11 Ritorno a casa

Preliminare investigazione sopra titolo di pubblica violenza e di perturbata religione in confronto del politicamente arrestato Antonio Guidolin detto Boaro di San Martino di Lupari, degente nelle carceri pretoriali di Cittadella.

Verso alle 10 ore della sera 22 passato gennaro, una mano di 6 ad otto persone, uomini e donne, si portavano in frotta dal deputato politico di San Martino di Lupari, provocando a propria ed a salvezza dell’intero comune il braccio della giustizia in confronto di certo Antonio Guidolin detto Boaro.

Donde originasse l’allarme di quella gente e quali fossero le portate accuse a carico del Guidolin appariscono dagli atti d’investigazione che or prendesi ad istoriare.

Il Guidolin, campagnuolo di 22 anni, già condannato dalla pretura una volta per malitratti, due volte per furto ed altra, in pari titolo, dimesso per mancanza di legale indizio, compiva nel 22 gennaro passato la espiazione dell’ultima sua condanna e rimettevasi in libertà.

Verso alle 8 di quella medesima sera il Guidolin comparve sulla contrada in vicinanza alla casa ch’egli abitava insieme al fratello Giuseppe ed alla moglie di quest’ultimo Giovanna Meneghello.

Piantato sulla pubblica strada egli or cantava, or bestemmiava, or ad alta voce oltraggiava la propria cognata, che a quell’ora stavasi a filò nella vicina stalla di Luigi Sabbadin detto Onara ed anche Marconato, dicendo: “Nina (Giovanna), sborada dall’ostia, dal sagramento”, ecc.

Frattanto alla torre dell’orologio suonavano le ore 9.

Parve che al suono ella campana quel tristo viemmaggiormente s’indispettisse, perché ad ogni tocco vomitava una bestemmia: “Porco Dio, maledetto Dio, maledetta la Madonna, sborada l’ostia”, ed altre simili.

Più testimoni, passando per colà, e dalle vicine case, sentirono gli oltraggi e le sacrileghe bestemmie del Guidolin, ma più di tutti le sentivano dal vicino filò del Marconato quella gente che ivi stavasi raccolta, e la cognata Giovanna, che già si aspettava un qualche passo violento per parte di quel forsennato.

Anzi, certo Sebastiano Andretta l’avrebbe anche sentito minacciare di dar fuoco alla contrada, ed altri testimoni direbbero che il Guidolin intendesse per ciò che appariva con quelle bestemmie di spaventare i vicini e in uno di offendere Iddio ed i santi.

Non guarì dopo, il Guidolin, armatosi di una forca, s’introduceva nel filò stesso del Marconato, ch’era chiuso a semplice saliscendi.

Se non che il Marconato, non riuscendo colle buone ad allontanarlo, diede fine a quella spiacevole scena prendendo il Guidolin ai capelli e stramazzandolo a terra.

Ma il Guidolin, ripresa la forca, che stramazzando gli era uscita di mano, si rialzò e, presto come una lepre, se ne fuggiva, varcando d’un salto una larga fossa e lasciando sul luogo la sua nera berretta a maglia.

Non apparisce dagli atti ch’egli all’entrare in quella stalla passasse a vie di fatto od altrimenti a gravi minaccie. Lagnossi, bestemmiando, perché altra di quelle donne fissollo in viso, e ad altra che gli domandò con chi l’avesse, rispose che l’aveva con la sua vicina, additando la propria cognata.

Solo il Marconato lo intese a dire, quando lo persuadeva ad allontanarsi da quella stalla, che volea fare una strage di tutti loro. Ed Angela Santi lo avrebbe poco prima sentito a dire alla cognata ch’egli era stato in prigione per poco tempo, ma che se doveva andarvi un’altra volta vi sarebbe andato per maggior tempo, anche per 20 anni.

Per ultimo il nominato Andretta e Giovanni Facchinello il sentivano, quando si allontanava fuggendo da quella stalla, minacciare di dar fuoco alla contrada.

Del tutto estemporaneo apparve il violento procedere del Guidolin, tanto più che sebbene sembrasse alquanto preso dal vino, non era però interamente ubbriaco e si conghietturò ch’egli volesse in questa guisa sfogare la propria collera col vicinato e colla cognata, comechè riteneva che i vicini e specialmente la moglie di suo fratello aggravato lo avessero coi lor deposti nell’ultima inquisizione che formò il soggetto di sua condanna.

