2.98 L’onore del notaio

Serenissimo Prencipe

La mala fortuna di me infelice Camillo Muris, già massaro del Monte di pietà della città di Vicenza, ha voluto che havendo io una moglie impudica, né potendo più tolerare la sua dishonestà, fosse sforzzato per salvezza dell’honor mio a liberarmi con la sua morte da questa infamia.

In che, se bene io facessi mosso da giustissimo dolore, nondimeno messer Dardano Cozza, fratello di essa, et altri mi hanno in maniera perseguitato che havendomi bisognato fuggire di Vicenza, fui in mia absentia bandito con un aspro et severissimo bando.

Et perché, doppo il mio partire, si ritrovorono mancare ducati 1475 delli danari del Monte predetto, sebene il mancamento non fu per colpa mia, ma forse per opera di quelli che insieme con la vita della moglie potevano per suo mezzo havere, et le chiavi et ogni altra cosa mia in libertà loro, overo anco per opera d’altri, essendomi convenuto partendo lasciar ogni cosa in abbandono, nondimeno dalli signori conservatori et thesoriero del Monte furono astretti li miei piezi, li quali anco hanno pagato delli miei beni tutta la summa delli predetti ducati 1475.

Con tutto ciò, non contenti li miei persecutori di tanti miei mali, hanno fatto sì che alli 7 del mese passato io fosse proclamato dal clarissimo signor podestà di Vicenza a presentarmi nelle sue forze per diffendermi dalla imputatione di haver tolto li danari predetti, dei quali ne era già stato il Monte predetto reintegrato.

Sopra la qual imputatione, volendo io al tutto far conoscere alla giustitia et al mondo tutto la mia innocentia, il che son sicuro di poter fare facilmente, quando sia giudicato in luoco dove io possa andarvi sicuramente et dove sinceramente habbi da esser giudicata la causa mia.

Parmi d’havere giusta causa di temere nella città di Vicenza, non solo perché per le insidie che mi tenderano di continuo li miei nemici la mia vita non sarà sicura, come anco perché, essendo il sudetto messer Dardano Cozza mio persecutore, nodaro all’officio del Maleficio, et essendo li signori conservatori et thesoriero del Monte miei adversari, del numero de consuli et persone di grande auttorità nella città di Vicenza, et io all’incontro persona di povera fortuna et di basso stato, la causa mia in quella città si trattaria con mio grandissimo disavantaggio et forse saria non sinceramente giudicata.

Pertanto humilmente supplico la Serenità Vostra che si degni (havute le debite informationi) delegar questo caso nella città di Padoa o in qual altra città di Terraferma le parerà, anco all’officio clarissimo dell’Avogaria, quando così li piacesse, acciò io possa in luoco sicuro et dinanzi a giudice non sospetto far conoscere la mia inocentia et liberar l’honor mio dall’infamia di questa mia imputazione ingiustamente attribuitami. Gratie.

1593 14 zugno

Che alla sopradetta supplicatione rispondano li rettori di Vicenza…

(filza 346)