4.8.1. Il testamento di Biagio Saraceno (anno 1502)

Il testamento di Biagio Saraceno (successivamente chiamato il vecchio o seniore per distinguerlo dal nipote Biagio, il quale pure previde un fedecommesso nei propri beni) venne stabilito in Vicenza, nel palazzo dei Saraceno sito in contrà Carpagnon. Si tratta di un testamento nuncupativo redatto dal notaio Girolamo Massaria il 4 novembre 1502 alla presenza di ben sette testimoni “omnibus civibus et habitatoribus Vincentiae”. Colpito da grave malattia il Saraceno aveva ritenuto opportuno predisporre le sue ultime volontà.

Il testamento segue le consuete ritualità: dopo aver raccomandato la propria anima a Dio, Pietro Saraceno ordinò che il suo corpo dovesse essere sepolto nella chiesa cattedrale di Vicenza “in monumento per dictum d. testatorem costruendum”. Di seguito, come di consueto, stabilì una serie di legati. Alla moglie Caterina, figlia di Giovanni Piovene, civis Vincentiae, ordinava che fossero lasciati quattrocento ducati d’oro “pro dote dictae d. Catherinae quo ipse dominus testator confessus fuit recepisse partim a dicto domino quondam Ioanne de Plovenis, partim ab eius filiis”. Oltre la dote, lasciava inoltre a Caterina ducati sedici d’oro e quantità di cereali e di vino di cui venivano descritte analiticamente la tipologia e la qualità; e che dovevano esserle contribuite annualmente “toto tempore vitae”. In aggiunta Caterina doveva ricevere “unum lectum super quo dormire et requiescere solebat ipse d. testator, cum cultra sua et suo celono celesti sive azuri coloris et paribus duobus linteaminum bonorum pro eius usu”.

Biagio Saraceno ordinava inoltre che per tutto il corso della sua vita Caterina “possit habitare in domo magna ipsius testatoris in cubiculo sive camera quam elegerit absque aliqua solutione fictus domus”. Ribadiva che la moglie avrebbe goduto di tutto quanto egli aveva previsto, per il corso della sua vita. ma “vivente caste, honeste et in viduali statu”.

Altri legati, Biagio Saraceno previde pure per le due figlie Lucia, moglie di Pace Ragona, e Dorotea, moglie di Ludovico da Roma. Ad entrambe lasciava la dote già loro assegnata di mille ducati ciascuna. Ed entrambe avrebbero dovuto rimanere contente di quanto ricevuto “et nihil ultra petere et requirere posse de bonis et hereditatibus ipsius testatoris et matris”. Alla terza figlia Clara lasciava pure ducati mille per conto di dote, con le medesime condizioni previste per le sorelle già sposate. In caso avesse voluto monacarsi la dote prevista era di duecento ducati. Anche Clara, come le sorelle, non avrebbe potuto pretendere altro dei beni paterni e materni, che tutte ricevevano “ratione cuiuscumque sucessionis legiptime et iure nature debitae, falcidiae seu trebellianicae et generaliter quacumque alia ratione et causa tacita”.

Al figlio Paolo, frate dell’ordine dei predicatori, lasciava ducati vetiquattro e quantità di cereali e di vino, stabilendo che “nil ultra petere et requirere posse”.

Esecutori delle sue ultime volontà istituiva i Conservatori del Monte di pietà di Vicenza.

Il rimanente di tutti i suoi beni mobili ed immobili, di qualsiasi genere, presenti e futuri, Biagio Saraceno destinava ai due figli Pietro e Girolamo “legitimos et naturales et de legitimo et corporali matrimonio procreatos”. E dopo la loro morte substituit i loro figli maschi e discendenti maschi legittimi e naturali “per fideicommissum”. Se uno dei figli e i suoi discendenti fossero morti senza discendenti maschi “legiptimis et naturalibus”, i suoi beni avrebbero dovuto passare all’altro figlio e ai suoi discendenti maschi. In ogni caso alle figlie “si sorte extabunt” non sarebbe spettata che la dote “secundum vires facultatis et bonorum earum patris”.

Nel caso i figli o i loro discendenti fossero rimasti senza figli maschi legittimi e naturali, la sua eredità “deveniat in maiorem natu fmiliae Saracenae masculum sanae mentis et intellectus legiptimum et naturalem et de legiptimo et corporali matrimonio procreatum et procreandum, secularem et non ecclesiasticum qui sit et esse debeat usufructuarius toto tempore vitae dicti maioris natu et post eius mortem dicta hereditas deveniat in alium maiorem natu familiae Saracenae…et de maiore natu in maiorem natu familiae Saracenae…in infinitum et secularem ut supra. Inoltre il testatore aggiungeva che da tutte queste previsioni fossero esclusi i bastardi e gli incestuosi.In una diversa stesura del testamento (con la stessa data), ma con un’aggiunta a fianco in cui si precisava che il brano era stato tolto, Biagio Saraceno aveva previsto, nell’ipotesi dell’estinzione dei rami discendenti dai suoi due figli, che i beni passassero dapprima al fratello Giovan Pietro e ai suoi discendenti e poi, via via, agli altri colonnelli Saraceno, che indicava dettagliatamente. Nella stesura definitiva, approntata dal notaio, queste clausole, in cui il fedecommesso si estendeva a tutti i rami collaterali, venivano dunque eliminate per lasciar posto al cosiddetto maggiorato o maggiornato.