2.17 I morti di Illasi

Serenissimo Principe, Illustrissima Signoria

Poichè piaque alla Serenità Vostra di exaudire noi contadini da Ilasi, poveri divotissimi servi di Vostra Serenità, l’anno 1563 sotto dì 23 zugno, metendo parte nell’eccelso Consiglio di dieci con la gionta et facendo iuxta et neccesaria provigione sopra le extorsioni et, come veramente possiamo chiamarle, crudeltà delli conti Pompei, usate sopra questo infelicissimo populo del contado de Ilasi, contra la mente de Vostra Serenità et forma dei privilegi concessi a detti conti et contra ogni umanità.

Et poichè, per le giustissime querele et instantie nostre parve alla Serenità Vostra di proveder a tanta ruina et destructione nostra, reducendo li privilegi de ditti conti al suo vero senso et ai sui veri termini, li quali per inanti erano stati, cum perversa et diabolica interpretacione, ampliati et mal usati da detti conti, per totale ruina et exterminio nostro et cum offesa delle ragion publice de Vostra Serenità.

Entrò tanta rabia nei petti de detti conti et maxime neli conti Giovan Paulo et conti Marco, che come crudelissimi homeni et implacabili tirani deliberorno et fecero, come per parolle et effetti se ha di poi veduto, empia resolutione de amazar et extirpar al tuto quelli che furno alli piedi de Vostra Serenità il detto anno 1563 per dolersi dell’impio et inhumano governo de detti conti.

Il che anchora dimostrorno con parolle ingiuriose et minaze che fecero contra li agenti del commune che intravenero contra di loro in questa città.

Dopoi la qual sua deliberatione, morti dui de principali, Antonio De Calo dito Dalla Gema et Mathio Di Bertoni, li quali, non havendo alcun segno o principio de infirmità, all’improviso, sono usitti di vitta, che Dio sa a che modo siano successe tal morte.

Et per condur a fine questo crudelissimo disegno, procedendo pur con modi occulti et secretti, cercando di fugir il degno et iusto castigo delle loro tristeze, havendo osservato che più volte Gioan Maria De Binde Belhomo, pur uno dei principali et capo che fu a Venetia il ditto anno 1563, era solito passar per alcune vie contigue alle case et bruoli de detti conti, parendoli haver comoda occasione, li sparorono da una loro caseta un arcobuso et lo colsero levandolo de vitta.

Et aciò che un tanto delitto non [sia] punito dalla giustitia, da poi la morte de ditto infelice Gioan Maria, si hanno visto armati incogniti in setta andar per il luogo di Lasi di notte, per spaventar li offesi che non ardiscano comparer dinanzi Vostra Serenità a dimandar giustitia et che non si trovino testimoni che depongano la verità.

Onde, Serenissimo Principe, noi poveri predetti contadini dai Lasi, figlioli, parenti et atenenti de detti morti, siamo sforzati di novo ricorer ai piedi della Serenità Vostra suplicando riverentemente la sua clementia che si degni con la giustissima sua mano di conservar queste poche reliquie et che non siano, cum questa inaudita fierezza et crudeltà, maltratati li devotissimi sui servi et fare che cum qualche iuxta maniera di castigo siano puniti questi empi tirani, levando al tutto il giuditio di questo caso tanto atroce et abhominevole da Verona et dellegandolo all’officio dell’Avogaria.

Nella qual città di Verona detti conti sono temuti et rispetati per vari rispetti, come può ben Vostra Serenità conoscer et far giudicio et perchè ancho, dovendosi tratar questi negotii in Verona, saria imposibile trovar persone che fidelmente et senza rispetto vogliano servirni, perchè, Serenissimo Principe, quando fussemo astretti restar alli giudicii de Verona, sarissimo anche insieme astretti ad abandonar le proprie case et povere facultà che si atroviamo et fugir in paesi lontani, contra la mente de Vostra Serenità, la qual sempre desidera di conservar tutti li fidelissimi sui suditi in stato di pace et di felicità.

1565 5 agosto

Che alla soprascritta supplicatione respondi il potestà nostro di Verona…

(filza 319)