8 L’alveare

Referato iniziale

Il contadino Marco Chiampan abita con sua famiglia un casolare in gran parte coperto a canna silvestre e coltiva due campi di terra che vi stanno all’intorno. Il casolare è posto in Monticello di Lonigo.

Nel giorno 4 del corrente luglio vedeansi da quei villici cader morte le api da uno dei quattro alveari che situati erano dietro la cantina, alti dal suolo pochi piedi.

Sorpresi da questo avvenimento, non ne sapeano indovinare la causa, ma quando nel giorno 9 corrispondente al venerdì successivo si affaticavano spegnere parte di quei covoni frumento, che raccolti sul proprio campo stavano alla sola distanza di quattro passi dal casolare, entro al quale dormivano due loro bambini, e spento il fuoco vedeano cader morte le api di altro alveare, forse pel tuffo di zolfo che all’intorno esalava, rinvenendosi sotto uno di tali alveari dei zolfanelli, non per anco del tutto abbrucciati, in allora, fuori d’ogni dubbiezza, ritennero quei villici che da mano nemica, coll’uso di solfanelli, si fossero uccise le api, e quindi si fosse dato al fuoco al primo mucchio di quei covoni, che rimase interamente incenerito, solo potendosi in parte salvare il vicino, mercè l’agiuto dei propinqui abitatori, ivi accorsi alle grida di Maria Chiampan, ava a quei bambini, che immersi nel sonno riposavano entro al casolare.

Nel giorno 11, poi, vale a dire due giorni appresso, si rinvenivano altri per metà combusti zolfanelli, ed anche un pezzetto di canna silvestre, pure in parte combusta. E tali effetti si rinvenivano sotto l’altro alveare.

Ora, siccome tali cose non eransi rinvenute nel giorno in cui ardevano li covoni, così insorse a quei villici il sospetto che quella fosse la terza volta che con solfanelli si attentasse l’incendio del loro casolare, ma tale sospetto scompare allorchè riflettesi come in quello stesso giorno in cui ardevano i manipoli del frumento, le api anche di quell’alveare morte cadeano, e se la materia incendiaria non la si rinvenne che due giorni appresso, egli è a credersi piuttosto che non si facessero quelle più minute ricerche che si erano fatte dappoi.

La giudiziale ispezione comprova gli incendiati manipoli di frumento, trovò le traccie di leggier combustione in quei due alveari, dai quali a balocco cadean morte le api, giudicò che la vicinanza dei combusti manipoli potea mettere in pericolo d’incendio quel casolare, non più distante da essi di quattro passi, sempre che in quella direzione fosse spirata l’aria, ma la positiva origine di quell’incendio non si potè stabilire.

La morte di quelle api destò nei danneggiati il sospetto che autore stato ne fosse il loro convillico Antonio Bucellato, di compiti anni 18, stantechè, avendo egli desiderato ed ottenuto poi anche da essi nell’anno passato contro pagamento uno alveare, ed essendogli in seguito andate morte tutte le api, egli altro da essi senza pagamento ne pretendeva, e perché essi glielo negarono, colui protestato aveva che ne avrebbe dal rifiuto pigliata vendetta col far loro perire tutte le loro api.

Su base a questo sospetto, il commissario distrettuale ordinava l’arresto del Buccellato, il quale, tratto avanti il pretore, schiettamente confessava com’egli, spinto da smania di vendetta pel rifiutatogli alveare, nel giorno 4, munitosi di zolfanelli e di una bragia, quelli accendeva sotto il primo alveare, quindi disperdendo la bragia ratto se ne fuggiva, confessando ancora come, non sazio di quella vendetta, con altri zolfanelli ed altro tizone, avente viva bragia alle estremità, si recasse egli nel giorno 9 alla casa di que’villici ed accesi li solfanelli e postelli per entro ad una canella, questa conficcasse nel dissotto di altro alveare, quindi spensieratamente gittasse fugendo il tizone in prossimità alli ammucchiati covoni di frumento. E saziata così la sete di vendetta si rincasasse.

Il Bertoncello1 rinovò tal confessione dicendo che ne era estremamente pentito di sue male azioni e che mai ebbe in pensiero di portar incendio, ma bensì soltanto di far perire le api.

La condotta di questo arrestato va esente d’ogni precedente taccia e protesta non esser vero che egli per la terza volta si accingesse alla meditata distruzione di quelle api. E visti li semicombusti zolfanelli ed il pezzetto di canna, riconobbe egli tali effetti per gli identici di cui si servì per spegnere le invidiate api.

Voto

Commette il delitto di appiccato incendio colui che intraprende un’azione per cui secondo il suo disegno abbia ad eccitarsi uno incendio. Tale la disposizione di legge, paragrafo 147.2

Il relatore non trova né traccia, né argomento speciale per cui conchiudere che il Bertoncello3 mirasse all’avvenuto incendio.