Sebbene il fatto, per la pronta interposizione del Marconato, si fosse circoscritto entro i limiti sovra esposti, tuttavolta la subita apparizione del Guidolin armato di una forca a quel filò fu causa di grave timore alle molte persone che vi si trovavano e più di tutti alla di lui cognata, in istato d’inoltrata gravidanza, la quale, a stento e coll’agiuto della sorella, potè trarsi alla propria casa, e la quale il giorno appresso si dovette anche far salassare, onde impedir, come ella dice, un aborto.

Alla fuga del Guidolin quella gente, siccome udimo superiormente, recavasi dal deputato politico, sopra rapporto del quale ordinavasi da quel commissario l’arresto dell’imputato, arresto ch’ebbe luogo due giorni dopo.

Ma prima ancora di sua cattura, avendo egli inteso dal fratello come la cognata, in dipendenza allo spavento di quella sera, erasi fatta salassare, gli rispondeva che se dessa si avea fatto cavar sangue dal braccio egli gliene avrebbe cavato dal collo, quando anche ne avesse dovuto andar in prigione per 20 anni.

E nel momento stesso in cui dalle guardie venia tratto prigione egli battè passando col piede alla camera in cui stavano il fratello e la cognata, dicendo loro che quando una volta fosse uscito dal carcere gli avrebbe fatti ballare. Le quali minaccie, in riguardo al violento di lui carattere, gli ponevano in qualche angustia.

Sentito informativamente, l’arrestato Guidolin dichiarava di ritenere che il proprio arresto causato fosse da ciò che nella sera 22 gennaro avea dato della porca e della vacca alla cognata, che stavasi a filò nella stalla del Marconato.

Egli così la oltraggiò perché di continuo maltratta la propria madre, di lei suocera.

Era in quella sera egli ubbriaco, non sa di esser proceduto a maggiori trapassi. Se ciò fosse domandava alla giustizia perdono.

Pessime sono le informazioni politiche nel conto dell’imputato che leggonsi in punto 30.

Voto

Le bestemmie profferite dal Guidolin in quella sera 22 passato gennaro, obbiettivamente considerate sarebbero, non ha dubbio, qualificate per delitto di perturbata religione, in senso del capitolo XIV Codice penale, parte prima, come che sagrilegamente oltraggianti i sublimi attributi della divinità ed i più solenni misteri dell’augusta nostra religione.

L’ingresso poi armata mano alla stalla dei Marconato per sé non qualificherebbesi al delitto di pubblica violenza contemplato dal paragrafo 72, non essendosi praticato violentemente, né susseguitato da qualsiasi fatto di effettiva violenza.

Ma se tale ingresso per sé non veste gli estremi dell’avvisato delitto, in senso del paragrafo 72, Codice penale, parte prima, lo si potrà tuttavolta considerare siccome un fatto di effettiva minaccia, in senso della sovrana risoluzione 26 agosto 1835.1

Diffatti questo ingresso armata mano del Guidolin a quella stalla era una continuazione del suo poco prima dimostrato mal animo, quando, fermo in sulla contrada, bestemmiando, oltraggiava oscenamente la cognata e, per detto di un testimonio, minacciava eziandio di voler dar fuoco al vicinato: era una minaccia di fatto, che venia quindi susseguitata dalle altre di averla con la cognata, ch’egli era stato in prigione per poco tempo, ma che se doveva andarvi un’altra volta vi sarebbe andato per maggior tempo, anche per 20 anni. L’altra, riportata dal Marconato, di voler fare una strage di tutti quanti.

E finalmente, dalle ultime di lui espressioni, quando fuggendo si toglieva da quel luogo, di volere dar fuoco al vicinato; cose tutte che in riguardo ad un soggetto tanto violento e pericoloso, quale ci vien dipinto il Guidolin, inspirar dovevano a quella gente un fondato timore, come anche in fatto inspirarono, specialmente alla cognata, contro di cui, in particolar modo, apparivano dirette quelle minaccie. E la quale a stento potè indi recarsi alla propria casa e la quale il giorno dopo si dovette anche fare salassare, onde ovviare alle conseguenze del concepito spavento.

