2.32 Il vescovo e i contadini

Serenissimo Principe, Signor mio osservantissimo

Non dovendo io mancare al debito della conscienza mia et all’obligo che tengo con questo mio vescovato di Ceneda, son astretto di significare riverentemente alla Sublimità Vostra che, disegnando alcuni contadini di Costa di volersi, contra le leggi et ordini del serenissimo suo stato, impadronirsi delle terre et beni di esso vescovato, sono di tanto ardire che, seben appare chiaramente per instrumenti publici del 1547, 1556 et 1560, a loro essere state fatte le locationi simplici delle dette terre et per loro esser state riconosciute dal vescovato predetto et augumentate esse locationi, hanno nondimeno deliberato di farsi in tutti i modi patroni liberi et usurpatori assoluti di detti beni.

Et anchora che essi di Costa siano stati dell’anno 1563, con giusta causa, da esse terre escomeati et che tal comeato fosse per il clarissimo podestà di Serravalle giustamente laudato et poi, in conformità, per l’eccelentissimo Collegio di venticinque approbato.

Nientedimeno non cessano i medesimi, con poco timor di Dio et delle anime loro et con poca riverenza delle leggi et giudicii predetti, di persistere nell’ostinatione solita di volere appropriare a se stessi quello che è del signor Iddio et della sua santa Chiesa.

Perchè, oltra di ciò, intendo anchora che i detti contadini, dopo seguiti i predetti giuditii, andarono all’Auditor vecchio a querelar quelli.

Et ultimamente, per intratenire tanto più in lungo la giustitia, dopo la repulsa havuta da essi Auditori et dopo le molte appellationi per essi interposte da tutte le essecutioni fatte dei medesimi giudicii, sono ricorsi alla Sublimità Vostra con certa loro supplica intorno alle istesse cose giudicate, ricercando che sia per lei mandata essa supplica al clarissimo potestà et capitano di Conigliano, per haver da lui informatione.

Il quale, imediate, servatis servandis et auditis audiendis, ha pigliato, secondo l’ordine suo, quella informatione che si conviene.

Ma questi contadini, che non hanno la mira ad altro se non a portar il tempo avanti et far sì che mai si veda il fine delle cavillationi et strussii loro, poco si curano più, adesso che è pigliata tale informatione, di comparire davanti di lei.

Anzi ho convenuto io sollicitar la risposta et mandar quella alla Vostra Sublimità, alla quale rappresento con la mia solita riverenza tutte le prenarrate cose, che seranno parimenti occorrendo narrate dalla viva voce dell’eccellente messer Sebastiano Bravi et del magnifico messer Marcantonio Bembo del clarissimo messer Gioan Matteo, miei agenti alla Serenità Vostra, la quale facendo fine supplico a voler, veduta che haverà essa informatione, con la risposta del clarissimo sudetto podestà et capitano di Conigliano, licentiar essi contadini.

Et riguardando poi, col benigno occhio della molta sua prudentia, al gravame del mio vescovato, anchor che minimo a comparatione dell’interesse della sua publica dignità, si degnerà essercitar la solita sua giustitia per conservatione dei gravissimi giudicii et decreti inviolabilissimi della bene instituta et christianissima sua republica, la quale nostro signor Iddio, con lunga conservatione di Vostra Sublimità, augumenti sempre felicemente.

Di Ceneda li 6 di marzo 1569

Di Vostra Serenità humilissimo et devotissimo servitore il vescovo de Ceneda.[1]


Serenissimo Principe, Illustrissima Signoria

Essendo noi poveri da Costa, iurisditione di Seravalle, comparsi alli suoi clementissimi piedi, esponendo nella nostra supplicatione allhora sporta che, havendo noi terre dell’episcopato di Ceneda da tanti anni in qua, che non vi è memoria d’huomini in contrario, con le nostre fatiche, spese et grandissimi interessi dei nostri authori et vecchi, redotte de inculte, garlese et boschi a perfetta cultura di quelle, sempre pagando una uniforme pensione.

Seben, con grandissimo artificio, è stato procurato ogni indebito mezzo per li agenti di esso episcopato, per alterar le nostre ragioni et far apparer che le terre che noi et nostri vecchi habbiamo ut supra tenute et anchora tengono, siano quelle che fin dal 1518 et subsequentemente solevano tenir alcuni di Regazzoni dal detto episcopato ad affitto, il tutto a fine per offuscar la verità et farci pregiudicio et danno.

