2.39 Un uomo di autorità e di potere

Serenissimo Principe, Illustrissima Signoria

Se la giustitia et clementia della Serenità Vostra non mancherà mai di proveder alle oppressioni dei suoi fedelissimi sudditi, semo certi et sicuri noi suoi divotissimi communi et homeni delli centinara di Domegle Oltra Piave et Auronzo di Cadore, che essendo tutti noi communi et homini non solamente oppressi, ma malamente tirranneggiati dalla potentia et authorità di Vecellio di Vecelli, col favore et seguito de altri della sua fameglia et di quelli della famiglia di Constantini, suoi parenti stretti et adherenti, la si degnerà proveder alle nostre indemnità et sollevarne da tanta tirannide, strusii et estorsioni, con le quali, quando non ci sia prestato il suo giusto, santo et presto suffragio, saremo di breve ridotti all’ultimo esterminio.

Il che sarebbe non solo con nostra ruvina, ma anche con notabilissimo danno delle cose di Vostra Serenità. Essendo noi di continuo occupati nelli serviti suoi, con le proprie nostre persone, carri et animali, in tagliar nelli suoi boschi et condur all’acqua tanto numero di arbori quanti sono stati condutti per conto della Casa sua dell’arsenal, nei bisogni et specialmente di questa importantissima guerra turchesca.

Imperochè, quando che da queste nostre miserie et afflittioni saremo col mezzo della sua giustitia liberati, con tanto maggior ardore et minor nostro incommodo potremo continuar nelli suoi serviti, come ardentissimamente bramamo et prontissimamente si offerimo.

Et affine che la Serenità Vostra et le Signorie Vostre Illustrissime possino connoscer li nostri mali et penetrar nella profondità delle nostre piaghe, le presentiamo gli infrascritti nostri gravammi, la giustificatione delli quali reverentemente supplichemo che la si degni commetter all’officio di clarissimi signori Avogadori di commun, li quali, giustificati che siano et connosciuta la verità, la potrà darne quel rimedio che parerà conveniente alla sua giustitia et così riverentemente et con infinito dolore degli anemi nostri gli rappresentamo:

Primo. Che nel consiglio di Cadore, nel quale vi entrano persone numero 29 fra tutti li communi et centenara di Cadore, oltre la persona del magnifico capitano et spettabile vicario, che fano in tutto persone 31.

Della famiglia di Vecelli ve n’entrano oedinariamente quattro et fra gli altri Vecellio suo capo, il qual è continuamente o consule o sindico, cioè un anno consule et l’altro sindico; et suoi figliolo il kavalier et tre suoi cognati, cioè Fiorin da San Piero, Christophoro Palatin et Baldissara Constantin al numero di cinque et altri della famiglia di Palatini, tutti suoi parenti strettissimi, a tal che sono in tutto, oltre molti suoi adherenti, al numero di dodeci in circa.

Secondo. Che il detto Vecellio si fa stimar di tanta authorità et poter in detto consiglio, col mezzo et favor di detti suoi parenti et adherenti, che molte volte che li magnifici capitani, rappresentanti la Serenità Vostra, volendo dir qualche sua opinione in detto consiglio per benefficio publico gli ha bastato l’animo di contender con sue magnificientie, con grandissima superbia et pochissimo rispetto.

Il che è stato d’infinito ramarico degli altri del Consiglio, per la riverentia et divotione che tengono al Serenissimo Dominio.

Et gli medesimi termini esso Vecellio ha usato et usa di continuo con li spectabil vicari et consiglieri del detto consiglio di Cadore, che non vogliono favorir et fomentar le sue opinioni.

Terzo. Che per haver detto Vecellio, con questi mezzi indiretti, nelle sue mani il governo di esso consiglio, ha fatto crear già buoni anni il Kavalier suo figliolo cancellier della communità di Cadore, onde il maneggio di tutta detta communità absolutamente vien a restar nelle mani del padre, che è sempre consule o sindico et del figliolo che è perpetuo cancelliero. Con li quali extraordinari et illeciti modi fanno spender a nome della communità infiniti danari a danno di nui poveri communi et in particolar facendosi, mo’ l’uno, mo’ l’altro, crear ambasciatori con sallari eccessivi, commettendo le predette cose con mali modi et mezzi indiretti.

