2.91 La legge dei cinque casi

Serenissimo Principe, Illustrissimi Signori

Conobbe in ogni tempo la fidelissima città di Verona la paterna cura che la Serenità Vostra tiene di lei et sì come invitata dalla santità di questo governo, l’anno 1405 le donò se stessa. Et con viva fede sempre ha esposte tutte le proprie fortune a conservatione dell’imperio suo.

Così ha creduto sempre che viva nella Serenità Vostra ardentissimo desiderio di conservarli quelli privilegi che in quel tempo furono capitulati, li quali, come nati ad un parto con l’istessa città, la Serenità Vostra consentì che ritenessero nella primiera sua volontaria deditione et con la fede dei quali li volse ricevere alla sua devotione.

Però, nell’occasione nata dalle leggi dell’eccelentissimo Senato 1585 26 ottobre et prorogatione per un altro anno fatta 1587 28 dicembre, ha mandato noi oratori ai suoi piedi condidandosi nella giustitia et benignità sua, che uditi li gravami notabilissimi che ne sente, debba in cosa così importante sollevarla et gratificarla.

Ha quella città fidelissima il Consulato che, insieme col clarissimo signor podestà et eccelentissimi giudici curiali, giudica tutte quelle cause criminali d’ogni sorte et fu sopra ogni altra cosa a lei carissimo, questo privilegio, stimato precioso più d’ogni tesoro.

Et per ricompensa l’ha sempre essercitato con giustitia et prudenza tale, che somma lode sempre ella n’ha riportata et da suoi clarissimi rettori Vostra Serenità sempre ne ha avuti chiarissimi testimoni et tale è stato sempre il fermo volere di Vostra Serenità in conservarli, che in anni 180 mai si vidde alteratione alcuna in questo.

Ma quando viva la legge prorogata, si leva alla città la maggior et più importante parte dei casi criminali, che sono li svaligiamenti fatti alla strada, depredatione di case, sforzi di donne, homicidi fatti con mascarati et stravestiti et incendiari.

Dichiarò poi che s’intendesse di commessi di banditi et loro complici, fautori et recettatori.

Se li casi per sé si considerano tutti li gravi, si comprendono perché pochi homicidi sono che da persone conosciute pensatamente si commettono et non siano stravestiti o mascherati.

Tal che li homicidi puri, sole ferite et simili casi più leggieri, al Consolato si reservano.

Se la qualità dei delinquenti si riguarda sotto nome di complicità de banditi, secretamente si formano li processi, senza che la città lo sappia, et con la presuntione che siano scelerati, habbiano intelligenza con banditi, tutti si giudicano dalli clarissimi rettori et Corte.

Et non prima si vede il colpo che si sente la ferita, perché già è fatta la sentenza, né più se li può provedere: lo manifestano chiaramente li proclami dei clarissimi rettori, ove assolutamente parlano dei delitti commessi dai banditi et altre genti sicarie et di male affare, sicchè tutti si comprendono.

Dal che nasce pregiuditio tale che, overo tacendo, la città perde il suo privilegio, overo parlando, convien vivere in contesa perpetua con li clarissimi rettori, cosa lontanissima dalla modestia et riverenza sua.

Ma più oltre, se si considera la causa che move la sapienza di Vostra Serenità in far la legge, non si nega l’auttorità suprema del Prencipe che non possa secondo la qualità dei casi riservarsi alle volte a se stesso il giudicio, ma questo si fa con le ? attentioni nell’illustrissimo Consiglio di dieci, overo con le delegationi, nelli quali casi non si leva la giurisdittione in generale, ma quel caso in particolare, per quelli degni rispetti et accidenti che possono allhora movere la prudenza della Serenità Vostra.

Et però, tutto che lei gratifica la città in conservarle il suo privilegio, non leva a se stessa l’auttorità di pigliare in sé li casi secondo l’occorrenze che nasceranno. Diremo appresso s’el sospetto dei giudici se considera.

Noi, castigando questi scelerati, diffendiamo l’honore, assicuriamo la quiete della città, conserviamo la vita, li figliuoli et le fortune nostre istesse, perché noi siamo stati li offesi et depredati da questa diabolica gente et che più severamente si deve credere che giudicar debbano di quelli, che dal castigo et dalla morte di quelli scelerati conservano l’honore, la vita et la facultà a se stessi.