Dimandando che sia fatta quella provisione che parerà alla Serenità Vostra conveniente, acciochè non siamo più molestati, ma conservati nel nostro antiquissimo et longo possesso, sì come è stato fatto a tanti altri simili a noi, et come in essa nostra supplicatione.

Sopra la qual, essendo stato commesso il respondeat al magnifico podestà et capitano di Coneian, siamo comparsi davanti sua magnificentia per far le iustificationi di quella, solite et ordinarie, ma non solamente, in tempo che si trattava questa materia, siamo stati brusciati fino in casa et le nostre scritture di maggior importanza insieme.

Ma anco il detto magnifico podestà et capitano, litigando noi con persone potenti et ricche, che appena habbiamo chi ci volia defender, essendone stato tolto il nostro advocato vecchio di Serravalle, con astutia et mezzi indiretti, non ha voluto admettere le nostre realissime et verissime iustificationi, sì come gli era imposto da Vostra Serenità.

Essendo noi poverissimi, per li uffici cattivi della parte contraria, travagliati et privi di poter usar delle nostre ragioni, non possendo haver copia de alcun atto publico a Ceneda, concernente il nome et interesse nostro et de tutto quello che ne potria giovare, per li mezzi indiretti che sono tenuti acciochè la verità stia occulta et noi a torto perseguitati et oppressi.

Il che, essendo contra la buona et santa mente et intentione della Serenità Vostra che li suoi servitori et fidelissimi sudditi siano con così aspri mezzi violentati et offesi, siamo de novo astretti a comparer con fiducia e grandissima speranza che dalla sua benignità et molta clementia non saremo mai abandonati, humilmente dimandando che la Serenità Vostra sia contenta degnarsi commettere al magnifico podestà et capitano di Coneian, o dove a lei parerà, che sopra la detta nostra supplicatione, servatis servandis, habbia a tuor quella informatione delle cose contenute in essa nostra supplicatione et offerto di provare, iusta il solito et ordinario ut in similibus, con auttorità di poterci far dar tutte quelle copie di scritture et atti publici concernenti il nome et interesse nostro, così a Ceneda, come altrove, per poter poi devenir a quella resolutione et ispeditione che si deve, iusta il solito della molta bontà et giustitia della Sublimità Vostra, alla qual reverentemente si raccomandemo.

1569 13 ottobre

Uditi dalla Serenissima Signoria in contradittorio et longa disputatione gli intervenienti per alcuni poveri contadini di Costa, territorio di Seraval, da una, et dall’altra gli intervenienti per il reverendo vescovo di Ceneda, sopra la supplicatione porta a Sua Serenità per quelli di Costa sotto li 22 ottobre dell’anno passato, et sopra quella appresentata anco dalli medesimi ultimamente; et udita appresso la informatione che sopra la supplicatione de 22 ottobre sopradetta dete il mese di gienaro prossimo passato il potestà et capitano di Conegian di quel tempo, fu posto che predetti de Costa fussero licentiati

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— 3 -/- 4 et fu preso de no

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Onde andò immediate parte che sopra le sopradette doi supplicationi de predetti de Costa debba rispondere il presente podestà et capitano de Conegian, tolte le debite informationi delle cose in esse narrate et considerato et servato quanto si deve, scrivere a Sua Serenità la sua opinione, con giuramento et sottoscritione de mano propria, secondo la forma delle leggi et questo far quanto prima, acciò che senza altra più longa dilatione possi a ciò da lei esser data quell’ispeditione che serà giusta et conveniente. Et così è stato preso.

-/- 6

— 0

— 0

Consiglieri:

d. Antonio Malipiero

d. Zuan Bondimer

d. Francesco Grimani

d. Zuan Mocenigo

d. Zuan Soranzo

s. Christoforo Lion capo de 40 V.C.

(filza 323)


[1] Alla lettera-supplica venivano allegate la lettera che il podestà di Conegliano aveva scritto il 20 gennaio 1569 (more veneto), ma che non era mai stata inoltrata a Venezia, e la prima supplica dei consorti di Costa, presentata alla Signoria il 22 ottobre 1568. Nella sua lettera il podestà di Conegliano, dopo aver riassunto la lunga controversia giudiziaria, aveva osservato che “la maggior ragione essere dal canto di detto vescoato…”.