Et specialmente nel taglio fatto l’anno passato nelli boschi di quei fidelissimi communi delli bordonali 600 per conto del Serenissimo Dominio, esso Vecellio ne ha fatto tagliar dui milla, delli quali non si ha potuto veder né haver conto alcuno, per esser tale detto Vecellio che a niuno basta l’animo di contradirli. Il che è stato con interesse non solamente di noi poveri communi, ma con infinito danno della Serenità Vostra.

Quarto. Che doppo che detta communità è maneggiata dal detto Vecellio et suoi adherenti, sono stà venduti a diversi particolari et mercadanti molti boschi delli communi di Cadore et per tal vendede toccato grandissima quantità de danari, delli quali non si ha mai potuto veder luce, né conto alcuno.

Nemeno con tutto ciò si ritrova al presente pur un bezzo nel publico fontico, qual soleva haver assai buon cavedale, per esser stato da loro esso danaro dispensato malamente, a grave danno et preiuditio di detta Università.

Quinto. Che essendo stà molte volte condennati alcuni poveri communi per haver tagliato nelle loro vice et boschi communali, per sustentatione delle proprie famiglie, et siano stati scossi molti danari per tal condennationi, li quali non ostante che siano stati destinati et applichati al benefficio delle publiche fabriche, nientedimeno non si vede che mai siano andati in alcun beneficio publico, ma convertiti in particolar uso di detto Vecellio et suoi adherenti, li quali a modo suo maneggiano le cose di detta communità.

Sesto. Che il detto Vecellio, facendo anche la professione di avvocato avanti il spettabile vicario, non havendo molte volte potuto ottener quello che egli voleva, ha con mezzi indiretti et con subornationi et altri mali modi, malamente et ingiustamente ottenuto quello che ha voluto.

Settimo. Che alle volte il detto Vecellio et suoi adherenti, per sfogar il suo mal animo contra alcun particolar cittadino del luoco et in particolar contra noi poveri communi sopradetti, sotto vellamme di communità hanno fatto elegger homini et ambasciatori per venir a Venetia in detti communi, senza volersi neanco lasciar intender o specificar le cause che li moveano alla elettione de detti nonti et ambasciatori. Et sotto questa berta venivano a farne spender buona parte delle nostre sostanze, con grandissimo danno delle povere famiglie nostre.

Ottavo. Che essendo tutto il governo et le scritture delle communità in mano del padre, hora consule, hora sindico, et del figliolo, sempre cancelliero, et occorrendo alle volte a noi poveri communi, per diffesa delle nostre miserie et calamità, haver copia delle publiche scritture existenti nella cancellaria, ni vengono non solamente recusate, ma appresso semo da loro rebuffati, ingiuriati et minacciati.

Nono. Che a noi poveri et miserabili communi vengono ben spesso poste angarie insopportabili alle nostre forze, per opera et poter del ditto Vecellio, figliolo et altri loro parenti, li quali, havendo sotto la loro patronia et protettione diversi communi et centenari, de parte delli quali sono avocati, et de parte officiali et procuratori, gravano noi altri et disgravano quelli, sì come a loro più piace, commettendo infinite altre magnarie et estorsioni a danno non solo nostro, ma anche della Serenità Vostra.

Decimo. Che oltre li carrichi tanti che il ditto Vecellio ha delle comunità di Cadore, è anche Capitano della vice dei boschi di Vostra Serenità, che sono nelle pertinentie del commun di Auronzo, vinti millia lontano dalla pieve di Cadore, dove habita detto Vecellio, il quale per tal lontananza et per attendere esso agli altri suoi carrichi, con li quali rode et consuma tutte le contrade di Cadore, non va nelli detti boschi della Serenità Vostra quasi mai et così rare volte, che per deffetto suo il bosco può andar in total ruvina et esterminio.

1572 23 di agosto

Che rispondi il potestà et capitano di Cividale de Bellun…

(filza 326)