di Michele Simonetto) BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE BERENGO, Marino, L’agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all’Unità, Millano, 1963.BERENGO, Marino, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino, 1980.BERENGO, Marino, Le origini del Lombardo-Veneto, “Rivista storica italiana”, LXXXIII (1971), pp.525-554.BERENGO, MARINO, Appunti sulla polizia austro-veneta agli inizi della Restaurazione, in Ricerche di storia in onore di Franco Della Peruta, vol.I, Politica e istituzioni, Milano, 1996, pp.136-146.BERTI, Giampiero, Censura e circolazione delle idee nel Veneto della Restaurazione, Venezia, 1989.CAIZZI, Bruno, L’economia lombarda durante la Restaurazione (1814-1819), Milano, 1972.MERIGGI, Marco, Amministrazione e classi sociali nel Lombardo-Veneto (1814-1848), Bologna, 1983MERIGGI, Marco, Il Regno Lombardo-Veneto, in Storia d’Italia, a cura di G.Galasso, Torino, 1987.POVOLO, Claudio, La selva incantata. delitti, prove, indizi nel Veneto dell’Ottocento, Verona 2007.RAPONI, Nicola, Il Regno Lombardo-Veneto (1815-1859/66), in Amministrazione della giustizia e poteri di polizia dagli stati preunitari alla caduta della Destra, Roma, 1986, pp.93-157.TONETTI, Eurigio, Governo austriaco e notabili sudditi. Congregazioni e municipi nel Veneto della Restaurazione (1816-1848), Venezia, 1997.Venezia e l’Austria, a cura di G.Benzoni e G.Cozzi, Venezia, 1999.ZALIN, Giovanni, Aspetti e problemi dell’economia veneta dalla caduta della Repubblica all’annessione, Vicenza, 1969. 

  
Inquisizione:Inquisizione: Si trattava della fase centrale del processo, prevista dal Capo VI del Codice (paragrafi 334-347) ed integrata con i successivi paragrafi dedicati al Costituto ordinario, ai confronti e all’esame dei testimoni. Compito dell’inquisizione era chiarire la colpevolezza o l’innocenza di un imputato (par. 334). A tal fine il Giudizio criminale doveva estendere le sue indagini per raggiungere la piena prova sia sulle circostanze del delitto che su tutto ciò che poteva contribuire all’individuazione della colpevolezza o dell’innocenza dell’imputato. Il paragrafo 337, escludendo la presenza di un difensore, garantiva all’imputato, subito dopo il suo arresto, il “diritto illimitato durante tutto il corso del processo di somministrare tutti quei mezzi di difesa che egli crede opportuni”. Compito della fase d’inquisizione era di scoprire i colpevoli autori del delitto e di risarcire la parte offesa (par. 338). Il paragrafo 339 raccomandava come tale fase, nei limiti del possibile, dovesse essere condotta con celerità. L’inquisizione si concludeva infine con la stesura del Referato d’inquisizione finale steso dal giudice relatore.

  
Intenzionalità: Vedi Paragrafo 1

  
Interrogatorio: Interrogatorio:Al momento dell’arresto, l’imputato veniva condotto davanti al giudice e sottoposto al costituto sommario. L’interrogatorio si doveva svolgere alla presenza di due assessori giurati che ne garantivano la validità. Si iniziava mettendo a verbale i dati riguardanti la descrizione della sua persona e le notizie generali, se non erano già stati raccolti precedentemente nel cosiddetto costituto sommarissimo (del quale non troviamo traccia nel Codice, ma che invece in questo processo risulta consolidato nella prassi).Dopo la descrizione analitica di come si deve svolgere l’interrogatorio dell’imputato, il paragrafo 300 è molto chiaro nell’indicare i limiti del costituto sommario: in esso il giudice non doveva entrare nel merito delle risposte dell’imputato, o evidenziare eventuali contraddizioni con elementi raccolti in precedenza, ma semplicemente registrare le risposte che venivano date alle sue domande, poste senza malizia, minaccia od inganno, anche perché egli svolgeva la doppia funzione di accusatore e difensore.In seguito si procedeva con il cosiddetto costituto ordinario, descritto nel Capo VII del Codice. In esso il giudice induceva l’imputato a confrontarsi con gli elementi emersi nel corso del processo, al fine di chiarire “tutto ciò che l’imputato ha dedotto nel costituto sommario […] e non sia già stato d’altronde giustificato” (paragrafo 348); infatti, se gli elementi raccolti nei costituti sommari erano sufficienti a determinare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato ed a chiarire ogni aspetto del delitto, il processo veniva chiuso (paragrafo 349). Nel caso l’accusato fosse rimasto saldo sulle sue posizioni, il giudice lo portava a conoscenza del fatto che c’era motivo di credere che stesse mentendo ed infine, continuando nella reticenza, lo si informava di cosa fosse stato detto in merito e da chi. A questo punto vi era la possibilità di ricorrere al confronto.Il giuramento al quale venivano sottoposti gli interrogati al termine del costituto, non veniva richiesto a coloro i quali erano implicati nel crimine perseguito e, più in generale, alle persone di dubbia fama; in merito è importante sottolineare il persistere di pratiche tipiche delle società di ancien régime, dove la reputazione del testimone era in grado di validare, da sola, un indizio legale e dove il parroco, con le sue fedi ed attestando o meno i buoni costumi delle persone prese in esame, ne determinava l’onorabilitá e la fama, significativa anche agli occhi della giustizia.I costituti giurati e firmati sono spesso preceduti da altri interrogatori “informali” svolti, ad esempio, dal commissario, citati e considerati in quelli “ufficiali”.Oltre agli elementi necessari per stabilire la verità processuale, all’interno dei costituti emergono interessantissime informazioni in grado di descrivere i costumi, la socialità, le percezioni di quella gente: la loro vita quotidiana, con notizie che riguardano il vestiario e il loro aspetto; significative in merito sono le dettagliate descrizioni dell’aspetto fisico degli imputati eseguite immediatamente dopo l’arresto (prescritte nel paragrafo 285). Ed ancora la dieta, i lavori, la frequentazione della chiesa e delle osterie, le feste; i costumi più o meno leciti dei vari personaggi ed il punto di vista che ha il resto della comunità in merito a ciò. L’interpretazione dello spazio e del tempo che gli interrogati offrono; l’onomastica ed in particolare l’uso dei soprannomi (curioso, per non fare che un esempio, che il testimone Antonio Rama abbia come soprannome il cognome della moglie, Aldighieri). Infine il dialetto che, nei limiti propri della trascrizione, si cercava di riportare in maniera comprensibile, mantenendo però alcune peculiarità, come le imprecazioni.(A CURA DI Erasmo Castellani)

