2.93 Un’antica consuetudine

Serenissimo Prencipe

Gli astanti giudici della fedelissima sua città di Udine, insieme col Capitano dell’illustrissimo signor Luogotenente, terminano le liti civili et condannano secondo li statuti et antiche sue consuetudini (nei casi che non s’ingerisce pena di sangue e mutilation de membri) i rei habitanti nella città e suo distretto et nelle sette ville soggette alla giuridditione di essa città.

Fu querelata alcuni mesi sono all’officio di essi astanti Catarina del quondam Hieremia della villa di Paderno, come una delle sette ville sodette et formato processo fu da essi bandita per anno uno da Udine e sua giuriddiittione.

Da questa sentenza ella appellò all’illustrissimo signor luogotenente, al quale l’appellationi delle sentenze degli astanti si devolvono. E sua signoria illustrissima a 9 di genaro prossimamente passato dechiarò che malamente fosse stata bandita, specialmente per mancamento di auttorità e giuridittione di bandire, e come in detta sentenza in processo di carte 27, la qual fu prononciata in arengo, sonata la campana e premesso lo suono di tromba sotto il palazzo, alla presenza di numeroso popolo.

Si aggrava Udine città sua divotissima da detta sententia del clarissimo signor Luogotenente in quelle parole PER MANCAMENTO DI AUTTORITA’ E GIURIDDITTIONE DI BANDIRE, perchè da quelle l’è levata quella poca e piciola preminenza di giuridditione benchè cara non meno della pupilla degli occhi suoi, che havea senza alcun suo demerito.

Due sono le ragioni che fanno degno Udine di esser essaudito dalla Serenità Vostra e perciò ritornato nell’antico suo possesso e consuetudine di bandire.

La prima perchè la ragione non vuole, nè l’equità comporta che per dette parole la città resti spogliata delle antiche sue consuetudini e possesso di bandire senza che siano state udite le ragioni sue. E pur sente il clarissimo presente signor luogotenente che dove si tratta di giuriddittione debba esser udito il giusdicente, quando che trattandosi in appellatione innanzi sua signoria clarissima d’alcuni capitoli prodotti per sua difesa da una donna bandita per li signori conti di Fanna e Polcenico, ha voluto che sieno loro intimati, come appar in processo E, karte 8, 24 di ottobre e 3 di novembre 1592, volendo che dove si tratti d’interesse di giuriddittione li giusdicenti possino usare delle ragioni loro. Et se ha reputato giusto l’udir quei signori conti, perchè non era parimente giusto udir anco la città di Udine prima che pronuntiasse la sententia sua in arengo, con parole tanto preiudiciali alla dignità di quella città?, la quale tanto stima le preminenze sue quanto che tutte risultano a gloria maggiore di Vostra Sublimità.

L’altra ragione è questa importantissima che il clarissimo signor luogotenente (parlando sempre con quella debita riverentia che si conviene) non poteva porre quelle parole MANCAMENTO DI AUTTORITA’ E GIURIDDITTIONE DI BANDIRE, perchè con esse ha di già terminato che la città non habbia giuriddittione di bandire, il qual giuditio a lui non aspetta, essendo che la materia delle giuriddittioni, per le parti dell’eccelentissimo Senato 1586 et 1587 è devoluta alli illustrissimi signori sopra li feudi, creati a questo fine solo da Vostra Sublimità, acciochè vedute le ragioni di ciascuno habbino loro a terminare chi habbi o non habbi giuriddittione et havendola di che qualità sia.

A queste parti dell’eccelentissimo Senato è tenuto il clarissimo signor luogotenente obedire e tutto ciò che contra esse parti ha fatto o fa è immediate contra la volontà di Vostra Serenità e per consequenza è nullo. E tanto più è nullo quanto che lei commette con sue alli clarissimi precessori di 29 agosto 1587, in processo A, karte 38 tergo, non volendo che loro conoschino la materia delle giuriddittioni, che debbano restituir le scritture a quelli giusdicenti che le hanno di già avanti di loro presentate, acciochè possino portarle e presentarle all’officio de detti illustrissimi signori sopra li feudi, sì come fece la città sua devotissima a 12 novembre 1587, in processo a carta 34, volendo che fintanto si osservino le antiche consuetudini loro.