La sua inavertenza che ne fu causa formerà il soggetto di grave politica trasgressione, compresa nella dispositiva del paragrafo 2094.

Bensì trova luogo nei delitti di pubblica violenza al paragrafo 74, Codice penale, parte prima, la procurata morte di quelle api, stantechè fu maliziosa e calcolata.

E sotto questo punto di vista il relatore propone che in titolo di pubblica violenza si abbia a segnare accusa di confronto all’arrestato Antonio Bucellato, addebitandolo poi anche della grave politica trasgressione portata rispetto all’avvenuto incendio dal paragrafo 209, Codice penale, parte seconda, con conferma del di lui arresto.

Vicenza, li 27 luglio 1841

Marchesini

Conchiuso ad unanimia

Referato finale

Col giorno 27 dell’ora scaduto luglio si segnava l’accusa di confronto ad Antonio Bucellato, villico, domiciliato in Monticello di Lonigo, e l’accusa era intitolo di pubblica violenza, con in aggiunta grave politica trasgressione contemplata dal paragrafo 209, Codice penale, parte seconda.

Il fatto che diede origine a questa inquisizione lo ricorderà il collegio per la lettura del referato 27 luglio, il punto 29.

L’inquisito nel costituto sommario rinnovò col pianto e col singhiozzo la sua confessione e diede manifesti segni del più verace pentimento.

Chiuso il processo nel giorno 2 dell’agosto, si osserva che l’inquisito condusse sempre vita regolare, che il suo carattere fu sempre buono, che rispettoso fu innanzi al consesso e tranquillo in carcere; che va esente da ogni precedente censura, che la sua età è quella di sorpassati anni diciotto, che diede manifesti segni di un’indole buona, che il suo fisico lo si giudica suscettibile agli inasprimenti di pena.

Voto

Il fatto che costituisce il titolo di pubblica violenza è contemplato dal paragrafo 74, Codice penale, parte prima, e la confessione dell’inquisito, conservando pienamente tutti gli elementi voluti dal paragrafo numero 399, provata la prova legale di sua colpa. Ed è per questo che sopra tal titolo lo si deve in oggi giudicare colpevole per via di confessione.

Allo stesso inquisito si addebitò anche la grave politica trasgressione in dipendenza ai combusti covoni, stantechè avvi tutta la presunzione che quelli si abbrucciassero per la inavvertenza di lui nel gettare alla spensierata quel tizzone avente all’estremità ardente bragia.

Ma siccome la presunzione, comunque vivissima in questo caso, pure essa non basta a comprovare che quell’incendio fosse realmente avvenuto in causa alla colpevole spensieratezza, così per questo fatto inclina il relatore a proporre, come propone, la sospensione del processo.

Ad maiora dirempta paria col relatore.

Dovendosi poi ora fissare la misura della pena pel delitto di pubblica violenza, il relatore osserva:

1) che il danno derivato è assai tenue ed avvi espressa rinuncia al reintegro de’danni per parte di chi gli ebbe a sopportare;

2) che l’inquisito è al di sotto degli anni venti e lo si può anche dire rozzo ed ineducato non solo, ma ancora forse non ben capace a comprendere in sua mente le conseguenze dell’azione commessa;

3) che la precedente condotta dell’inquisito va esente da ogni censura e che la sua confessione ci è garante del suo verace pentimento.

A tutti questi mitiganti circostanze avvi è vero l’aggravante di aver replicato il delitto quando per la seconda volta si accingeva a spegnere le api e quella altresì della odierna sospensione di processo per grave trasgressione politica, ma a subordinato avviso del relatore queste aggravanti circostanze non ponno impedire che di fronte alle tanti mitiganti si possa applicare la benefica disposizione del paragrafo 48, pronunciando la condanna a mesi quattro di carcere, espiabile in questi recinti carcerari, condannandolo altresì nelle spese di processo e di vitto e nella tassa di fiorini 12 per la sentenza, ommesso di pronunciare sul danno, stante rinuncia per parte del danneggiato. Rassegnando gli atti all’eccelso appello.

Vicenza, 10 agosto 1841

Marchesini

Ad unanimia.

Propostosi il processo costrutto in confronto dell’arrestato Antonio Buccellato di Angelo, imputato di pubblica violenza, costituito la prima volta nel giorno 28 luglio prossimo passato nella inquisizione ultimata il dì 2 agosto corrente, letta la sentenza 10 agosto 1841, numero 2959, dell’imperial regio tribunale provinciale di Vicenza;

l’imperial regio tribunale di appello generale e superiore giudizio criminale di Venezia, in conferma di detta sentenza ha giudicato e giudica: esser colpevole il nominato Antonio Buccellato dell’imputatogli delitto di pubblica violenza e come tale condannarsi alla pena di mesi quattro di carcere da espiarsi nelle carceri criminali di Vicenza; condannato inoltre nelle spese tutte del processo e di vitto e nella tassa di fiorini dodici per la sentenza, sotto le riserve del paragrafo 537 del Codice penale, parte prima, ommesso di pronunciare sul danno, stante rinuncia per parte del danneggiato.