  
Investigazione:E’ la prima fase processuale volta ad accertare  sia il legale riconoscimento del fatto (cap. II, par. 226-257), che la legale imputazione di un delitto commesso (cap. III, par. 258-280).Il giudizio criminale doveva procedere alla notizia di un delitto commesso nella sua sfera di giurisdizione. L’indagine doveva accertare accuratamente se il fatto costituiva un delitto, insieme alle circostanze che lo qualificavano. Punto essenziale di questa primissima fase era il legale riconoscimento del corpo del delitto (par. 235-247). Dovevano di seguito essere esaminate tutte le persone che avevano informazioni sul fatto (par. 248-257). Il paragrafo 258 recitava che “nessuno può essere chiamato a giustificarsi per un delitto se l’imputazione non è fondata sopra indizi legali già esistente”. Il paragrafo 259, assai importante, definiva infine il valore legale degli indizi:”Indizi legali sono quelle circostanze che danno luogo a riconoscere una connession tale tra il delitto ed una persona che dietro una imparziale ponderazione si renda verisimile essersi dalal medesima commesso il delitto”.I successivi paragrafi del Codice si preoccupavano poi di descirvere la verosimiglianza degli indizi più vicini necessari per l’imputazione legale. Questi indizi erano sufficienti, di per sè soli, per formulare l’accusa nei confronti di una persona, ma potevano essere bastanti anche indizi più lievi (rimoti) se questi si combinavano tra di loro. Il paragrafo 274 attestava poi che per fondare la legalità di un indizio non era necessario che esso fosse provato con i due classici testimoni: anche uno solo era sufficiente, “sia egli il danneggiato od un terzo, purché deponga intorno all’esecuzione del fatto stesso od intorno alle azioni o circostanze dell’imputato aventi col fatto una necessaria connessione”.I successivi paragrafi 275 e 276 esplicitavano chiaramente l’intervento delle autorità politiche:par. 276: “Importando assaissimo per la conservazione della comun sicurezza che i delinquenti siano sollecitamente scoperti, sono obbligate in generale anche le magistrature politiche a cooperare a questo intento. Quindi qualunque, podestà, giudice ed ufficio è in dovere di comunicare immediatamente al giudizio criminale od alla magistratura politica del suo distretto qualunque cosa gli venga a cognizione intorno gli indizi che servir possono allo scoprimento d’un delinquente od intorno alle circostanze che possono condurre a tali indizi”.par. 277: “In questi casi, e generalmente tosto che la menzionata magistratura politica ha qualche traccia d’un delitto, è in obbligo senza aspettare l’inchiesta del giudizio criminale d’investigare gli indizi nel modo prescritto e di trasmettere gli atti al giudizio criminale, il quale è in dovere di emendare i difetti che vi si trovassero”.Questi ultimi paragrafi spiegano chiaramente la portata dell’intervento, nel processo Rama, delle preture di Tregnago, Soave e Arzignano, le quali svolsero quasi per intero tutta la prima fase delle indagini e che poi svilupparono sulla scorta delle osservazioni di Bernardo Marchesini.La fase  investigativa assumeva ovviamente un’altra dimensione processuale nel momento in cui veniva direttamente assunta dal Tribunale provinciale. Affidata ad un giudice relatore, poteva essere proseguita con la richiesta di ulteriori informazioni che questi poteva inoltrare alle preture competenti (come nel processo Rama, in cui Marchesini sollecita la pretura di Arzignano a chiarire alcuni punti che, a suo giudizio, non erano stati sufficientemente approfonditi).La fase di investigazione si concludeva con il Referato di preliminare investigazione ( o iniziale), tramite cui il giudice relatore, riassumendo il processo in tutte le sue fasi essenziali, illustrava ai colleghi consiglieri che componevano il Giudizio criminale, il suo voto. Con il referato di preliminare investigazione il giudice relatore interveniva sia sull’eventuale esistenza del delitto, che sugli indizi ad inquirendum che potevano gravare sulle persone sospettate. In caso avesse valutato la non esistenza del delitto, oppure l’assenza di qualsiasi indizio a carico della persona sospettata, il giudice relatore avrebbe dovuto proporre un conchiuso di desistenza, che poneva fine ad ogni ulteriore indagine.

  
L
Lettere requisitorie:Descritte dal paragrafo 345, inserito nel capitolo dedicato all’Inquisizione:”Il giudizio criminale in tutto ciò che concerne l’esercizio della sua giurisdizione è autorizzato a corrispondere direttamente col mezzo di lettere requisitorie con ciascuna podestà politica o giudiziaria. Queste sono obbligate a prestarsi in sussidio dei giudizi criminali, ad eseguire d’ufficio, per quanto è nelle loro facoltà, le requisizioni che ad esse pervengono; ed a dare colla maggior possibile sollecitudine riscontro dell’operato od avviso degli sotacoli che per avventura si fossero incontrati. Se il giudizio criminale trova negligenza o ritardo per parte loro è in obbligo di farne rapporto al tribunale d’appello, affinché col mezzo delle superiori podestà da cui dipendono siano costrette all’adempimento del loro dovere, siano chiamate a render conto del ritardo e secondo la qualità delle circostanze siano punite. Mancando il giudizio criminale a quest’obbligo, l’altrui negligenza non potrà ulteriormente servirgli di scusa o discolpa”.

  
M
Materialità:Il principio di materialità è attestato dal paragrafo 8 del codice penale.Vedi Paragrafo 8

  
Mitiganti:Il capitolo IV era dedicvato alle circostanze mitiganti (paragrafi 39-40).Il paragrafo 39 elencava le circostanze inerenti la persona dell’imputato:”Le circostanze mitiganti che riguardano la persona del reo sono: a) se il reo non è ancora dell’età di vent’anni, s’è debole di mente; o se la sua educazione è stata molto trascurata; b) se l sua condotta prima del delitto è stata senza rimprovero; c) se ha commesso il delitto ad istigazione d’un altro o per timore od obbedienza; d) se si è lasciato trasportare al delitto in istato d’una violenta commozione d’animo procedente da un risentimento connaturale all’uomo; e) se è stato allettato al delitto dall’occasione a lui offertasi per l’altrui negligenza, anziché determinato dalla prava intenzione di commetterlo; f) se si è lasciato indurre al delitto da una stringente povertà; g) se si è adoperato con attivo zelo a risarcire il danno recato o ad impedire le ulteriori perniciose conseguenze; h) se potendo facilmente sottrarsi colla fuga o tenersi nascosto si è da se stesso denunciato ed ha confessato il delitto; i) se ha scoperti altri delinquenti stati fin allora occulti ed ha suggerita l’opportunità ed i mezzi d’arrestarli; k) se per essersi protratta senza sua colpa l’inquisizione ha dovuto rimanere più a lungo in carcere”.Il par. 40 elencava invece le mitiganti inerenti la qualità del fatto:”Le circostanze mitiganti che riguardano la qualità del fatto sono: a) se l’atto è rimasto nei limiti dell’attentato anche a misura che questo è stato più o meno lontano dal compimento del delitto; b) se il reo nel commettere il delitto si è volontariamente astenuto dal recare maggior danno, sebbene ne avesse libero il campo; c) se piccolo è il danno derivato dal delitto o se il danneggiato od offeso ottiene la piena indennità o soddisfazione”.Vedi: AggravantiVedi: Applicazione delle aggravanti e mitiganti

  
O
omicidio: Vedi paragrafi 117-120.

