2.59. Il patriarca

Serenissimo Principe,

Non è sorte alcuna di scelerati tanto contraria alla giusticia et di tanta afflittione et ruina delli sudditi quieti et innocenti quanto è l’incorrugibil qualità d’alcuni sicari allevati, nutriti et invecchiati nell’ingiurie, nel sangue et nelle offese del prossimo, che con l’impunità hanno non solamente stabilita nel primo grado, ma di giorno in giorno, passando di scelerità in scelerità, sempre augumentata la lor iniquità et sceleratezza sanguinaria, onde li offesi, oltra il non trovar castego alle prime ingiurie, sempre aspettano nell’avvenire altre ferite o morte.

Sì come ho da temere io povero Sila Muzano, suo cittadino di Vicenza, della perfida natura et qualità di Martino Schiasaro, Jseppo Percello, Alessandro et Mandricardo Pasqualini et altri suoi complici, tutti del luogo di Malo, huomini pieni di parentado nella villa et colmi de favori nella città di Vicenza, per servitii da loro prestati a diversi in questa loro professione ingiuriosa.

Perciochè a me non è finhora giovato né il querelare alla giusticia delle gravi offese fattami et il ritrarmi a vita più humile et dimessa, che forsi non porta la mia condicione, né il perdonar l’ingiurie passate, che tuttavia questi ribaldi, fatti maggiormente arditi dall’impunità, dai favori che hanno et dall’humiltà et bontà, multiplicano li loro eccessi et tiraniche violentie, sì che io son astretto per salvar la vita ricorrere alla giustitia di Vostra Serenità, essendo che altre fiate, così per le ferite datemi del 1573, come per la morte di Bernardo Tortosa mio di casa et per l’haver ferito a morte del 1576 a 3 d’agosto, con un passador, Marco Antonio mio servitore, non pur li delinquenti son sono stati puniti, ma sono cresciuti in reputatione et insolentie.

Et per trovar occasione d’ammazzarmi, quest’agosto prossimamente passato mi hanno, senza occasione alcuna et nullis, urtato et spinto vergognosamente in strata. Il che, havendo io patientissimamente sopportato, hanno poi, senza provocatione alcuna, passato di banda in banda Splandiano mio figliolo naturale et fatto impeto et spugnacione a quella casa dove io mi era salvato, né perciò sono solamente impuniti, ma gloriosi.

Et quanto crepa la mia patientia et humiltà, tanto vien mazor le loro tirannie.

Onde ultimamente, alli 9 di novembrio prossimo, intorno alle 22 hore, passeggiando io puoco discosto da casa mia con il reverendo piovano di essa villa, per trovar occasione de ammazzarmi senza alcuna causa, li prenominati cominciorno a dar delle botte a mio figliolo, il qual fugendo fu seguitato da loro sino che giunsero dove io era, senza alcuna sorte di arme con il detto reverendo, ai quali havendo io solamente ditto ‘ah Iddio, perché offenditi mio figliolo?’, subito si voltorno, sì come haveano designato, verso di me povero vecchio de anni 60, dicendomi: ‘a, becco tu, non la scamperai hora’, et come arrabiati mi furno adosso talmente, che non sapendo io come salvarmi, per un puoco fattomi scudo del ditto reverendo sacerdote, mi diede a fugire, ma non sì presto che non fosse colto da una cortelata sopra la testa, che mi aterrò.

Et dopoi in terra, mi diedero sette altre ferite. Et credendo havermi del tutto morto mi lasciorono in quei termini.

Et essendo allhora modestamente ripresi da persone che videro tanta crudeltà, senza alcuna altra cagione che del suo deliberato proposito, diedero delle botte et delle ferite a coloro per tale reprensione, bravando et biastemando horribilmente et facendosi intendere che le persone che vedeno le sue operationi hanno da tacere et non da riprendere, perché non hanno né timore, né besogno del consiglio d’alcuno.

Et così, dopoi così gravi delitti, sicuri et altieri, passeggiano di continuo sopra la piaza, spalegiati d’altri loro simili et fautori.

Però, non potendo io trovar rimedio a questa tanta calamità, senon dalla tremenda giustitia di Vostra Serenità, son astretto supplicarla che, tolte le debite informationi dalli clarissimi rettori de Vicenza, si degni delegar tutti li sudetti casi inespediti, commessi da persone di così perversa et tiranica natura, all’officio dell’Avogaria di commun, dove li testimoni potranno senza paura far palese la verità, et dove non haveranno luoco i favori acquistati da questi, con sparger il sangue di persone innocente, ma li scelerati haverano pena condegna ai suoi delitti.

Et alla buona gratia humilmente mi raccomando.

1577 3 febraro

Che alla oltrascritta supplicatione rispondano li rettori di Vicenza