2.43 La realdizione

Serenissimo Principe

Per imputatione che io povero Daniel Di Benvenuti della villa di Zero, havesse di compagnia da Gasparo de Giacomin di Betioli, mio cugnato, menato via una giovane nominata Giulia, fiola del quondam Piero Di Benvenuti, mia germana, qual esso Gasparo desiderava haver per moglie; et non pur detta giovene, ma li barbani et altri di suoi contentavano che si facesse tal matrimonio, fuori che uno sollo fratello di suo padre, qual menando la cosa in longo mostrava di non voler asentire.

Il che dette causa a esso mio cugnato, giovene de anni 18 in circa, di far l’effetto suddetto, sì come par che per il più si faci tra contadini et contadine.

Et seben la detta giovene, senza che fusse violata, né apenna tocca da esso Gasparo, fu immediate restituita alli suoi, nondimeno io, come è sudetto, per essermi causalmente ritrovato con detto giovene mio cugnato, fui de ordine del clarissimo potestà et capitano di Treviso proclamato a dovermi apresentar alle pregioni.

Et stando io in villa, non sapendo alcuna cosa di detta proclama, absente, insieme con detto mio cugnato et uno altro Sebastian Di Favri, fui sotto dì 8 zenaro 1573 perpetualmente bandito di Treviso et Trevisano, Ceneda et Cenedese et quindeci miglia oltra li confini, di quattro lochi, giusta la parte, et etiam di questa alma città di Venetia et ducato, con pena di gallea contrafacendo, et come in detta sententia si legge.

La qual certissimo mai sarebbe seguita quando che, sapendo io del proclama, mi fusse apresentato et havesse usato delle ragion mie.

Ma perché a tanto mio danno et ruvina et de duoi poveri mei frattelli orfani di padre et madre non ho altro remedio salvo che la benigna gratia della Serenità Vostra.

Prostratto perciò ai piedi suoi, supplico con ogni riverentia et humiltà debbita, li piacqui in gratia spetial conciedermi che non ostante detta sententia contra di me, come di sopra fatta, possi personalmente apresentarmi nelle forze della giustizia et usar delle raggion mie, le qual mediante spero dover esser, mercè della sua molta pietà, liberato da tanto danno et travaglio in che mi ritrovo, dovendo io et detti poveri orfani mei fratelli pregar Iddio benedetto sempre per cusì benigno et gratioso donno, che prosperi et augumenti in tutti li seculi questo Serenissimo et Illustrtissimo Dominio et longamente conservi Vostra Sublimità et Vostre Eccelentissime Signorie.

In bona gratia della qual riverentemente sempre mi raccomando.

1573 27 di marzo

Che rispondi il potestà et capitano di Treviso…

(filza 328)