  
P
Palese mendacio: Vedi paragrafo 365.

  
Paragrafi 117-120:Dell’omicidioParagrafo 117: Quegli che colla risoluzione di ammazzare una persona la tratta in modo che le ne derivi necessariamente la morte, si fa reo del delitto d’omicidio.Paragrafo 118: Le specie dell’omicidio sono:1° Omicidio proditorio, che si commette col veleno o con altri mezzi insidiosi.2° Omicidio con rapina, che vien fatto coll’intenzione d’appropriarsi la roba altrui mediante violenza alla persona.3° Omicidio per mandato, al quale taluno vien prezzolato od in altro modo determinato da un terzo.4° Omicidio semplice, che non appartiene ad alcuna delle più gravi specie d’omicidio fin qui indicate.Paragrafo 119: Ogni omicidio consumato è punito colla pena di morte, tanto nell’immediato autore, come in quello che lo ha in qualche modo ordinato od ha prestato aiuto ad eseguirlo.Paragrafo 120: Quelli che in uno de’ modi più rimoti enunciati nel par. 5 hanno avuta parte nel commesso omicidio, se questo è semplice sono puniti col carcere duro da cinque fino a dieci anni, ma se fu commesso in un parente in linea ascendente o discendente o nel coniuge del reo principale o d’un suo complice, essendo lor note tali relazioni, ovvero se l’omicidio fu proditorio, o con rapina, sono puniti col carcere duro tra dieci e vent’anni.

  
Paragrafi 254 e 256:Paragrafi concernenti il giuramento.Vedi Paragrafo 384Vedi Giuramento e testimonianzaVedi la voce nel blog: La percezione della testimomianza.

  
Paragrafi 36-38: Vedi circostanze aggravanti

  
Paragrafi 39-40: Vedi mitiganti

  
Paragrafi 433-435:Erano i paragrafi del Codice penale che definivano il passaggio automatico della sentenza consultiva alla corte d’appello di Venezia. Il paragrafo 433 contemplava i reati che, per la loro importanza e gravità, prevedevano comunque che la corte d’appello esaminasse la sentenza consultiva e il fascicolo processuale. E così il paragrafo 434 per il reato di truffa.Si riporta invece il paragrafo 435, di estrema importanza, in quanto il controllo della corte d’appello era previsto per altri motivi, come, ad esempio, per una condanna inflitta dal tribunale in base alla prova legale e per concorso delle circostanze contro un cosiddetto reo negativo:Paragrafo 435:”Negli altri delitti allora la sentenza si sottomette al superior giudizio criminale: a) quando la condanna è appoggiata al legale convincimento d’un reo negativo; b) quando la pena oltrepassa la durata di cinque anni, c) quando alla pena legale è aggiunto l’inasprimento della berlina o del bando o d) l’esacerbazione con colpi di bastone o di verghe”.Vedi:AppelloProva indiziaria e Prova legalePrima istanza

  
Paragrafi 47, 48, 49: Vedi: Applicazione delle aggravanti e mitiganti

  
Paragrafi 80-81: Vedi Rapimento (ratto).

  
Paragrafo 362: Vedi in forum la voce ‘Il pianto di Lucia’:

  
Paragrafo 1: A costituire un delitto si richiede necessariamente la pravità dell’intenzione. V’è poi pravità d’intenzione non solo allorché o prima o nell’atto stesso d’intraprendere od ommettere il fatto fu direttamente delibrato o determinato il male, che va congiunto al delitto; ma anche allorquando con qualunque altro reo disegno fu intrapresa od ommessa un’azione, dalla quale ordinariamente deriva od almeno può facilmente derivare il male che è accaduto”

  
Paragrafo 271: Vedi nel forum La dimensione sociale della testimonianza.

  
Paragrafo 285:Il paragrafo 285 concerneva quanto doveva essere svolto dall’organo giudiziario (o politico) nel momento in cui l’imputato arrestato era condotto alla sua presenza:”Tosto che o dal giudizio criminale stesso è preso in arresto l’imputato e vien a lui presentato, ei deve: a) registrare al protocollo la causa dell’arresto, riportandosi agli indizi che ne sono il fondamento; b) descrivervi esattamente la figura esteriore e gli abiti dell’arrestato, c) far una visita in ogni parte del suo vestiario e su qualunque cosa abbia seco portata con tal diligenza che nulla possa rimanere nascosto”.

  
Paragrafo 337:Il paragrafo 337, racchiuso nel capitolo dedicato all’Inquisizione,  è di estrema importa, in quanto definiva il ruolo di difensore del giudice relatore:”Siccome la difesa dell’innocenza è già uno dei doveri d’ufficio del giudizio criminale, così l’imputato non può chiedere, nè che gli sia accordato un avvocato o difensore, nè che gli vengano comunicati gli indizi che stanno contro di lui; ma poiché secondo il paragrafo 292 devono darsi all’imputato subito dopo l’arresto le necessarie notizie intorno alla sua imputazione, egli ha il diritto illimitato durante tutto il corso del processo di somministrare tutti quei mezzi di difesa che egli crede opportuni”.

  
Paragrafo 345:Vedi: Lettere requisitorie

  
Paragrafo 363: “Se la risposta è data con una notabile alterazione di mente, il giudizio criminale fa visitare il carcerato da due medici e due chrurghi e si fa presentare in iscritto il loro parere. Se l’apparente alterazione provenga da un vero accesso di malattia o da simulazione? Se dichiarano la simulazione il carcerato, premessa un’opportuna ammonizione, è posto a pane ed acqua per tre giorni continui; indi dopo reiterata ammonizione è castigato con colpi di bastone di tre in tre giorni, cominciando con dieci colpi ed accrescendo ogni volta il numero di cinque, finché si arrivi al numero di trenta. Se il carcerato persiste non ostante nella simulazione, s’indica il caso al superior tribunale, unendogli tutti gli atti e se ne attende la sua deliberazione. Dichiarando all’incontro i medici e chirurghi esser vera l’alterazione di mente o di non poter esse secondo il loro ufficio e la loro coscienza proferir nulla di certo od essendo tra loro discordi d’opinione se ne fa egualmente rapporto circostanziato al tribunal superiore in attenzione delle sue istruzioni. In tale rapporto s’inseriscono le annotazioni che fossero occorse al giudizio criminale stesso ed al carcerato nell’osservar il carcerato”.

  
Paragrafo 364: “Se tanta è l’ostinazione d’un carcerato che non dia risposta alcuna alle propostegli interrogazioni vien egli ammonito seriamente dell’obbligo che h di rispondere al giudice e gli vien fatta presente che colla sua ostinazione va ad attirarsi un castigo. Se ciò non fa effetto vien egli trattato a causa dell’ancor ostinato suo silenzio nello stesso modo che è prescritto nel precedente paragrafo per la simulata alterazione di mente”.