Mentre innanzi quelli signori illustrissimi pendono le ragioni nostre inespedite non poteva il clarissimo signor luogotenente terminare questo negotio come ha fatto con le parole sudette.

La parità deve esser in tutti equalmente servata e però non è conveniente che la giuriddittione della città sola e non d’alcun altro luogo sia dal clarissimo luogotenente terminata, massime essendoli stata levata l’auttorità d’ingerirsi in tal cognitione de giuriddittioni e data alli signori sopra li feudi, come si è detto.

Essendo donque in fatto vere, come sono tutte le cose sudette, Udine città sua devotissima supplica con ogni humiltà Vostra Celsitudine che si degni per gratia e per giustitia sospender quelle parole per MANCAMENTO DI GIURIDDITTIONE ET AUTTORITA’ DI BANDIRE, sin tanto che il negotio delle giuriddittioni sia deciso e terminato da detti illustrissimi signori sopra li feudi, in modo che quelle parole non habbino a preiudicare alle giuriddittioni et antiche consuetudini sue.

Perchè, quando non fossero suspese, come si spera dalla clemenza sua, che per giustitia la farà, non essendo la sospensione giudicio decisivo del merito, nocerebbono mortalmente nelle cognitioni che haveranno a fare con la visione delle scritture quelli illustrissimi signori, vedendo che sua signoria clarissima con le sudette parole l’havesse già decisa.

Nè in questa materia farebbe bisogno passar più oltre, ma acciochè non cadesse in pensiero a Vostra Serenità che li signori capitani et astanti, i quali per tempo sono stati e sono hoggidì, non sieno in possesso et antico uso di bandire dal tempo che quella sua svisceratissima città per sua segnalata ventura venne alla divotione di questa eccelsa Repubblica, sino a questo tempo, si le presentano queste sententie bannitorie, oltre infinite altre che sono nelli libri della cancellaria della città, fatte per essi capitani et astanti: 1435 23 dicembre, processo B, carte 6; 1436 penultimo dicembre B7; 1445 14 gennaro B9; 1448 25 giugno e dieci agosto B8; 1519 3 agosto A12; 1521 5 marzo B21; 1522 ultimo gennaro A13; 1524 14 settembre B19; 1538 9 marzo A14; 24 aprile A15; 22 agosto A16; 30 Agosto A17; 1542 28 gennaro A28 e 28 tergo; 1566 14 dicembre A5; 1567 ultimo gennaro A6; 1568 12 novembre A7; 1569 25 maggio A9 e 10; 23 luglio A11; 12 novembre A8; 1577 10 gennaro B22; 19 detto B22 tergo; 23 marzo B25; 7 settembre B23.

Queste antiche consuetudini di bandire, per maggior loro corrobatione sono state laudate et approbate dalli clarissimi signori luogotenenti, mentre loro signorie clarissime, conoscendo sopra le sententie dei signori capitani et astanti, in appellatione dedotte, le hanno lodate come giuste o tagliate come ingiuste o moderate come più o meno severe, come consta 1450 primo agosto A23; 1533 2 maggio A3; 1568 12 dicembre A4; 1578 20 marzo B24; 1586 29 marzo A24; 29 settembre A25 e 2 ottobre A26.

Constano adunque le antiche consuetudini del bandire et approbationi di quelle per gli illustrissimi signori luogotenenti e perciò deveno esser servate alla città, essendo questa la volontà di Sua Serenità per parte presa nell’eccelso Consiglio di dieci di 21 febbraro 1516 B3 e 20 marzo 1581 B17, che le antiche consuetudini in Patria sieno servate. E così si è imposto indifferentemente a tutti li clarissimi luogotenenti nelle commissioni loro.

