2.58. La retta giustizia

Serenissimo Prencipe

Sì come santamente è stato provisto per le sacre sante leggi di questa Serenissima Republica che li delitti che vengono commessi dalli suoi sudditi non restino impuniti, così sentono grandissima consolatione li miseri oppressi che la giustitia venghi administrata rettamente verso cadauno e con fondamento de verità fondata sopra il vero, senza haver riguardo indifferentemente al più ricco che al povero et che la potentia de alcuni nobili ricchi, quali hanno molte dependentie nelle patrie loro, et che vorebbero con vie indebite distruggere il povero, non habbi luoco.

Questo dico, con le lacrime agli occhi io povero et infelice Andrea Chiio della villa della Bastia de Rustega, distretto di Padova, perseguitato et, con falsità a gran torto, calunniato dal signor Claudio da Lion del magnifico signor Camillo, gentilhuomo di Padova, potentissimo de facultà, parenti et amici.

Però che, essendo io infelice li mesi passati con mia moglie a veder la festa a Borgo Richo, villa del Padovano, venne in pensiero al detto signor Claudio, giovane sfrenato e con poco timor de Dio, e manco del ben vivere, di voler con forza et atto violente che detta mia mogliere balasse con lui.

Il che non volendo essa fare, non essendo in uso in villa che ballino le maridate, incominciò il sudetto non ben costumato gentilhuomo a farli alcuni atti disonesti intorno, volendo farvela andar per forza, procedere invero non nobile et non conveniente.

Il che, visto da me, che ancho non lo conoscevo, essendo esso con certi habiti contrafatti indosso, mosso da giusto sdegno li diedi con una mia arma, con tutto il fodro, sopra d’un braccio, con il quale voleva strassinarla in ballo, dicendo: ‘tuò, mò, lassala stare’. Né altro seguitte.

Per la qual cosa esso signor Claudio, con suo padre, querellorno me povero a Padova e dopoi, vedendo che con questa poca cosa non potevano far metter la mia retentione, se consigliorno, facendo conventicula con nodari et advocati suoi adherenti, de dar una gionta alla querela, calunniandomi che, allhora che io li diedi, havessi biastemmato e con vie diaboliche et con il potere che hanno in la città è stato con falsità fatto formare un processo, nel quale credo che appari la sua calunnia contra di me vera: cosa che con verità mai si trovarà, come essaminandosi quanti erano nella detta festa si vederà.

E così, con questa machinata calunnia, me hanno fatto proclamar a le preggioni de Padova et vorriano che io povero innocentissimo mi costituisse pregione, si può dir in sue man proprie; e sopra una tal qual formatione de processo formato da nodari che sono una istessa cosa con loro, perché essendo essi gentiluomini padovani et de principali di quella città et io contadino e mendico, vorriano suffocar la verità et me meschino insieme con il poter suo.

Il che non gli succederà mediante la gratia divina e la benignità della Serenità Vostra, alli cui benigni piedi ricorro devotamente, supplicandola che sì come io non ricuso di volermi apresentar in pregione per giustificare la innocentia mia, et la falsità delli miei persecutori, così humilmente ricerco che sii il detto caso delegato in luoco dove piacerà a la Sublimità Vostra, così a Vinegia, come in ogni altra città, pur che io non vada a por la mia vita nelle mani delli miei acerimi adversari, arrabbiati del sangue mio, et sopra processo formato da nodari suspettissimi, essendo e d’una città istessa et parimenti cittadini e forse parenti suoi.

Offerendomi far sacrificio in ogni luoco de la vita mia, per la obedientia del mio Principe et per mostrar la verità del fatto: ma lontano dalle insidie e da quei lacci con quali cercano li miei persecutori de legarmi contra ogni dovere.

Et alla buona gratia di Vostra Serenità, humilmente mi raccomando.

1577 19 novembre

Quod respondeant huic supplicationi rectores Paduae…

(filza 331)