  
Paragrafo 365: “Un proporzionato castigo con colpi di bastone o col digiuno ha luogo inoltre quando l’interrogato si conduce maliziosamente durante il costituto con modi indecenti ed offensivi o quando coll’addurre una circostanza riconosciuta manifestamente falsa ha studiato di protrarre l’inquisizione o d’indurre in errore il giudizio e persiste nella menzogna anche dopo esserglisi posta avanti gli occhi la chiara prova in contrario. In tal caso però il castigo non può eccedere il numero di venti colpi di bastone, nè tre giorni di digiuno in una settimana”.

  
Paragrafo 373: Vedi in forum la voce ‘Il pianto di Lucia’.

  
Paragrafo 377: Vedi nel Forum la voce Regola delle esclusioni (I).

  
Paragrafo 384:Si tratta del paragrafo che definiva le caratteristiche dei testi che non potevano prestare giuramento. Un paragrafo che ha un suo significato prendendo in considerazione i precedenti inerenti il tema stesso del conferimento del giuramento:”Paragrafo 254: Tanto chi ebbe danno dal delitto, come ad ogni altro testimonio che nell’investigazione depone qualche cosa di significante intorno al fatto, vien letta charamente la deposizione, come sta scritta al protocollo, avvertendola che la deve confermare anche con giuramento”.”Paragrafo 256: Si passa quindi a ricevere dal testimonio il giuramento, che la sua deposizione fu sincera e conforme alla verità. Un tal giuramento però vine ommesso od almeno differito fino ad ulteriore schiarimento, allorchè contro il testimonio qualche eccezione risulta fondata sul presente Codice“.Il paragrafo 384 recitava nel modo seguente, dopo che con il 383 si era specificato che i testimoni, anche nel processo per inquisizione dovevano prestare giuramento a norma dei paragrafi 254 e 256:”Dalle seguenti persone però non può assumersi il giuramento. Da quelle a) in cui cade il sospetto che abbian esse medesime commesso il delitto, sul quale vengono esaminate; b) che sono sospette d’esser corree o comlici di esso delitto; c) che per qualche delitto trovansi sotto inquisizione o in stato di pena; d) che non hanno ancora compiuta l’età di quattrodici anni; e) che vivon in nimicizia coll’imputato, in quanto depongano contro di lui; f) che nel loro esame hanno deposte circostanze sostanziali state poi provate false, senza che possano mostrare d’essere incorse in un errore innocente”.Si veda Giuramento e testimonianza.

  
Paragrafo 412:Oltre al classico sistema di prove legali, incentrato sulla testimonianza e la confessione (paragrafi 396-411, vedi Prova legale), il Codice penale austriaco del 1803 prevedeva pure il ricorso alla prova indiziaria con il successivo paragrafo 412. Tale paragrafo sarebbe stato integrato a partire dal luglio 1833 con la Sovrana patente che entrava più direttamente nel paradigma indiziario, rendendolo teoricamente più agevole. Il paragrafo 412, comprendeva alcuni articoli di carattere generale (soprattutto il punto II), ritenuti basilari per la validità della prova indiziaria. Seguiva poi l’elenco degli indizi ritenuti necessari per la legalità della prova in caso di omicidio o ferimento. Così come, successivamente, un procedimento analogo veniva previsto per gli altri delitti. Al paragrafo 412 farà direttamente riferimento il consigliere Bernardo Marchesini nel suo Referato finale. E’ evidente l’importanza del paragrafo 412, in quanto il convincimento dei rei era spesso ottenuto ricorrendo alla prova indiziaria, considerando la difficoltà ad avere la prova testimoniale diretta o la confessione. Il libero convincimento del giudice poteva sostenere la colpevolezza dell’imputato solo se (in mancanza della classica prova legale) era in grado di disporre di un paradigma indiziario convincente e in sintonia con i paragrafi 412 e 414. Altrimenti doveva propendere per la sospensione del processo. In caso di condanna contro un reo negativo la sentenza consultiva della prima istanza doveva automaticamente essere trasmessa al tribunale superiore (vedi Appello).Paragrafo 412:”A convincere legalmente col mezzo del concorso delle circostanze un delinquente che nega il fatto, si richieggono insieme congiunti i seguenti requisiti:I. E’ d’uopo che legalmente consti essere il fatto realmente succeduto ed essere stato accompagnato dalle determinate circostanze. Se quindi non è possibile di provar pienamente il fatto colle sue circostanze, neppure il convincimento pel concorso delle circostanze deve aver luogo.II. Deve risultare dal complesso delle relazioni dilucidate mediante l’inquisizione una sì stretta, sì chiara connessione tra il fatto avvenuto e la persona imputata, che almeno secondo il corso naturale ed ordinario delle azioni umane sia impossibile di supporre che altri, fuori dell’imputato, siasi trovato in un’occasione sì vicina, in una tal opportunità, ed in siffatta determinazione.III. Ne’ delitti, che riguardano ammazzamenti, od altre lesioni corporali, è d’uopo che dall’inquisizione risulti chiaramente, che l’imputato abbia nodrito contro la persona morta o lesa odio, inimicizia, rivalità, collera, malevolenza, od altra simil forte passione, che l’abbia minacciata della morte, o d’una offesa nel corpo, od almeno desiderata la sua morte, od offesa per cupidigia di danaro, per riuscire in un intento cui aveva interesse, o per rimuovere qualche impedimento.In oltre è d’uopo, che concorrano contro l’imputato e siano legalmente provate, almeno due delle seguenti circostanze.a) che sia succeduta la morte, o la lesione col mezzo d’un istromento che a quel tempo fosse in possesso del solo imputato.b) che l’imputato sia stato veduto nel luogo del delitto al tempo in cui fu commesso, nè possa addurre con verisimiglianza alcun altro affare o motivo, pel quale siasi ivi trovato.c) che dopo divulgato il commesso delitto abbia presa la fuga o siasi tenuto nascosto senz’altra apparente ragione.d) che sia stato colto con istromenti atti a commettere il delitto e de’ quali non fosse egli d’altronde solito di far uso.e) che già prima del delitto sia stato veduto nascosto od in agguato in un luogo ove d’ordinario frequentava la persona che fu morta o lesa.f) che siansi scoperti nella sua persona o ne’ suoi vestimenti segni del delitto o della resistenza incontrata nel commetterlo.g) che sia stata presso di lui trovata o da lui gettata, essendo inseguito, qualche cosa che al tempo del commesso delitto aveva presso di sè la persona che fu tolta di vita o lesa.Se vien legalmente provato il contrario di quanto l’imputato adduce a sua discolpa sopra gli indizi che militano contro di lui e per conseguenza risulta manifestamente falsa la sua giustificazione, anche una sola delle circostanze enunciate basta al suo convincimento”.(segue la descrizione degli indizi per altri delitti).Vedi: Sovrana patente del 6 luglio 1833.

  
paragrafo 414:Si tratta del paragrafo posto a chiosa di quelli previsti per la prova legale e indiziaria. E’ di importanza notevole, perché definisce un criterio generale che deve complessivamente rendere convincente l’acquisizione della colpevolezza dell’imputato:Regola generale intorno alle prove“In generale è da tenersi per regola che nessuna prova deve esser bilanciata per sè sola, ma ciascuna considerata in complesso con tutte le altre circostanze dell’inquisizione. A misura pertanto che si rende dubbia o l’imparzialità della testimonianza per le personali relazioni o la credibilità di qualunque altra prova per le notizie che in contrario risultano, la prova perde la sua forza ed una prova per tal modo indebolita non può più considerarsi come legale”.Tale paragrafo sarebbe stato esplicitamente richiamato anche dalla Sovrana patente del 6 luglio 1833.