Poi, se l’effetto si considera di questa legge, tutto che nata da santissima intentione di Vostra Serenità, questa sorte di gente bandita, disperata et priva di ogni havere, non si astenirà dai delitti, né per gravi pene che se li diano, né per severi processi che si formino, né per la grandezza dei giudici che li giudicano. Già sono banditi, hanno il capestro alla gola sempre, a loro non importa più un bando che dieci, perché rubbando vivano et satiano le voglie ingorde loro dell’altrui sangue.

Oltre di ciò, molti proclamati, vedendo l’ordine di procedere sommariamente senza dar le diffese, dubitando esserli tessute falsità da nemici et non se ne poter diffendere, restano absenti et si multiplica il numero dei banditi et la esperienza lo dimostra esser verissimo.

Nemeno ha loco il desiderio di venire in luce di delitti, perché apertamente, come già banditi li commettono, li occulti si fanno da chi non son banditi per timore di non perder la robba o la patria.

L’effetto lo dimostra, che la provision vera è stato il pagar prontamente le taglie et dar li benefici a chi li uccidevano. Così son stati estinti li Falconi, Piero Pellegrin, Lodovico Porto, Ottavio Di Giusti et altri molti capi di banditi et seguaci suoi: tutti sono stati, senz’altro colpo di giustitia, da propri suoi familiari trucidati.

Dal che nasce che con verità si può dire che non più viva quel santissimo rispetto il quale mosse Vostra Serenità a far questa legge, la quale non fu fatta per semplici banditi, perché sempre furono banditi et ne saranno. Et chi havesse riguardo a questo, la città in eterno perderia in questa parte la sua giurisdittione.

Fu fatta per levare le grosse compagnie et si può dire li esserciti di tali scelerati, li quali come aperti ribelli venivano sino su le porte della città a commettere simili scelleratezze.

Non vivono più quelle compagnie, sono disciolte che molestavano et infestavano il territorio veronese, però cessa il rispetto con il quale fu fatta la legge.

Né ci pregiudichi il considerare che sia per un anno solo, perché si considera la causa, non il tempo et l’occasione di annichilare, a poco a poco, il privilegio della città, poiché non si tratta d’alcun beneficcio del Prencipe, ma d’un danno inestimabile di essa honorata città et tanto fedele.

Et se ben mossa Vostra Serenità dalle lettere dei clarissimi rettori, l’ha prorogata, non offenderà la dignità sua il rivocarla, anzi mostrerà la solita prudenza et giustitia, quando che intese le vive ragioni della sua fidelissima città, il poco effetto et il molto pregiudicio che possa nascere da questa legge, lo stato presente assai diverso dal passato, si mova a gratificarla.

Non serà novo l’essempio, anzi osservatissimo et lodevole costume di Vostra Serenità in udir volontieri le ragioni dei sudditi, et conoscendole vere essaudirle et retrattare le deliberationi che li offendessero, nascendo questo dalla sua incorrotta giustitia et religione.

Però, con quel devoto et humile affetto del vivo cuore, che in tante occasioni ha scorto la Serenità Vostra in quella sua fidelissima città, grandissimo, ella riverente le rappresenta la ferita che riceve, supplicandola che con la sua pietosa mano la risani et a credere che se nel conservare l’imperio di Vostra Serenità ha sparso il sangue dei suoi cittadini, perduta la robba, patite le depredationi, sopportato il vedersi trucidare li propri figliuoli nel seno, piuttosto che macchiare quella candida fede che al suo Prencipe deve, molto maggiormente debba nella pace et nella sicurezza nella quale, sotto l’ali di questo fortissimo leone, diffesa se ne vive, procurare col castigo solo dei scelerati di conservare a se stessa, ai cittadini, al popolo, al teritorio, quelle istesse cose le quali sempre tenne et tiene altretanto care, ? quanto che ne hebbe et ne haverà occasione di spenderle prontamente in beneficio di Vostra Serenità, alla quale…

1588 10 mazo

Di ordine delli eccelentissimi signori Savi dell’una et l’altra mano, rispondino sopra la presente scrittura li rettori di Verona…

(filza 341)