2.104 La perizia d’ufficio

Mentre che io Gieronimo Parolaro da Cologna ero scolaro in Padova fui creato rettore dell’Università dei legisti, passando vita quieta et aliena da tumulti et risse, havendo moglie, con la quale havevo havuto quattro figlioli fra maschi e femine.

Essendo lei venuta a morte, una notte mentro ero nel letto, è stata portata fama alla giustitia che fosse stata morta da me di morte violenta, per sospetti che io havessi dell’honestà sua, e mi ritrovo proclamato da quella giustitia.

Io intendo presentarmi e far conoscer l’innocentia mia, ma per li giusti rispetti, quali movono l’animo mio, non mi trovo in stato di mettere la mia vita al giudicio (non dico dell’illustrissimo signor podestà, che se mille vite havessi tutte le confiderei all’ingenuità di quel signore), ma della sua Corte forestiera, vicario, giudice di maleficio et giudice dell’Aquila, ritrovandosi quelli signori, per quello ho veduto e potuto comprendere, molto appassionati et inclinati al danno e rovina della persona mia e delli miei beni.

Vedo che quella giustitia terminò che andassero tre medici per riconoscere il cadavere se vi fosse segni di violente morte, Aquapendente, Eugenio e Minadoi.

E se ben tutti tre andorono con la presentia del signor Treo, giudice del Maleficio, sentendo l’Aquapendente e Minadoi che non vedevono alcun segno di morte violente, levando questo lume alla giustitia e questo commodo a me poverino, procurò che fosse dalla Corte terminato non fussero tolti questi ditti nel processo, se ben erano stati mandati ex officio a offesa.

Il corpo di mia moglie, estratto della cassa, ove fu sepolto d’ordine d’esso signor giudice, fatta la visione da periti, fu lassato in descritione del popolo, così nudo, rubbatoli li drappi et la camisia insieme.

Et se dal Sindico del’Università dei scolari non era fatto ritornare nella sepoltura, quanto alla poca carità del giudice, era restato in abbandono.

Fu della persona mia dato ordine della retentione, inanti che fusse formato il processo. Fu subito bolato tutto il mio havere, così in Padova come a Cologna, et tutti li beni mobili (cosa che non si fa ne anco nel caso dei rebelli, aspettando d’ognuno la presentatione e la sententia confiscatoria).

E pure non potevo disponere delle mie possessioni e de beni stabili per molti miliara de ducati, sì che resto in maniera assediato per questi bolli e sequestri, che non ho pane da mangiare, non che modo di difendermi e sostenermi.

Volevano li sbirri vendermi li mobili in Cologna et il giudice all’incanto le robbe di Paodva, ma li fu posto impedimento. Non ha potuto il podestà di Cologna ottenire che li mobili che a Cologna si marcivano fossero desbolati, ma furono posti appresso terza persona con piezaria.

Non so per qual cagione mi trovi con questi svantaggi. E’ vero che esso signor giudice del Maleficio si mostrò inanti che succedesse questo caso della persona mia disgustato, perché come rettore havesse procurato la relassatione d’un scolaro detto Carlo da Navarra, onde proruppe in parole che deposte a tempo non potrano esser di gusto alla Serenità Vostra.

Si aggionge che l’eccelentissimo Vicario e giudice dell’Aquila sono visentini et tengono parentà col conte Carlo Poiana, che fu quello che diffamò appresso la giustitia la morte di mia moglie. Oltre che essendo fra scolari un’antiqua e perpetua nemistà et contrarietà fra la nation veronese, della quale io son come colognese, e la vesentina, sta sempre ognuno con gran rispetti a mettere la vita sua nelle mani altrui, oltre che come rettore e protettore de scolari ho potuto apportare senza mia colpa qualche disgusto a quella giustitia.

Perciò il negotio ove si tratta del stato mio è ripieno di passioni e di giusti sospetti. Ricorro ai piedi della Serenità Vostra riverentemente supplicandola che sì come ella vuole che li giudicii criminali siano inapellabili, così si degni, prese le debite informationi delle cose sudette dall’illustrissimi rettori di Padova e dell’illustrissimi signori Avogadori, ove mi è convenuto ricorrer per suffragio, forse con disgusto di quella giustitia, delegar detto mio caso a qual regimento di Terraferma che le pare et anco all’istesso officio dell’Avogaria, sicuro inanti a giudice libero da passione et in loco dove non temo di forza et insidie de fattione contraria da scolari, dar buon conto della innocentia mia. Gratie.

1599 adì 30 luglio

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