Questi fatti, adunque, i quali obbiettivamente considerati, vestono entrambi gli estremi dei processati delitti di perturbata religione per bestemmie e di pubblica violenza per minaccie, dovranno giuridicamente addebitarsi al Guidolin, se riprovata per unanime attestazione di testimoni e l’accampata di lui piena ubbriacchezza e se non è nemmeno tracciata in atti una esterna qualsiasi provocazione od una causa prossima di collera o di risentimento.

Che anzi la prava intenzione dell’imputato vieppiù si appalesa quando noi lo sentiamo dopo quella sera rispondere al fratello, il quale per informarlo del salasso praticato alla moglie in causa del concepito spavento, rispondere malig[n]amente che se la si era fatta salassare dal braccio, egli le avrebbe cavato sangue dal collo.

E quando al momento stesso in cui dalle guardie venia tratto prigione, egli, battendo col piede all’uscio della loro stanza, diceva in aria di minaccia che quando fosse uscito dal carcere gli avrebbe fatti ballare.

Minaccie anche queste che maggiormente spiegando la di lui prava intenzione della precedente sera 22 gennaro, danno in pari tempo una più sentita impronta al delitto di pubblica violenza che gli viene imputata.

Proponesi dunque, che in doppio titolo di perturbata religione mediante bestemmie e di pubblica violenza per via di minaccie sia decretata la formale accusa di confronto all’imputato Antonio Guidolin detto Boaro, richiamandolo dalle carceri pretoriali di Cittadella, senza però fargli formale rimprovero degli oltraggi all’onore della cognata, sotto i riguardi di una grave politica trasgressione, per difetto di speciale istanza per parte dell’offesa.

Vicenza 16 aprile 1844

Marchesini

Conchiuso ad maiora col relatore di segnare l’accusa in titolo di perturbata religione. Conchiuso ad unanimia per l’accusa in titolo di pubblica violenza.

Atti di ultimatasi inquisizione sopra doppio titolo di perturbata religione mediante bestemmie e di pubblica violenza per via di minaccie al confronto di Antonio Guidolin detto Boaro del fu Giacomo e della viva Domenica, di San Martino di Lupari, d’anni 23, campagnuolo e nubile. Sentito la prima volta in costituto sommario il 24 aprile ultimo passato e nelle finali sue dichiarazioni il giorno 14 corrente mese. Atto agl’inasprimenti di legge.

Mediante lettura del precedente rapporto 16 passato aprile e del relativo protocollo di consiglio, richiamerò alla memoria de’consedenti la storia dei fatti, nonché i motivi per cui fu aperta in doppio titolo di perturbata religione e di pubblica violenza, la speciale inquisizione contro del Guidolin.

Pertinace nell’addottato piano di sua difesa, non negò egli, sì al costituto sommario come all’articolato, la sussistenza dei fatti che gli venivano addebitati, ma non se ne teneva responsabile in faccia alla legge, come che praticati in istato di piena ubbriachezza.

E qui narrava come, reduce da Cittadella, ove espiato aveva l’ultima sua condanna, fermavasi dietro strada ad una massaria detta dei Baggi fra Caldiera e Tombolo, in cui vendevasi anche vino al minuto.

Bevette egli quivi circa 12 bicchieri di vino in compagnia di non sa quali persone, framezzando queste sue generose libazioni con qualche pane del fornimento carcerario che rimasto gli era in saccoccia.

Se non che di tal sosta alla masseria dei Baggi egli non era in grado di offerire alcuna prova, essendo quella la prima volta in cui recavasi a quel luogo ed essendo quivi egli affatto sconosciuto.

Quindi verso a sera giugneva a San Martino. Associavasi a certo Costante Fonte e seco lui portavasi ad una osteria, ove bevette altri due o tre bicchieri di vino.

Fu allora che se gli manifestò la ubbriacchezza e distaccandosi dal suo compagno, che frattanto erasi con altri accompagnato per una partita alle carte, uscì dall’osteria a prender aria, comechè il lume gli offendeva la vista.

Si recò in capo alla sua contrada schiammazzando come un matto e poi, tolta a spalla una forca, se ne entrò nella vicina stalla dei Marconato, dove sapea trovarsi la moglie di suo fratello, onde insegnarle il modo di comportarsi colla di lui madre, comechè, stando a prigione, avea sentito a dire, non sa da chi, che quest’ultima era dalla cognata continuamente maltrattata.

Era suo pensiero darle un solenne rabuffo di questi maltrattamenti, ma propriamente non ha memoria cosa egli in quella stalla facesse o dicesse.