  
Paragrafo 424: Vedi voce nel blog.

  
paragrafo 430:Vedi:La  confessione giudiziale in Forum

  
Paragrafo 7:“Non è necessario a costituire un delitto che il fatto sia realmente consumato. Il solo attentato d’un fatto criminoso costituisce già  il delitto, tosto che il mal intenzionato intraprende un’azione tendente all’effettiva esecuzione del medesimo; ma ne viene interrotto il compimento soltanto per impotenza, per ostacoli d’altronde sopravvenuti o per pure caso”.

  
Paragrafo 8: “Nessuno può essere costretto a render conto dei pensieri o degli interni suoi divisamenti, quando non ha intrapresa alcuna esterna cattiva azione e nulla ha commesso di ciò  che le leggi prescrivono di fare”.

  
Perizia:Dopo il rinvenimento del corpo di Giovanni Rama, la pretura di Tregnago, che apre l’istruttoria, si occupa della perizia cadaverica.Secondo il Codice Penale Universale austriaco, infatti, il parere dei periti (i quali, per la precisione, avrebbero dovuto essere due, tranne nei casi in cui ciò non fosse stato possibile, senza il rischio di incorrere in un “pericoloso ritardo”, § 240), doveva essere assunto, sotto previo giuramento (§ 241), in tutte quelle circostanze in cui l’espletamento delle indagini avesse richiesto le competenze specifiche di una “scienza od arte” (§ 240). In particolare, ad esame peritale dovevano essere necessariamente sottoposti i casi di reato contro la proprietà (allo scopo di constatare le modalità della consumazione e l’entità del danno, nonché il probabile numero dei rei § 243) e contro la persona.Per quanto riguarda questi ultimi (ferimenti, lesioni, uccisioni), il Codice specifica chiaramente, al paragrafo 242, la tipologia dei quesiti che i periti dovevano cercare di sciogliere:Specialmente nel caso, che sia stata ferita, lesa o morta una persona, è necessario passare sollecitamente all’ispezione sulla persona offesa, o sul cadavere dell’estinta; descrivere il numero delle ferite, e la lor qualità; determinare, se, e quanto sia pericolosa ciascuna ferita, o lesione, o quale sia mortale? indicare, in quant’è possibile, con qual istrumento siansi impresse le ferite, o lesioni, ovvero recata la morte? spiegar in oltre, se la morte sia stata una necessaria conseguenza del fatto, o se solamente sia provenuta da circostanze accidentali? ed annotar in fine i gradi della usata violenza, e della manifestata atrocità, in quanto ciò possa riconoscersi dalle tracce esistenti.Gli oggetti rinvenuti durante l’ispezione (“istromenti serviti al delitto, oggetti che lo rappresentano, effetti involati, o rapiti, ovvero proprj del reo lasciati nel luogo del delitto”, § 244) dovevano essere registrati in un elenco con la loro relativa descrizione, e, quando possibile, messi sotto custodia giudiziaria.Nel processo qui riportato, l’ispezione del cadavere – nonché una prima autopsia – vengono prontamente praticate in loco, ovvero direttamente sul luogo del rinvenimento del corpo, dai due medici periti incaricati. Questo primo esame, necessariamente superficiale e parziale, viene integrato, come di consueto, in un secondo momento. Il verbale di ispezione conclude infatti con i quesiti posti dagli ufficiali giudiziari ai medici periti sulle circostanze della morte del Rama (quesiti di fatto ricalcati sul paragrafo sopra riportato), ai quali essi si riservano di rispondere dopo aver praticato più accurate indagini. Alla seconda fase della perizia corrisponde quindi il rapporto medico-legale presentato alla pretura di Tregnago il 25 marzo 1831, nel quale i periti espongono il loro parere definitivo.(a cura di Francesca Brunet)

