4.6.2. Con così ingiuriosa maniera: la vertenza di fronte agli Auditori Novi (1604)

Dopo la morte di Pietro Saraceno, gli avvocati di Euriemma ottennero da subito (l’11 dicembre 1603) pronuncia favorevole del vicario del podestà di Vicenza in merito alle cosiddette scritture che, come si sosteneva, erano state sottratte da Ludovica Saraceno Ghellini dal palazzo di Finale. Ludovica Ghellini si appellò agli Auditori Novi nel marzo 1604. Le scritture che seguono vennero presentate al tribunale veneziano nel luglio successivo. Anche se il contendere verte sulla presunta sottrazione dell’archivio Saraceno conservato nel Palazzo delle Trombe di Finale di Agugliaro, le scritture entrano anche su altre questioni come la contestata legittimità di Euriemma. Trattandosi di una causa tra congiunti gli Auditori il 27 luglio 1604 decretarono che essa venisse risolta dalla Quarantia Civil Nova.

Scrittura di Euriemma Saraceno:

Grandissima disaventura è stata quella di me Euriema figliola et herede del quondam magnifico signor Pietro Saraceno. che essendo per tale conosciuta, riputata et trattata dalla magnifica signora Ludovica Ghellina mia ameda, sorella del deto mio padre et da tutta la città, questa gentildonna sotto pretesto d’haver la mia protettiione et tutella con uno delli suoi generi, al tempo della morte del quondam mio padre, sia venuta a casa mia et con false promesse di diffendermi et proteggermi m’hanno levata dalla casa paterna et condutta in Vicenza nella casa detta la torre delli Ghellini, levando di detta mia casa tutte le scritture in sachi et sachetti et dopoi che sotto il mio nome ha fatto fare gli atti che si manifestano in processo per la conservatione del possesso che continua et deve continuare in me della heredità mia paterna, non li havendo riuscito il poter far mercantia della mia persona come dessignava con maritarmi ben come herede di mio padre con chi a lei tornava più a conto, ma con quelli avanzi che li pareva di poter fare in così opulente facultà lassatami da detto mio padre et habbia doppo voltato non solo ad insidiarmi la mia facoltà, ma l’honore della quondam magnifica mia madre che fu pur gentildonna di famiglia honoratissima e riccha di più di ventimila ducati di facultà et citandomi al giuditio ecclesiastico pretende hora contra di me far decchiarir non haver potuto esser contratto matrimonio fra detta mia madre et il detto quondam mio padre.

Et mentre debbo rihaver dalle sue mani le scritture della heredità paterna da lei levatemi di casa sotto pretesto di diffendermi, impugna così ingiuriosamente li miei natali, ardisce anci a contendere così giusta et debita restitutione dinanzi Vostre Signorie Illustrissime et Eccelentissime, che dovendo io conforme alla alla dispositione delle leggi esser conservata al possesso dell’heredità paterna, vien da questo eccelentissimo magistrato comesso che sia fatta la restitutione a me di dette mie scritture et havendo pensato di fomentar questi ingiustissimi pensieri si fece lecito dar a parte un processo al mio procurator di scritture composte et inventate et fatte capitar al foro ecclesiastico, quale havendo terminato Vostre Signorie Illustrissime che le debba presentar in offitio, né ha avuto ardimento di ciò fare, che pur è evidente segno che con manifesti et ingiuriosissimi suplanti pensava poner in difficultà il stato et possesso della mia legittima filiatione, nel qual dovendo io esser conservata deve la detta magnifica mia ameda restituirne le dette mie scritture levatemi con così manifesto inganno et prodicione, acciò che io mi possa diffendere dalle sue indidie, delle quali scritture se li par che che ne debbi esser fatto inventario prima che mi sian consignate, per scapriciarsi che io non li metterò difficultà. Intendendo che sian sempre salve le ragioni mie.

Né tolererà mai la giustitia che detta signora Lodovica con suoi generi, sotto protesto di parentella et carità et di volermi protegere, mi habbiano privata di dette mie scritture, le quali, quando havesse havute et che così insidiosamente e proditoriamente non mi fossero state levate mi rendo sicura che non le saria bastato l’animo promevermi le ingiuriose molestie che io provo hora, spogliata di esse, le quali così sì come sono notorie, sono anco così vere che detta mia ameda non ardirà negare in scrittura, perché in tal caso in quanto faci bisogno mi offerisco giustificarle, et non le negando protesto s’habbino per vere et comprobate, stante le quali non obstante la detta sua oblatione doverà seguir confirmatione delle lettere contentiose, il che le sia detto senza pregiuditio nel resto delle ragioni mie quomodocumque et qualitercumque et senza pregiuditio delle parti.

