2.27 La confessione

Serenissimo Principe

Fu alli 3 del mese passato di fevraro, in un zorno di zobia a un’hora di notte in circa, ritrovato uno, finhora incognito, al pontesello di Lizzafusina, con diverse ferrite sopra la testa et nella vita, per la qual morse doi o vero tre giorni doppoi in Venetia.

Et non si sappendo chi fusse stato il delinquente, fu per li officiali del clarissimo provveditore delle Gambarare ritenuto un Lorenzo Riato, putto di 12 anni incirca, il quale, sì come in processo appare, si haveva fino a Strà accpmpagnato con questo ferrito.

Et condutto esso Lorenzo nelle forze del detto clarissimo proveditore, fu contra di lui formato processo et quantunque constituito due volte, da essi constituti apparesse chiaramente la sua innocenza, fu ancho nondimeno menato alla corda, con tutto che contra ogni legge et ogni raggione sia il torturare un minore.

Nè si spaventando lui punto per esser innocente, stava costantissimo, confirmando quello che era non solo verisimile, ma indubitato anchora.

Onde fu spogliato, ligato alla corda, ellevato et datoli crudelissimamente un squasso, senza haversi compassione all’età et rispetto alla legge et alla raggione.

Per il che, dal dolore impaurito, esso povero putto, facendosi callar giù, confessò esser stato lui che gli havesse dato, adducendo quelle cause che nel processo appareno.

Onde fu per allhora quell’infelice ritornato in preggione.

Ma non contento esso clarissimo proveditore di quella confessione, due altre, over tre volte, lo constituì. Et vedendolo star sul suo proposito, tentò di novo ritornarlo alla corda, dove facendoli interrogationi a suo modo, lui spaventato dal tormento disse come nel processo appare: ‘se volete che io dica haverlo assassinato, lo dirò’.

Et essendoli fatte interrogatione suggestive, confessò quanto li era addimandato, ma cose così inverosimili et lontane d’ogni verità, che ogni uno di mediocre giudicio, dalla lettura di esso processo et dalle interrogationi fatteli, comprehenderà quella non esser confessione, ma seddutione.

Ma procedendo più oltra, esso clarissimo proveditore lo fece rathificare, con animo poi di farlo morire, como chiaramente disse a chi andò a dimandarli le sue diffese.

Et dappò la rathificatione li fu intimado che in termine di 4 giorni dovesse deddure o far dedure quanto intendeva a sua diffesa, altramente etc.

Onde esso povero et infelice putto scrisse una polizza a Padoa, ad un suo patrone, narrandoli che la confusione et il tormento in che era stato posto l’havea fatto così dir, ma non la verità.

Il qual, benissimo conoscendolo, parendoli impossibile che havesse commesso simil delitto, mosso a compassione si deliberò volerlo diffendere.

Onde, mandando un commesso alle Gambarare, acciò fusse cavato copia degli inditii per poterlo diffender, li fu da esso clarissimo proveditore risposto che non solo non voleva darli copia alcuna, ma che era superfluo il diffenderlo, perciò che se fussero ben venuti quanti dottori sono in Padova et in Venetia, sapeva quanto doveva fare, dando ad intender chiaramente, senza sentir diffese, la sua oppinione.

Il che vedendo esso commesso, ricorse all’agiuto del clarissimo Avogador, il qual giustamente et cortesemente prorogò quel termine con una lettera, commettendo che li fusse dato copia del processo.

Alla qual, essendo sforzato obedire, ordinò che li fussero cavati li inditii, ma non volse però che esso commesso parlasse (con tutto che gli havesse intimato che deducesse quello voleva) con il povero putto di Lorenzo.

Ultimamente, essendoli dato la copia, li è stata data con sì mal ordine che a pena si può conoscere quai siano gli inditii che fanno contra di lui. Anzi essendo il solito, nel fine degli inditii, darsi li nomi delli testimoni confusi, non vi sono stati messi altramente.

Et ciò in vero era pur necessario, perciò che, pretendendo gli officiali che lo presentorono haver quei beneffici che si danno ad un assassino, anci addimandando (come nella sua denontia appare) confiscation dei beni di esso Lorenzo, è pur giusta cosa vedere, se essendo accusatori, sono ancho come testimoni admessi.

Però, humilmente et reverentemente. si supplica per parte del detto misero et infelice putto Lorenzo Riato che, considerate le predette cose da Vostra Serenità, et havuta quella informatione dal clarissimo podestà di Padova che li parerà necessario, della pocha età, della confessione violenta et suggesta di Lorenzo, dell’haver detto il clarissimo proveditor la sua opinione, dell’haver negato il darli le copie, onde potesse diffendersi, dil non haverli voluto lassarli parlare, con tutto che l’havesse per espedito; et finalmente dell’haverli dato sforzatamente, con sì mal ordine la copia degli inditii senza nome dei testimoni, si supplica, humilmente dico, Vostra Sublimità che voglia esser contenta di delegar per giustitia questo caso da esser giudicato dal clarissimo podestà di Padova et dalla sua eccelentissima corte, dove ognuno sa con laude et gloria di questo Serenissimo Dominio che, nell’assolvere gli innocenti et nel punir i malfattori, mai non si è mancato, al presente non si manca, nè mai si mancarà di giustitia.

Non essendo honesto, nè conveniente, che dove si tratti, non dirò della vita di un huomo, nel qual si potria presumer forsi qualche malitia, ma d’un povero putto innocente, cosa così preciosa et inestimabile, il clarissimo proveditore debba giudicar.

Il qual, non solo nel formar processo et nel dar le diffese e, forse per colpa d’altri, trascorso in qualche errore, ma ancho ha già detto la sua opinione quello che s’è rissoluto di fare, quando ben si facessero ogni sorte di diffese.

1569 7 mazo

Che alla oltrascritta supplicatione respondi il potestà di Padoa, veduto il processo et tolte le debite informationi delle cose in essa supplicatione narrate et considerato et servato quanto si deve ci dica il parer suo con giuramento et sottoscrittione di mano propria, secondo la forma delle leggi.

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Consiglieri: d. Francesco Donado, d. Lorenzo da Mula, d. Marin di Cavalli, d. Piero Sanudo, d. Vicenzo Moresini.

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