2.20 In villa

Serenissimo Princcipe

Non potendo hormai più supportare nui poveri homeni del comun della villa de Conte territorio paduano le infinite extorsioni, per non dir tirranie, contra di nui, in publicho et in privato, usate per il magnifico messer Andrea Moresini, siamo stati sforcciati, benchè con le lachrime alli occhi, comparer ai piedi dilla Sublimità Vostra et rapresentarli la infeliccità di esso comune, acciochè la facci quelle provisioni che li parerano per sullevatione de nui poveri oppressi.

Saperà, adunque Vostra Serenità, che ritrovandossi in deta villa esso magnifico messer Andrea, sete lavoratori di sue possessioni, li qualli sono obligati pagar con nui del comun tute le gravezze che a Vostra Sublimità si pagano, oltra che non ha mai voluto che già molti anni pagino la portione loro, di sorte che fino al presente sono debitori de lire 4 mila in circa, opera ancho che quando li agenti nostri mandano per esser satisfati li officiali a casa de diti lavoratori per pignorarli, che overo non sono pignorati, overo nelle sue case et granari gli nasconde tute le robbe che loro si ritrovano havere.

Et se pur alle volte è stata fata qualche essecutione, sua magnificentia, tollendo il iuditio in sè con alcuni scriti simulati, nelli qualli facea apparer che tuti li benni de diti lavoratori gli fussero obligati, ha tenuto continuamente et tien oppresso il resto de noi poveri, a qualli bisogna pagar li cargi de li suoi lavoratori, con grandissima nostra ruina et danno, non obstante che essi godeno li benefitii de benni comunali et altri del comun nostro predetto.

Secondo. Non contento de ciò, per mandar in ruina afato tutti nui homeni de dito comun, ha introduto da molti anni in qua di andar all’officio dil malefitio di Padoa et dar fino alla summa di 70, 80 et piui accuse alla volta de danno dato, contra esso comune et noi poveri. Di quello et quelle, subito date, iurarle esser vere et stante esso iuramento far far le condannationi per la summa de lire tre, secondo li statuti di Padova, regulariter, videlicet ad emendationem damni. Il qual danno immediate ancho iura esser dalle lire tre, seben non vi è stato fato danno di sorte alcuna.

Permetendo cussì il dito statuto, che fino alla summa de lire tre se stia al iuramento del accusator et a questo modo, per ogni accusa viene a consseguir lire quatro et meza et il condannato, con altre spese et interessi, perder ducati doi et piui.

Et è pur cosa vera, Princcipe Serenissimo, benchè parsi incredibile, che da pochi anni in qua ne ha dato de dete accuse almancho de 4 mila in suso, como, oltra che dalle copie che nui havemo cavate, si può ancho certifichare dalli libri delle accuse al malefitio sudeto.

Et perchè questa mercantia , credemo nui povereti, gli piacqui infinitamente, lasciando star che per ogni minima cosa accusi esso comune, si sa ancho publichamente che sua magnificentia o taglia o fa tagliar qualche ramo di qualche arboreto et immediate se ne va a dar le accuse nel modo sudeto.

Et anchora fa impiantar su le strade publiche, per le qualli de necessità convien passar li animali nostri, onari, salgari et morari. Et se diti animali a quelli si appogiano, similmente subito va a dar dele accuse predette.

Et senta Vostra Sublimità cosa grandissima, che molte volte sua magnificentia è andato dalli condannati et si ha fato pagar, over si ha acconcciato con loro senza altro mandato, nè cartolina et dipoi, de là un anno o dui, ha levato le cartoline et quelli ha di novo astreto alla satisfatione.

Et se pur alcuno si ha voluto doler avanti li clarissimi rhetori et de ciò et de altro, lui immediate li ha impediti con violentie et minaccie di darli, di farli meter in galia et di farli mandar fuori del sudeto comune.

Terzo. Andando li povereti di ditta villa mal volentieri a lavorar per opera nelli fati suoi, essendo che non puono consseguir la iusta sua mercede, si ha immaginato un modo che infinitamente dispiaccerà alla Serenità Vostra, qual è che, quando vuole che alcuno lo vadi a servir, gli fa meter penna lire 50, overo di andar fuori del comune et gli protesta de danni et interessi.

Dalle qualle penne, pauriti li povereti, per dubitarssi di peggio et per non litigar con sua magnificentia, sono astreti servirlo senza premio alcuno et spesse volte, quando alcuno riccerchato non ha voluto andar a lavorar, li ha fati citar a vederssi a sententiar in danni et interessi, et per questa via li ha tirrati a far quanto li havea dimandato.

Quarto. Volendo al tuto questo gentilhuomo farssi conoscer per abssoluto patrone di detta villa, non ha manchato, nè mancha, di far molte violentie di propria sua authorità, come è stata di haver butata per terra la porta dela casa de Agnolo Fasolo et toltoli in quella per forza diversse robbe. Il qualle, poverello, seben reclamò ai piedi de Vostra Serenità et che fusse imposto a deto magnifico Moresini, che li dovesse restituir il suo, non ha potuto però quello conseguire.

Nè mancha d’usar mille altre violentie et massime in far che li povereti lo vadino a servir contra il suo volere et in tagliar et far tagliar a molti, a qualli lui per tal causa portava et porta odio ingiusto, arbori et vide. Et in diverssi altri lochi, dannifichando quelli pochi benni che si ritrovano.

Quinto. Si fa anchor liccito di tenir indebitamente alcuni campi dela fabricha della chiesa de Santa Zuliana del comune nostro, li qualli altre volte gli forno affitati, nè vuole pagar il fito, nè meno far nova affitatione, ma asserisce deti campi esser suoi.

Et perchè si teme, come grandemente et grandamente si ha da temer, il litigar con lui, però con queste vie tiene li benni dela chiesa sudeta, sì como ancho tien ducati 60 in circa, che è debitore di esso comune per conto di spese fate all’officio dele biave per sullevarssi da un debito de megli et altre biave che sua magnificentia haveva tolto dal dito officio soto nome di esso comune, con il modo per noto alla Sublimità Vostra.

Et se alcuno di noi gli dimanda li dinari predetti, ne minaccia de ruinar del mondo, de modo che non vi è alcuno che ardisci de litigar, nè contestar con lui, per rihaver li sudetti dinari.

Da queste tute cose et molte altre che per brevità si ometeno, siamo posti in tal desperatione nui povereti suplichanti, che quando dalla infinita iustitia dilla Serenità Vostra non gli sii proveduto, siamo ressoluti di abbandonar li propri [et] antiqui nostri nidi et andar ad habitare altrove.

Il che non essendo mai stato di mente sua, la suplichiamo che ne ancho hora la lo vogli comportare, ma certifichata Vostra Sublimità, con quel modo che alla immenssa prudentia sua gli parerà, de tute le prelegate cose, la ne facci quella provisione che la indicherà conveniente per liberatione nostra et conforme alla pia et santa mente sua, alla qualle et bonna gratia sua nui povereti, genibus flexis, si raccomandemo.

1565 23 genaro

Che alla supplicatione sopradetta rispondi il clarissimo potestà di Padoa…

(filza 319)