In una successiva scrittura Ludovica Ghellini ribatté sostenendo le sue ragioni ed osservando:

… Et se ben essi miei adversari et tutta la città di Vicenza sanno con quanta sincerità ho sempre tratato et lei signora Euriema et le altre due sue sorelle et con pietosa, (si può dir) materna carità protetto…

…et quanto alle scritture non mi sono restate altre scritture che un sachetto di scritture qual li signori miei fratelli Lunardo et Pietro, che bene conoscevano il candore et sincerità mia, per più d’anni vinti avanti la loro morte mi hanno sempre lassato in custodia, il che non hanno, né posso negar, ho presentato alla giustitia con oblatione anco di giurar di non haver altre scritture, né di haverne ascoso, né pur occultate et però doveriano moderar li loro non ben avveduti affetti et lassar che la giustitia decidi a qual di noi aspetta la heredità et il sentar in sede defonti che allora saranno date all’herede e successore…

La replica degli avvocati Euriemma sembra accusare i colpi dell’avversaria:

…insidiosamente nella scrttura ultimamente presentata vanno comparando la mia persona a due figliole che si dicono esser filiole naturali del quondam signor Pietro mio padre, nate d’una sua massara, le quali in casa del detto mio padre sono state sempre tenute come cameriere al servitio della persona mia, cosa che è così vera che detta signora Ludovica non ardirà negarlo, come non ha havuto ardire di negare che io sono stata sempre tenuta et trattata da deto mio padre come figliola legittima et naturale et che dovea esser sua herede…

Ribadendo inoltre che le scritture di suo padre erano state sottratte dai Saraceno, Euriemma presentò un capitolo:

Che il mese di decembrio prossimo passato, essendosi infermato il quondam magnifico dominus Pietro Saracino mio padre nella casa dominicale del Finale, per occasione della qual infirmità se ne morse, la detta magnifica signora Lodovica et alcuni de suoi generi si ridussero in detto loco et sotto pretesto di visitar detto quondam mio padre et di voler doppo la siua morte pigliare la mia protettione, subito che fu morto, sotto il detto pretesto di haver la protettione della persona et robba mia, mi levorno della sudetta mia casa paterna ove mi attrovava e mi condussero nella casa dell’habitatione di essa signora Ludovica in Vicenza chiamata la Torre di Ghellini, asportando seco tutte le scritture spettanti all’heredità di detto mio padre in sachi et sacchetti et come dalli testimoni sarà deposto.

Scrittura successiva di Ludovica Saraceno Ghellini

Sì come la signora Euriema non può far di manco di confessare di non poter havere l’assoluto dominio delle scritture, così non doveria trovar nove invenzioni per lontanarsi da quello che è di ragione et prende grandissimo errore quando credi con false et machinate introduzioni avantagiarsi appresso la giustitia, perché sì come non meritano le honoratissimie mie attioni, fatte sempre a servitio suo, come a tutta la città di Vicenza è ben noto, esser ricompensate da così fatte

sue detrattioni, più di una volta sparse nelle tal qual scritture date a nome suo da suoi intervenienti, contra la persona mia et contra miei generi che in questo non hanno alcun interesse, così non deverebbe produre capitoli delusori et pieni d’ogni artificio, sapendo lei che che son andata al Finale al tempo della morte di mio fratello, sono andata avvisata per messo a posta mandatomi da lei, per il quale mi dava conto del stato suo disperatissimo, per il che, aggravata da così fatta afflittione per la perdita di un solo carissimo fratello, se mi risolsi d’andare in questa occasione al Finale non credo che ciò sia stato atto reprensibile; et se essendo mancato il detto quondam mio fratello et vedendo essa essa signora Euriema, seben giovani di molto spirito et adulta d’anni trenta, restare in una casa in villa, situata in mezo d’una campagna, senza governo d’huomini, l’haverle offerto la mia casa in Vicenza invece di far qualche altra deliberazione a lei fosse dispiacevole, non vedo come habbia essa ardire di rimproverarmi di così fatta attione, havendola massime tenuta in casa mia onoratamente, non solo lei, ma le due sue sorelle da parte di padre, con sua madre, un regazzo et altri che dipendevano da essa, per il spatio di mesi quatro et più, dandoli un solaro di sopra della mia casa, spesandoli tutti del mio, senza niuno suo interesse o spesa, anziché essa restò allora sconsolatissima per esser venuta in casa di me Ludovica, carica di molti anni, senza governo d’huomini alcuno, restando lei sempre patrona della sua volontà, nella quale è stata sempre visitata liberamente dal signor conte Iseppo da Porto, dal signor Pauolo Emilio Saracino, dalli signori Loschi gentiluomini di molta autorità, parenti strettissimi della quondam signora sua madre, tal che l’haverla ricevuta in casa mia non è stato artificio, ma necessità sua et suo comodo.