  
Pravità d’intenzione: Vedi: Paragrafo 1

  
Pretura:La Pretura austriaca.Funzioni e competenze nei primi quindici anni dalla sua creazione(1817 -1832)Parte StoricaIn Lombardia, la riforma Giuseppina del 1786 unificò sotto la denominazione di pretore tutti i magistrati di prima istanza non residenti nel capoluogo o a Mantova. Il diretto antecedente del pretore si ritrova però nel francese juge de paix, trapiantato in Italia con la ventata riformistica successiva alla Rivoluzione ed alla conseguente costituzione di regimi ispirati o soggetti al controllo d’ Oltralpe. Ripristinata dopo la parentesi napoleonica, infatti, l’istituzione Pretura di matrice austriaca risale al 1817, anno nel quale una Sovrana Risoluzione datata 2 marzo stabiliva la Cessazione delle provvisorie Giudicature di Pace e l’entrata in attività appunto delle nuove Preture. Fin da principio si determinò che tali Preture continuassero ad assolvere la funzione delle Giudicature con nuova annessa giurisdizione sulle gravi trasgressioni di polizia. Le preture stesse si distinguevano in «urbane» (attive nei distretti della città) e «foresi» (o «forensi», operanti nei distretti amministrativi del “territorio”); loro compito era di istruire, con l’eccezione delle preture urbane, la fase iniziale delle indagini per conto dei tribunali provinciali.
Organizzazione e funzioni (1817 – 1832)FUNZIONE PENALE NEI DELITTILa Pretura austriaca era l’organo istituzionale che fungeva da “cinghia di trasmissione” tra l’attività del commissario di polizia locale (Provvedimento n° 82 del 10 aprile 1819, Collezioni di Leggi, «Era fatto d’obbligo anche alle autorità giudiziarie, specie ai pretori, di informare i commissari di polizia degli indizi contro determinate persone che fossero scoperti durante le investigazioni al fine di consentire l’ulteriore sviluppo delle indagini») e quella del tribunale provinciale («le preture urbane avevano l’obbligo di passare immediatamente al tribunale criminale qualunque denuncia loro proveniente», Provvedimento 9 ottobre 1838, Collezione di leggi).Nel capitolo inerente “all’investigazione del delitto e del legale riconoscimento del fatto” il giureconsulto Castelli evidenzia come dal 1818 le preture avessero subito una ridefinizione dei compiti ad esse spettanti. Infatti, con la Circolare del Tribunale d’Appello Generale di Milano del 18 febbraio 1818, le Preture furono invitate ad interrompere tutte le indagini concernenti i delitti ed i responsabili degli stessi. Le medesime preture da quel momento dovevano limitarsi solo a compiere attività di carattere preliminare ed a rimetterne quindi i risultati ai tribunali (le preture foresi, allorché fosse commesso un delitto, pur senza fermare le investigazioni loro spettanti, dovevano comunque darne immediata informazione al tribunale: si veda il Provvedimento del 19 ottobre 1821, Collezione di Leggi), sospendendo l’eventuale traduzione dei carcerati, qualora ve ne fossero stati, fino a nuove disposizioni da parte dei tribunali stessi.Nel caso Rama le preture intervengono in modo significativo durante la perizia, nell’avvio del processo ed in seguito ai continui solleciti del giudice Marchesini.FUNZIONE PENALE NELLE GRAVI TRASGRESSIONI DI POLIZIA e FUNZIONE CIVILEI compiti probabilmente più rilevanti delle preture sono individuabili nella “gestione” delle cosiddette gravi trasgressioni di polizia (previste nella seconda parte del Codice) e nell’ambito della giurisdizione civile-commerciale. Proprio in quest’ultimo ambito la pretura svolgeva molteplici attività: dalla “certificazione” della firma dei notai (attribuita al pretore in persona), alla competenza in controversie commerciali aventi per oggetto beni non eccedenti il valore di 150 L., alla giurisdizione fiscale nei casi di minacciato o turbato possesso. Per quanto attiene alle gravi trasgressioni è importante citare la Circolare 13 febbraio 1819, che fissava come funzione principale delle preture quella relativa all’investigazione delle gravi trasgressioni di polizia, al di fuori però dei capoluoghi di provincia. Con il 1 maggio (ed in seguito 1 giugno) 1832 una nuova riforma ridisegnò attribuzioni ed organizzazione delle Preture medesime, rafforzando il ruolo delle Preture urbane.L’esempio di VicenzaPer disposto della sovrana patente del 7 aprile 1815 anche la provincia di Vicenza entrò a far parte del regno Lombardo – Veneto. Vicenza fu sede di delegazione e di congregazione provinciale. L’amministrazione della giustizia dapprima mantenne in vita gli organi giudiziari esistenti sul territorio, poi soppresse le giudicature cittadine ed attivò dal primo luglio 1816 il tribunale collegiale di prima istanza, con giurisdizione civile, cui unì presto quella criminale, costituendosi in imperiale regio tribunale civile e criminale di prima istanza. Ne dipendevano una pretura urbana, con giurisdizione sul distretto di Vicenza, e dodici preture foresi le cui giurisdizioni furono stabilite in corrispondenza con gli omonimi distretti amministrativi.Furono di I classe Bassano;di II classe Asiago, Lonigo, e Schio;di III classe Arzignano, Camisano, Cittadella, Marostica, Thiene e Valdagno;di IV classe Barbarano e Malo.Alcune di queste preture vennero soppresse negli anni successivi (Malo, Camisano e Marostica nel 1824).
(a cura di Andrea Savio)

  
Prima istanza: I tribunali di primo grado, denominati «tribunali di prima istanza civile, criminale e mercantile», avevano sede nei capoluoghi di provincia, ed erano composti da un presidente più un numero variabile di giudici (chiamati «consiglieri»), a seconda della grandezza del territorio su cui esercitavano la loro giurisdizione. Solo a Venezia e a Milano erano distinti in tre diversi uffici: prima istanza civile, in cui era contemplata anche la figura del vicepresidente di tribunale; prima istanza criminale, con presidente e consiglieri; tribunale mercantile, in cui il presidente era affiancato da tre giudici togati e due assessori «laici». Nella Lombardia il tribunale più piccolo aveva sede a Sondrio; mentre nel Veneto, Rovigo e Belluno contavano il minor numero di consiglieri.La trattazione delle cause era affidata ai singoli consiglieri, ma la discussione e le deliberazioni erano collegiali: il giudice che aveva condotto le indagini aveva il compito di stendere una relazione (referato) per i colleghi del collegio giudicante; in questa, riassunti ed evidenziati i risultati dell’inquisizione, proponeva o la sospensione del processo per mancanza di prove legali, o la qualità della pena da infliggere all’imputato. Seguivano poi le discussioni tra i giudici (le cosiddette sessioni criminali), in cui ognuno doveva motivare l’eventuale diversa valutazione delle prove, e degli indizi, sulla base dei paragrafi del codice; infine la deliberazione del consiglio, che poteva essere favorevole — all’unanimità o in maggioranza — oppure contraria al «voto» (cioè al parere) proposto dal relatore.La revisione del processo era prevista dal codice in maniera automatica per numerose categorie di delitti, fatto che rendeva l’attività del tribunale di prima istanza particolarmente sorvegliata.Va ricordato inoltre che nell’ordinamento giurisdizionale austriaco tanto gli uffici giudiziari per la seconda istanza, cioè i tribunali generali d’appello (con sede a Venezia e a Milano), quanto la terza istanza (con sede a Verona), dovevano giudicare sulla base della documentazione assunta dal tribunale provinciale, senza aggiungere nuovi atti al procedimento.(A cura di Christian Rossi)

  
Prova indiziaria:Vedi:paragrafo 412paragrafo 414Prova per concorso delle circostanzeRegola generale intorno alle proveSovrana patente del 6 luglio 1833