Questo solo ancor ricordava, che il padrone colle brutte nel discacciava, ond’egli poco appresso, con in mano la sua forca, restituivasi alla propria casa.

Avrà bestemmiato, avrà strappazzato, minacciato e fatto tutto quello che può fare e dire un ubbriaco, ma sperava che la giustizia avrebbe avuto riguardo alla morale di lui situazione e pregava si volesse sentire quel Fonte, il quale avealo veduto spolpato morto.

Assuntosi costui, che propriamente dicesi Costante Torresin, sopranomato Fonte, attestava di non essersi accorto in quella sera che il Guidolin, quando staccavasi dalla sua compagnia, fosse punto ubbriaco.

Ma né le oppostegli deposizioni del Fonte, né quelle tante dei testimoni presenti alle sue prepotenze di quella sera in il fatto istesso della non intieramente dissimulata sua reminiscenza di alcune circostanze dei delitti addebitatigli, né, per ultimo, il fatto parlante della precipitosa di lui fuga, quando lasciavasi addietro i suoi persecutori saltando, armato com’era di quella forca, una fossa larga ben 5 piedi, non valsero tutte queste opposizioni a farlo decampare un momento dalle ostinate sue asserzioni.

E non impugnando di aver profferito quelle sacrileghe bestemmie, non impugnando le profferite minaccie, non impugnando il fondato timore che queste incuter potevano ed incussero nella gente del filò Marconato, ma specialmente nella di lui cognata, stette fermo ad accagionar tutto questo allo stato di piena ubbriacchezza in cui versava, non a pravità d’intenzione, soggiungendo che se il Fonte non erasi accorto dello stato di sua piena ubbriacchezza, vuol dire che tale ubbriacchezza gli si sarà manifestata dopo la sua separazione da quel testimonio, che se gli altri la impugnavano vuol dire che non hanno ben conosciuto la di lui situazione e da ultimo che se seppe fuggendo sottrarsi a propri insecutori, vuol dire che il vino non gli avea dato alle gambe.

E quando gli si oppose il minacciato detto al fratello del giorno appresso, allorchè gli annunciava che la propria moglie, in causa del concepito spavento erasi fatta salassare, il detto cioè che se la si era fatta cavar sangue dal braccio egli ne avrebbe cavato dal collo, quando anche avesse dovuto andarne prigione per 20 anni, e l’altra minaccia ancora, quand’egli al momento in cui dalle guardie veniva tratto prigione, battendo col piede all’uscio della stanza in cui pernottavano il fratello e cognata, prorompeva nelle espressioni: “Ah, cani dall’ostia, una volta vegnarò fora e allora vi farò ballare mi”.

Minaccie, queste, che se più ancora giustificavano lo spavento dei minacciati, rivelavano in pari tempo come le violenze della precorsa sera 22 gennaro non fossero l’effetto di un’accidentale esaltazione, ma sì l’effetto d’un nemico proponimento.

Soggiungea l’inquisito di non aver detto al fratello che avrebbe cavato sangue dal collo alla di lui moglie, ma soltanto ch’ella si meritava gliene fosse cavato dal collo, e ciò in riguardo all’insopportabil carattere di quella donna; che in quanto poi alle minaccie profferite al momento del proprio arresto, queste furono in lui provocate dal momentaneo risentimento per vedersi tratto al carcere per effetto, siccome egli pensava, dei loro rapporti.

Niun confronto provocò l’inquisito, nessuno il relatore ne trovò necessario.

Con queste risultanze fu dunque ultimata la inquisizione.

Rispettoso dinanzi al consesso e tranquillo in carcere, diede a conoscer per altro un’indole fiera ed indomabile.

Voto

Gli stessi motivi che determinarono nella precedente sessione la formale accusa dell’imputato sotto il doppio titolo di perturbata religione per bestemmie e di pubblica violenza per minaccie, determinarono ora il relatore, sentitochè l’inquisito fu in corso d’inquisizione ancor più luminosamente smentito nell’unica sua giustificazione della pretesa piena ubbriacchezza, a proporre in virtù a prova testimoniale la di lui colpa, in relazione ad ambo i pronunciati delitti.