Par dura cosa alla città di Udine che alli giusdicenti tutti della Patria sieno dal clarissimo signor luogotenente servate le antiche consuetudini loro et a lei non, il che apertamente si vede per le remissioni fatte loro 14 marzo E1, 9 giugno E2, primo luglio E3, 13 agosto E4 e 9 ottobre 1592 E5.

E non è dubio che questi casi sono stati rimessi da sua signoria clarissima per sapere che sono soliti giudicarli e non per haver veduto loro privilegi. Se egli adunque gli li rimette per conservatione delle antiche loro consuetudini, per qual causa essendo ancora la città fedelissima e pronta a spender la facultà e sparger il sangue in servitio del suo Prencipe, al paro di qualunque città o soggetto particolare di questo Serenissimo Dominio, non merita lei la medesima giusta gratia?

Il clarissimo signor luogotenente per difesa della sua opinione (per quanto è stato detto, che difficil cosa è levar gli obietti che non si sanno) allega che li privilegi della città non le danno questa auttorità di bandire e che altre volte 1525 e 1554 fu fatto il medesimo da doi suoi precessori, li quali tagliorono in appellatione le sententie bannitorie degli astanti per questo capo che essi non havessero auttorità di bandire.

Molte sono le risposte che se li potrebbono dare, ma si contenterà di queste, per non attediar con tanta lettura Vostra Serenità; e prima che quelli duoi clarissimi luogotenenti sono stati soli in quella opinione et in contrario sono stati tutti gli altri.

E poi che dette loro sententie sono de diretto contra le antiche consuetudini e contra le parti del Senato, disponenti che si osservino alli sudditi le antiche consuetudini loro.

Oltre di ciò, per risolutione delle cose per sua signoria clarissima addotte e di quante ne addurrà, alle quali non potrà la città particolarmente rispondere, non essendole notificate, si dice che il negotio delle giuriddittioni è hora in altro stato di quello era nei tempi passati, perchè sopra esse potevano li clarissimi luogotenenti dire l’opinion loro, che hora non ponno, essendo la cognitione delle giuriddittioni devoluta alli illustrissimi signori sopra i feudi, come a pieno si è dimostrato.

E’ stato d’un tempo in qua introdotto che alcuni clarissimi luogotenenti si mostrano difficeli in remetter li casi nei quali li rei meritano esser condannati in pene pecuniarie dal capitano et astanti, secondo li statuti della città, per il che è sforzata ogni altro giorno la città, per conservatione della giuriddittione, privilegi et antiche consuetudini sue, mandar suoi oratori, con grandissima spesa et interesse, alli eccelentissimi signori Capi dell’eccelso Consiglio di dieci, per ottenerne la remissione loro.

Alcune volte questo illustrissimo signor luogotenente presente, derogando alli privilegi et antiche consuetudini nostre, non ha voluto rimandarne alcuni, benchè con molta instanza domandati, ma ha voluto egli stesso spedirli, condannando li rei di quelli in pene pecuniarie et applicando dove più gli è parso dette pene, come chiaramente consta 1592 27 gennaro F1; detto F2; 21 maggio F4; 30 detto F6; detto F7; detto F8; et 11 luglio F10.

Queste espeditioni sono tutti in preiuditio della giuriddittione della città, perchè sono de diretto contra li privilegi, statuti, antiche consuetudini et infinite terminationi in contradittorio giuditio ottenute e decisioni fatte da questo serenissimo Collegio, dall’eccelentissimo Consiglio di Quaranta, dalli illustrissimi signori Sindici di Terraferma e dalli eccelentissimi signori Capi dell’eccelso Consiglio di dieci, come appar: 1454 19 febraro A1; 1455 primo settembre B11; detto B13; 26 detto B14 tergo; et 1456 17 zugno B15; 1459 19 febraro A19; 1468 4 luglio B16; 1472 5 marzo B1; 1533 9 agosto A2 e 1577 22 marzo B25. Nelle quali tutte è detto, in conformità dei privilegi della città, che tutti quei casi nei quali non s’ingerisce pena di sangue o mutilation di membro, li clarissimi luogotenenti permettano che il capitano et astanti li giudichino per conservatione dei privilegi della città.