  
Prova legale:Il capitolo X del Codice penale del 1803 affrontava il tema Della forza legale delle prove (paragrafi 396-411). Si trattava di un capitolo importante poiché il libero convincimento del giudice poteva sostenere la colpevolezza dell’imputato solo in presenza della prova legale (un sistema che è stato definito di prove legali negative, per distinguerle dal sistema in uso nel medioevo e in antico regime).Il giudice, recitava il codice al paragrafo 396, doveva attenersi solamente a ciò che era legalmente provato e il successivo par. 397 affermava il principio che l’innocenza dell’imputato doveva ritenersi un dato acquisito “quando sono interamente snervati gli indizi che militano contro di lui”.Con il paragrafo 398 si introduceva la prima e più rilevante prova legale:”La confessione dell’imputato è una prova legale del delitto che gli sta a carico”. E nel successivo paragrafo 399 si indicavano i requisiti necessari per considerare valida una confessione. Interessante il punto e) in cui si diceva che comunque la confessione doveva accordarsi “colle informazioni già assunte sulle circostanze del delitto”. I paragrafi 400 e 401 soppesavano comunque il valore specifico della confessione:Paragrafo 400: ” Una confessione che seco porta tali qualità non perde punto della sua forza se anche non è più possibile d’investigare pienamente il fatto deposto in tutte le sue circostanze; basta che se ne verifichino alcune, col cui mezzo si confermi il commesso delitto e che nulla risulti donde si renda dubbia la verità della confessione. Se però è assolutamente impossibile di ottenere oltre la confessione alcuna ulterior traccia del delitto la sola confessione non ha mai forza di prova legale”. E il paragrafo 401 precisava ancora meglio i tratti legali della confessione: “Una confessione che contro il prescritto dalla legge siasi ottenuta dietro promesse, minacce, atti di violenza o qualunque altro mezzo illecito, non può considerarsi come una prova legale. Ma se poscia l’arrestato ripete questa stessa confessione in uno stato in cui il suo spirito fosse libero da una siffatta illecita influenza e posto in sicurezza di non averla più a temere, tal confessione ha forza di una prova legale, qualora contenga circostanze tali intorno al fatto che s’accordino colle notizie raccolte sulla qualità del delitto, ma che non potessero essere a lui note se non ne fosse egli stato effettivamente l’autore”.I successivi paragrafi affrontavano invece l’altra importante prova legale: la testimonianza. Il paragrafo 403 elencava i requisiti legali della testimonianza (chiara, diretta e non per sentito dire, giurata, sicura e in accordo con le altre informazioni emergenti nel processo). Il paragrafo 404 definiva più precisamente il valore legale della testimonianza: erano necessari due testimoni, ma la testimonianza della persona contro cui era stato commesso il delitto “è da ritenersi bastevole a provare la qualità del fatto, allorché la prova di esso non possa ottenersi in altro modo”. Inoltre la deposizione di un teste era sufficiente per rendere legale la prova della confessione dell’imputato. La validità legale dei pubblici documenti e delle perizie era attestata infine dai paragrafi 406 e 4907.Di estema importanza era infine il paragrafo 409, che definiva più strettamente il valore legale della testimonianza:”Al convincimento col mezzo di testimoni si esige che due giurati testimoni, ciascun dei quali al tempo del commesso delitto avesse compiuta l’età di diciotto anni, abbiano fatta la loro deposizione direttamente intorno al delitto commesso dall’imputato, concordemente, di propria e certa loro scienza e secondo le altre norme prescritte nel paragrafo 403; e nel caso di essersi ordinato il confronto, l’abbiano confermata in faccia all’imputato, senza che dalla giustificazione di questo o dal rimanente dell’inquisizione emerga alcun dubbio sulla loro credibilità”. Vedi Confronto.  I paragrafi successivi affrontavano infine la testimonianza dei correi.Si ricorda, inoltre, quanto affermato dal paragrafo 408:”Se l’imputato nega il delitto, può legalmente essere convinto o direttamente coi testimoni o pel concorso delle circostanze”.

  
Prova per concorso delle circostanze:Vedi:par. 412par. 414 Prova indiziariaSovrana patente del sei luglio 1833

  
R
Rapimento (ratto): Reato previsto dal codice penale ai paragrafi 80-81, nel cap. dedicato al delitto di pubblica violenza. Vedi la voce nel forum ‘Sulla fuitina di Celeste Dalla Bona’.

  
Referato di finale inquisizione: Conclusa la fase di inquisizione il giudice relatore stendeva un secondo referato nel quale, dopo aver preletto il precedente referato, riassumeva le indagini svolte. Infine proponeva un suo voto, tramite il quale esaminava i dati probatori emersi nel corso del processo ed esponeva il suo parere in merito alla decisione da assumersi nei confronti dell’imputato. A diversità del precedente referato, quello di finale inquisizione era maggiormente caratterizzato dal ragionamento giuridico. Nella copia inserita nel fascicolo processuale, a conclusione del referato venivano pure aggiunti brevi riassunti della discussione sorta nell’ambito del consesso.

  
Referato di preliminare investigazione:La relazione che il giudice relatore stendeva al termine della fase di investigazione. Dopo aver riassunta la vicenda processuale nelle sue fasi più importanti, il relatore proponeva il suo voto  ai colleghi consiglieri, sia in merito all’esistenza del delitto che all’eventuale imputabilità delle persone sospettate.Vedi:InvestigazioneGiudice relatoreConchiuso di desistenza

  
Regola generale intorno alle prove: Vedi paragrafo 414.

  
Requisitorie: Vedi : Lettere requisitorie.

  
S
Schema giurisdizionale e di polizia: Lo Schema è a cura di Alessandra Sambo

  
Silenzio: Vedi paragrafo 364

  
Simulazione: Vedi paragrafo 363.

