2.74 La Contadinanza

Serenissimo Principe, Illustrissima et Eccelentissima Signoria

Potremmo con verità dire noi Sindici della Contadinanza del Friuli che seben in ogni tempo questo santissimo et serenissimo dominio ha usato larghissimi segni di benignità et clemenza verso di noi, per sollevare la povertà et miserie nostre, hora più che mai abbondi a gloria di Nostro Signor Dio et essaltamento di Vostra Serenità, perciochè essa quest’anno passato ci ha concesso gratia di poter paghare un grosso debito di dieci mila ducati in circa nel tempo di dieci anni, senza pena alcuna.

Et ha liberato le ville della Patria oltre il Tagliamento verso Udene dell’insupportabile peso di condurre i sali alli daciari; et ultimamente ha levato via la gravessa della macina.

Dalla quale buona et retta intentione succede che i clarissimi rettori per conformarsi alal mente di Sua Sublimità sono vigilantissimi al sufragarci et porgerci ogni giusto et honesto aiuto, compassionando al povero stato nostro, non come signori, ma come naturali et amorevoli padri.

Il che ha fatto finhora et tuttavia fa con tanta carità et con sì fatto affetto il presente clarissimo et prestantissimo signor Luogotenente, che non si potrebbe degnamente, nè abastanza esprimerlo, sen non da chi possedesse l’eloquenza di sua signoria clarissima, la quale ben spesso è solita dire che i contadini sono uno dei nervi del Principato et che perciò è honesta, giusta et utile cosa l’aiutarli et favorirgli, sì perchè il fine del buon Principe non è altro che la salute et felicità dei sudditi, come anco perchè si possa haver pronto ad ogni urgente bisogno il servitio loro.

Mossi dunque noi sindici antedetti dal desiderio di preservare i miserabili contadini dalli privati appettiti per conservare le povere et deboli forze loro tutte al publico bisogno, riverentemente venimmo ai piedi di Vostra serenità et di Vostre Signorie illustrissime et li dicemmo che abusandosi nella Patria antedetta una sorta di essecutioni chiamata sequestri sopra i frutti pendenti nelle terre arrative et prative, per la quale si obligano i decani o merighi et comuni delle ville con pena pecuniaria applicata all’ufficio delli signori vicari et di pagar del loro i debiti di questo et quello affittuale o livellario, a raccogliere, governare et custodire i frutti sequestrati, si habbiamo con gli effetti avveduto et doppo grandissime afflitioni accorto che questa sorte di essecutione essorbitante et insolita negli altri territori di Vostra Serenità et di ciascun altro prencipe, ci porta una calamitosa et inevitabile rovina.

Perciò che se ne fanno per conto di affitti et livelli ogni anno per tutte le ville della Patria et in tanta copia che non è anno che affatto non si rovinino quasi tutti i capi delle ville come i podestà, degani, merighi et giurati, rispetto che per attendere a fatti delli creditori particolari, cioè all’esecutione di essi sequestri et stare involti nel pallazzo con diverse lite et per diverse occasioni che sorgono da questi sequestri, perdono il tempo a loro tanto necessario, vivono gran parte dell’anno sul palazzo et nelle osterie, non possono fare nè a tempo, nè fuor di tempo le opere loro d’agricoltura.

Et insomma con le misere sostanze consumano l’opera, il tempo et le loro famiglie cosa lagrimevole a udire, ma di molto maggior compassione a quelli che ciò veggono ogni giorno, di maniera che non si trova senon con grandissime difficoltà et strussii chi voglia accettare i carichi di podestà, decani o giurati.

Et quando per qualche accidente d’infirmità, ignoranza di confini delle terre sequestrate o altro simile non sono raccolti tutti i frutti delle terre sequestrate, bisogna che i meschini o si consumino in lite per giustificare l’innocenza loro, overo paghino del suo il creditore, la pena al vicario et tutta la spesa che è seguita.

Per il che supplicammo per le viscere di Christo Vostra Serenità che si degni con l’eccelentissimo Senato liberarci da questa dura gravezza et dannosissima servitù, la quale invero è la più grave di tutte le gravezze che facemo alla Serenità Vostra, acciochè la Patria che è purtroppo sterile et povera d’huomini di lavoro [non] senta l’ultimo crollo et vada senza alcun rimedio in totale rovina.

Il che sperammo di ottenere dalla giustitia et clemenza di Vostra Serenità perciò che se essa per i già deti interessi publici ci va col publico incommodo di giorno in giorno sollevando, molto più si debbono levare et cancellare gli abusi et corutele, potendo i creditori provedere ai bisogni loro, con i loro affittuali et coloni con diversi mezzi giusti et legitimi, senza noia et offesa del terzo, facendo pignorare i contadini o sequestrare i frutti doppo che sono raccolti et posti in acervi o cavaioni in campagna o nell’ara et provedendo de più idonei coloni, con i termini di ragione et con questo fine s’inchinammo devotissimi alla buona gratia di Vostra Serenità.

A 17 di agosto 1581

Che alla sopradetta supplicatione risponda il luogotenente nostro della Patria… Et l’istesso facci d. Daniel Foscarini ultimamente ritornato di Luogotenente della Patria.

(filza 335)