Queste espeditioni apportano due grandi e notabili pregiuditi alla città. L’uno, che le leva la giuriddittione lasciatale dalla benignità di Vostra Serenità in prima acquisitione; l’altro, che le condanne le quali andarebbono a pro dell’officio del capitano et astanti e da essi sarebbono dispensate secondo gli ordini e constitutioni sue, come Vostra Serenità termina 1542 11 febraro, karte 13, sono dal clarissimo luogotenente altrove applicate.

Per la qual cosa Udine divotissima di Vostra Sublimità, con humiltà la supplica che degni cone l’eccelentissimo Senato terminar in modo e con parole sì efficaci che de cetero gli illustrissimi luogotenenti, senza dar spesa alla città di mandar per questo effetto oratori ai piedi suoi, li rimandino come spettanti ad essa tutti li casi nelli quali non s’ingerisce pena di sangue o mutilation di membro, per li quali meritano gli rei esser condananti in pene pecuniarie; che loro signorie illustrissime in quelli non possino ingerirsi in prima instantia, e caso che venissero all’espeditione, tali espeditioni siano di niun valore, come altre volte fu terminato anco da Vostra Serenità, sotto 11 febraro 1542 C13 e che siano tenuti restituire le condanne, salva sempre però l’appellatione a loro dignorie illustrissime.

E perchè molte volte ancora aviene che li illustrissimi luogotenenti formano li processi sino all’espeditione et i cancellieri loro cavano l’utilitadi della formatione d’essi con grandissimo danno della cancelleria di essi capitano et astanti, alla qual spetta tal utile e con rovina delli poveri rei, convenendoli pagar li constituti, capitoli, depositioni de testimoni e tutti gli altri atti e scritture, molto più che non si paga nella cancellaria del capitano et astanti. E doppo formato il processo e cavata l’utilitade delli cancellieri delli clarissimi signori luogotenenti lo remandano agli astanti.

Si supplica Vostra Sublimità che degni con l’auttorità dell’eccelentissimo Senato proveder ancora a questo tanto preiudicio e danno fatti alla sua fedelissima città, che remandandoli detti casi, sieno tenuti remandarli con tutte le spese seguite sino al tempo di essa rimissione, iuxta quanto è stato altre volte in contradittorio giudicato fra la città e la cancellaria del clarissimo luogotenente; deciso come si vede per la terminatione Ema 1514 9 dicembre B26. Astrengendo li loro cancellieri a restituirle alla cancellaria di essi capitano e astanti, come ogni ragion vuole.

Concludendo, donque, quanto si è di sopra detto, si supplica Vostra Serenità che degni per giustitia e per gratia in tre cose favorir la sua fedelissima e divotissima città di Udine.

La prima è che degni nel primo caso sospender quelle parole PER MANCAMENTO DI GIURIDDITTIONE ET AUTTORITA’ DI BANDIRE, sin tanto che la materia della giuriddittione sia terminata dalli illustrissimi signori sopra feudi, così che quelle parole non habbino a preiudicar alle giuriddittioni et antiche consuetudini.

La seconda, che siano tenuti gli illustrissimi signori luogotenenti rimandar alla città tutti li casi nei quali non s’ingerisce pena di sangue o mutilation di membro, quando hanno li rei ad esser condannati in pena pecuniaria e le condanne che essi havessero cavate per l’espeditione di qualche caso alla città spettante.

La terza, che rimandando essi casi siano tenuti remandarli con tutte le spese seguite sino al tempo della rimissione e cavate per li cancellieri loro, come confida che farà per l’innata benignità sua e per quella giustitia che unite insieme le acquistoron il glorioso imperio, che con tanta pace possede.

Et in buona gratia sua, tutta riverente, s’inchina.

1593 a 5 marzo, in Collegio

Che all’oltrascritta supplicatione rispondano il luogotenente nostro di Udene presente…Et il medesimo faccian li dui luogotenenti ultimamente tornati da quella città…

(filza 346)