Di ciò col ritorno degli atti si rende inteso codesto imperial regio tribunale per la intimazione.

Dall’imperial regio tribunale d’appello generale

Venezia, 24 agosto 1841

All’imperial regio tribunale provinciale di Vicenza

Angelo e Maria Bucellato ricorrono per la maggior possibile moderazione di pena in favore del condannato loro figlio Antonio.

Questo ricorso, basato sulla giovanile età del condannato, sulla sua naturale rozzeza, sulla sua inesperienza ed imbecillità, lo si legge al consiglio, quindi in evasione proponesi la seguente

Consulta

L’eccelso appello colla sua sentenza 24 agosto, numero 11310, pienamente confirmante quella 10 agosto di questa devota prima istanza condannava a mesi quattro di carcere il contadino Antonio Bucellato, in titolo di pubblica violenza.

Ora, li di lui genitori col loro ricorso primo corrente settembre implorano moderazione di pena e la implorano in base alla buona, anzi specchiata antecedente condotta del figlio, in base alla sua inesperienza, alla schietta di lui confessione, al manifestato pentimento ed anche in base alla sua imbecillità.

Tutte queste circostanze furono dalla prima sentenza contemplate in favore del condannato, meno la asserita di lui imbecillità, perciocchè di questa non ne parla il processo, né li supplicanti genitori la sanno in verun modo comprovare.

Se quindi niun argomento nuovo favorabile al condannato si comprova o si fa presumere, e se d’altronde tutti li accennati nel ricorso si sono già posti a calcolo, altro non rimane ora allo scrivente tribunale senonchè la rassegna degli atti col ricorso predetto e col sempre divoto e subordinato parere che debba star ferma la di già pronunciata sentenza.

Vicenza, il dì 3 settembre 1841

Marchesini

Conchiuso ad maiora contra votum di restituire il ricorso come irregolare, essendo prodotto contro due conformi sentenze.

Sul ricorso dei iugali Angelo e Maria Beccellato, perché sia dichiarata finita od almeno mitigata la pena inflitta al loro figlio Antonio Beccellato, mediante la sentenza appellatoria 24 agosto prossimo passato, numero 11310, con cui detto Antonio Beccellato, qual colpevole del delitto di pubblica violenza mediante danni maliziosamente recati all’altrui proprietà è stato condannato a quattro mesi di carcere;

l’imperial regio tribunale d’appello generale e superiore giudizio criminale dichiara non farsi luogo all’implorata grazia per finimento o mitigazione della pena, come sopra inflitta ad Antonio Beccellato, rigettato perciò il ricorso.

Del che si rende inteso codesto tribunale provinciale per la corrispondente intimazione ai ricorrenti.

Dall’imperial regio tribunale d’appello generale

Venezia, 28 settembre 1841

All’imperial regio tribunale provinciale di Vicenza

In appendice alla odierna deliberazione sul ricorso dei iugali Angelo e Maria Beccellato, si fa sentire a codesto tribunale provinciale la superiore disapprovazione per essersi permesso di deliberare ex se sul primo ricorso prodotto il primo settembre andante al numero 3537, tendente ad ottenere pel loro figlio Antonio la condonazione od almeno mitigazione di pena, anziché inoltrarlo, come era del suo dovere, al tribunale d’appello, a cui era diretto e competeva di conglerne.

Dall’imperial regio tribunale d’appello generale

Venezia, 28 settembre 1841

All’imperial regio tribunale provinciale di Vicenza

1 Il relatore intendeva il Bucellato.

2 I paragrafi 147-150 comprendevano il delitto di appiccato incendio. Il paragrafo 147 recitava: “Chi intraprende un’azione per cui secondo il suo disegno abbia ad eccitarsi un incendio nell’altrui proprietà, commette il delitto di appiccato incendio, quand’anche il fuoco non sia scoppiato o non abbia cagionato alcun danno”, cfr. Codice penale, pp.49-50.

3 Leggasi Bucellato.

4 Il paragrafo citato, fa parte del capitolo XI, dedicato alle gravi trasgressioni di polizia contro la sicurezza della proprietà ed è compreso nella parte seconda del Codice penale. Tale paragrafo affrontava “tutte le altre azioni od omissioni per le quali si può facilmente prevedere un pericolo d’incendio, come il batter lino o canapa a lume scoperto, lo sparare in vicinanza di case e di fienili, o farvi fuochi d’artificio e simili”. Cfr. Codice penale, parte seconda, p. 64.