  
Sovrana patente del 6 luglio 1833:La Sovrana patente del sei luglio 1833 venne emanata per sostituire il paragrafo 412 del Codice penale del 1803, concernente il cosiddetto concorso delle circostanze (prova indiziaria). La Sovrana patente in realtà ricalcava quello stesso paragrafo, anche se introduceva qualche rilevante novità e, soprattutto era assai più dettagliata. Anch’essa comunque non rinunciava la principio di fondo che già era contenuto nel paragrafo 412: Il libero convincimento del giudice doveva raffrontarsi con un paradigma indiziario predeterminato dallo stesso codice. Anche successivamente comunque, alcuni giudici, continuarono a misurarsi con il difficile paragrafo 412. Si riporta la parte generale della Sovrana patente e quanto di essa concerneva il reato di omicidio:”Nell’applicazione delle prescrizioni contenute nel paragrafo 412 della prima parte del Codice penale relativo alla prova nascente dal concorso delle circostanze (indizi) si sono incontrate delle difficoltà. Riguardo alle inquisizioni criminali che si apriranno dopo la pubblicazione della presente legge ci siamo perciò determinati di abolire il detto paragrafo e di stabilire in suo luogo quanto segue:par. 1: L’inquisito che nega il fatto può essere tenuto per legalmente convinto mediante il concorso degli indizi solamente quando si verificano congiuntamente le tre condizioni seguenti: I. Deve essere provato pienamente il fatto colle circostanze che lo costituiscono delitto; II. Devono concorrere contro l’incolpato nel numero infra stabilito gli indizi espressi nei paragrafi segiuenti; III. Dalla combinazione degli indizi, delle circostanze e delle relazioni rilevate mediante l’inquisizione deve risultare un sì stretto e chiaro rapporto fra la persona dell’incolpato ed il delitto, che secondo il corso naturale ed ordinario degli avvenimenti non si possa supporre che altri fuorchè l’incolpato lo abbia commesso”.Dopo questi tre principi di carattere generale e dall’accento fortemente legalistico, la patente elencava, dapprima, una serie di indizi che, senza distinguere le singole fattispecie di delitti, si potevano comunque riscontrare e assumere come validi. Si riporta tale disposizione contenuta nel paragrafo 2 della Sovrana patente:”Sono indizi comuni a tutti oppure a molti indizi: Primo: Se l’incolpato intorno al tempo dell’esecuzione del delitto possedeva quel medesimo strumento o mezzo col quale fu commesso, ovvero se egli ha fabbricato, provveduto o tentato di procurarsi degli strumenti o mezzi atti all’esecuzione del delitto, i quali sono superflui alla sua professione od occupazione e insoliti presso gente della sua condizione; ovvero se tali strumenti o mezzi vengono trovati presso di lui o nella sua abitazione o in altro luogo di deposito da lui scelto. Secondo: Se l’incolpato ha tentato di sedurre altri a commettere il delitto, ovvero se egli si è procurato consiglio e informazioni riguardo ai mezzi per eseguirlo. Terzo: Se egli con precedenti minacce o con dichiarazioni in iscritto o in voce ha determinatamente fatto conoscere l’intenzione di commettere il delitto. Quarto: Se l’incolpato nella figura, nelle armi, nel vestimento o per altri distintivi particolari corrisponde esattamente alla descrizione del delinquente fatta da colui a pregiudizio del quale fu commesso il delitto o da un testimonio. Quinto: Se l’incolpato ha fatto dei tentativi che si riferiscono al delitto, ovvero si è esercitato in azioni di tale natura. Sesto: Se l’incolpato era presente nel luogo del delitto in quel tempo in cui fu commesso, ovvero se in quel luogo si rinviene una cosa che egli possedeva intorno al tempo dell’esecuzione del delitto, senza che in questi due casi se ne scorga con verisimiglianza un’altra cagione; ovvero se egli breve tempo avanti o dopo il fatto si trovava o mascherato o in agguato o nascosto nel  luogo del delitto o vicino a quello; ovvero se egli in quel luogo e tempo era occupato in azioni le quali non possono facilmente spiegarsi altrimenti che col disegno di commettere il delitto o colla effettiva esecuzione del medesimo. Settimo: Se presso l’incolpato o nella sua abitazione o in altro luogo di deposito da lui scelto si rinvengono delle cose che il danneggiato possedeva al tempo in cui a suo pregiudizio fu commesso il delitto, ovvero oggetti del delitto medesimo. Ottavo: Se nella persona o nei vestimenti dell’incolpato o in altre cose a lui spettanti o presso di lui rinvenute si scoprano vestigi del delitto o della sua esecuzione o dell’usata violenza o incontrata resistenza. Nono: Se dopo che fu commesso il delitto l’imputato senza altro plausibile motivo ha preso la via di fuga o si è tenuto nascosto. Decimo: Se egli ha allontanato, soppresso o distrutto i vestigi del delitto, ovvero si adoperò  per allontanarli, sopprimerli o distruggerli o per prevenire in altro modo le investigazioni dell’autorità“.A questo decalogo di carattere generale, la patente aggiungeva poi (par. 3)i cosiddetti indizi speciali, concernenti cioè alcuni delitti (A. Alto tradimento, sollevazione ribellione. B. Infanticidio, esposizione d’infante e procurato aborto. C. Delitti che si commettono per avidità di guadagno.Il paragrafo 4 elencava poi come indizi alcuni elementi di natura processuale di notevole importanza:”Si riguardano inoltre come indizi: Primo: La confessione volontaria stragiudiziale in voce o in iscritto avente le qualità indicate alle lettere b. c. d. e. nel paragrafo 399 della prima parte del codice penale. Secondo: La deposizione di un testimonio accompagnata da tutte le qualità richieste dal paragrafo 403 della prima del Codice penale, se la medesima si riferisce immediatamente all’esecuzione del delitto per opera dell’imputato e se il testimonio al tempo del delitto aveva compito l’anno decimoquarto di età. Terzo: La deposizione egualmente qualificata non giurata di due testimoni, purché al tempo dell’esecuzione del delitto avessero compito il decimo anno di età, se il loro giuramento non fu prestato unicamente pel motivo che al tempo del loro esame non avevano ancora compito l’anno decimoquarto, ovvero si trovavano a cagione del delitto in inquisizione o in castigo. Quarto: La dichiarazione fatta presso a morte da un danneggiato che prima di morire non ha più potuto giudizialmente essere esaminato o prestare il giuramento, nella quale l’incolpato da lui distintamente riconosciuto viene indicato precisamente come autore del delitto. Quinto: La deposizione di un correo, la quale abbia tutte le qualità richieste dal paragrafo 410 della prima parte del codice penale. Sesto: La deposizione egualmente qualificata di più correi della quale non ha potuto aver luogo la conferma dopo l’intimazione della loro sentenza”.Il paragrafo 5 costituiva il clou della Sovrana patente: Per formare la prova legale mediante il concorso degli indizi si richiedono, quando si verifichino anche le altre condizioni stabilite nel paragrafo 1, tre degli indizi determinati nei precedenti paragrafi 2, 3, 4 e distinti in ogni paragrafo con numeri particolari. Se concorrono più indizi collocati sotto il medesimo numero, non si contano che per un solo. In generale una sola circostanza di fatto si conta sempre una sola volta, nè può, presa in diverse relazioni, formare più indizi”.I paragrafi sei sette erano poi importanti per la valutazione complessiva degli indizi:”Paragrafo 6. Tuttavia sotto le condizioni del paragrafo 5, bastano anche due degli indizi espressi nei paragrafi 2, 3, 4 a formare la prova legale, quando, indipendentemente dai detti indizi, avuto riguardo alla fama, alle circostanze, alla condotta o all’indole dell’incolpato, emerga chiaramente dall’inquisizione uno stimolo particolare per lui o la sua disposizione a commettere il delitto a lui imputato, ovvero un altro nascente da impulso di somigliante natura, come per esempio: a) Se egli per un precedente delitto nascente da impulso di somigliante natura o per una tale grave trasgressione di polizia è già stato precedentemente dall’autorità sottoposto ad inqusizione e dalla sentenza su di ciò emanata non fu dichiarato innocente, ovvero ne viene dichiarato colpevole nella presente inquisizione. b) Se egli ha praticato in sospetta famigliarità con una o più persone a lui note per delinquenti. c) Trattandosi di delitti che si commettono per avidità di guadagno se egli non è in grado di additare un mezzo onesto onde ritragga la sua sussistenza”.”Paragrafo 7: Sotto le condizioni del paragrafo 5 bastano due degli indizi espressi nei paragrafi 2, 3, 4 a formare la prova legale anche nel caso che sia legalmente provato il contrario di ciò che dall’incolpato fu addotto per isnervare gli indizi che stanno contro di lui e quindi la sua giustificazione sia manifestamente falsa”.Infine, con il paragrafo 8 si entrava nel cuore del problema:”Gli indizi espressi nei paragrafi 2, 3, 4 e le circostanze indicate nel paragrafo 6 devono essere provati legalmente e non essere snervati o perdere la loro importanza né in virtù della giustificazione dell’incolpato, né in virtù di indizi contrari o di altre circostanze che parlano per la sua innocenza e che dal giudice devono essere diligentemente valutarsi giusta la prescrizione del paragrafo 414 della prima parte del codice penale.”Alla Sovrana patente del 1833 sarà comunque dedicato uno spazio del blog.

  
Superior giudizio criminale: vedi Appello

  
Supremo tribunale di giustizia: vedi Appello

  
T
Tentativo: Vedi Paragrafo 7

  
Testimonianza:Vedi:Prova legaleConfessioneGiuramento e testimonianzaVedi pure relativa voce nel blog.