La estensione della pena è sanzionata per entrambi in genere fra sei mesi di carcere fino a 5 anni di carcere duro; e pari egualmente quanto alla durata sarebbe a subordinato avviso del relatore, la pena sanzionata per tutti e due sotto i rapporti concreti della ultimatasi procedura, non ravvisandosi, né quanto all’uno, né quanto all’altro, gli elementi più aggravanti e tassativamente espressi al paragrafo 108, Codice penale, parte prima2 ed al paragrafo 3 della sovrana risoluzione 19 giugno 18353, per elevarla oltre al primo termine di sei mesi ad un anno.

Se non che, comminato essendo al delitto di pubblica violenza il carcere anche duro, sarà a ritenersi, comecchè più grave, una tale sanzione per la misura della odierna condanna.

Nessuna circostanza mitigante milita in favore dell’accusato.

Ma parlano in suo aggravio: la concorrenza di due delitti di diverso genere; la di lui precedente condotta, macchiata per varie condanne, le pessime informazioni dell’autorità politica, il di lui carattere tanto fiero ed indomabile da non lasciare trascorrer nemmeno il giorno in cui fu ridonato a libertà, dopo l’espiazione dell’ultima sua condanna, per abbandonarsi a nuovi e più gravi delitti.

Per tutto questo opinerebbe il relatore di applicare il termine massimo della pena coll’inasprimento del pubblico lavoro.

E concretando propone: che dichiarato colpevole Antonio Guidolin detto Boaro di San Martino di Lupari dei delitti ad esso imputati di perturbata religione mediante bestemmie e di pubblica violenza per minaccie, sia condannato ad un anno di duro carcere, inasprito col pubblico lavoro, da espiarsi nella casa di forza in Padova; al pagamento delle spese processuali e di vitto, nonché alla tassa della sentenza sotto le riserve di legge. Condannato inoltre al risarcimento del danno verso la cognata Giovanna Meneghello Guidolin, liquidabile in altra sede di giudizio.

Subordinati gli atti come di metodo all’eccelso appello per le superiori sue deliberazioni.

Vicenza, 18 giugno 1844

Marchesini

Conchiuso ad unanimia col relatore per la dichiarazione di colpa e pena.

Conchiuso ad unanimia col voto del preopinante consigliere Fostini per l’inasprimento di dodici colpi di bastone all’ingresso nel luogo di pena ed altrettanti al finir della pena, avendovi acceduto anco il relatore che precesse in questa parte dal suo voto.

Propostosi il processo costrutto al confronto dell’arrestato Antonio Guidolin detto Boaro, imputato dei delitti di perturbata religione mediante bestemmie e di pubblica violenza per via di minaccie, costituito la prima volta il dì 24 aprile prossimo passato e l’ultima volta nel 14 giugno pur prossimo passato; letta la sentenza 18 giugno 1844, numero 543, dell’imperial regio tribunale di Vicenza;

l’imperial regio tribunale di appello, in piena conferma della predetta sentenza, ha giudicato e giudica essere colpevole il nominato Antonio Guidolin detto Boaro dei delitti ad esso imputati di perturbata religione mediante bestemmie e di pubblica violenza per minaccie, e come tale condannarsi, come si condanna, alla pena del duro carcere per un anno, coll’inasprimento di dodici colpi di bastone all’ingresso nel luogo di pena ed altrettanti al finire della pena stessa, da espiarsi nella casa di forza in Padova, al risarcimento del danno verso la cognata Giovanna Meneghello Guidolin, liquidabile in altra sede di giudizio, al pagamento delle spese processuali e di vitto e nella tassa della presente sentenza in fiorini dodici, sotto le riserve del paragrafo 537 del Codice penale, parte prima.

Di ciò, col ritorno degli atti, si rende inteso codesto imperial regio tribunale provinciale per la pubblicazione ed esecuzione.

Dall’imperial regio tribunale di appello.

Venezia 2 luglio 1844

All’imperial regio tribunale provinciale in Vicenza

1 La risoluzione sovrana del 1835 venne pubblicata in appendice al Codice penale universale austriaco edito a Milano nel 1849. Il paragrafo XXXVI, che si rifaceva a tale risoluzione, integrava quanto disposto dai paragrafi 70 e seguenti, dedicati al delitto di pubblica violenza. Eccone il testo: “Onde togliere i dubbi e le difficoltà insorte riguardo alla punibilità di quelle minacce che non fossero da risguardarsi e punirsi giusta le disposizioni della parte I del Codice penale, è stato determinato quanto segue.