Anziché lei volendo venir meco a Vicenza [1] , messe molte cose da me non osservate in quel ponto in una carozza che fece da suoi trovare, le quali furno traviate et messe nel sopradetto suo appartamento in casa mia, le quali tutte furno mandate a pigliare un giorno all’improviso che andò fuori di casa con la signora Bianca Loscha sua ameda et li furno cortesemente dalle mie done di casa lassate portar via in quel medesimo essere che erano state portate, nelle quali vi erano quantità di scritture et a me restò sollo il sachetello, il quale doppo l’essersi senza mia saputa mandata, ho voluto, per non pregiudicare alle mie ragioni et per mostrare la sincerità mia, volontariamente rappresentare alla giustitia nel modo come nella mia oblatione, registrata insieme con quel medesimo scrigno et chiave che già anni venti et più si ritrovava nella mia casa appresso di me nel quale vi sono tutte le mie scritture spettanti all’interesse della casa Saracina, acciò che stia il tutto in mano della giustitia fin tanto che sia deciso a chi di noi doi aspetta detta heredità del quondam mio fratello, intorno a che siano sempre salve le ragioni d’ambe le parti. Dove che si scopra l’artifitio di detta signora Euriema quando lei tace l’haver ricevuto indietro li suoi sachi, valise, cassella et tamburo piene di sue robbe et scritture, per tentar con queste vie indirette et cavilose quello che per gli termini di giustitia non si può in alcuna maniera sperare.

Et per compita sincerità et perché resti palese quello che lei con l’artificiosi suoi capitoli procura di celare alla giustitia, in quanto pari bisognosa di provar l’infrascritti capitoli:

Primo: Che la signora Euriema mandò a me Lodovica Ghellina dal Finale a Vicenza per messo a posta ad avisarmi del stato mortale del quondam signor Pietro Saracino mio fratello.

Secondo: Che subito il mese di decembrio in tempo di notte mi partii da Vicenza et andai al Finale con una carrozza accompagnata solamente ad una mia donna di casa et un putto mio nipote.

Terzo: che morto il quondam signor Pietro mio fratello la signora Euriema venne meco a Vicenza con due sue sorelle da parte di padre, la madre di dette putte et un ragazzo, per non star ivi sola senza homini in una casa in mezo una campagna.

Quarto: Che portò seco in una carrozza fatta trovar da lei, un forziero, valise, cassella, sachi pieni di robbe et scritture, il tutto portato in casa mia nelle sue stantie in un soller di sopra asporte.

Quinto: Che doppo esser stata in casa mia quatro mesi con due sorelle, la madre di esse et un ragazzo a mie spese andò fuori di casa un giorno con la signora Bianca Losca sua ameda et si mandò a tore tutte le robbe che portò seco dal Finale, cioè sachi, cassela, forciero, valise piene di robbe et scritture, le quali li furno lassate portar via tutte et che non restò altro che il sachetello con certi instromenti et scritture et è quello che è stato da me rappresentato nella cancellaria di Vicenza.

Sesto: Che la detta signora Euriema mentre è stata in casa mia è stata sempre liberamente visitata dal signor conte Iseppo da Porto, dal signor Paolo Emilio Saracini, dalli signori Loschi et altri suoi parenti, a quali li ha anco mostrate le scritture che erano in detti sachi, tamburo et cassella.

Settimo: Che il scrigno con le scritture che si ritrova dentro da me con le sue chiavi nella cancellaria presentato già quattro, sei, otto, dieci, venti et più anni è stato sempre con dette scritture in casa mia in Vicenza, chiamata la Torre dei Ghellini.

Scrittura di Euriemma Saraceno:

La magnifica signora Ludovica Saracina che chiaro conosce di non esser stato a lei lecito il levar a me Euriema figliola legitima et naturale, herede del quondam magnifico signor Pietro Saraceno, con così ingiuriosa maniera come ha fatto, le scritture che per la morte del detto quondam mio padre restorno et devono restare per giusta continuatione di possesso appresso di me et per non poter parimente contendermi la restitutione di esse, vuol diffender l’indebita rapresaglia et l’odioso scoglio da lei contra di me comesso, ha tentato nell’ultima sua scrittura, confessando esser vero quanto fu per me ultimamente proposto, de iscolpar se stessa et l’error suo et diminuirne la colpa, minuendo con sue parole la quantità delle scritture da lei ingiustamente usurpate.

Ma sicome non può haver luogho la sua tal qual capitulatione per impedire che a me non faci attualmente la intiera restitutione di tutte esse scritture, così per levarli ogni finto gravame et mostrar con quanta realtà voglio prociedere: et io mi lascio intender, aggiongendo alla precedente mia oblatione, che dalla confirmatione che seguirà a favor mio delle lettere per me impetrate, non intendo conseguir altro beneficio se non che da detta signora Lodovica mi siano restituite tutte quelle scritture che lei mi ha ingiustamente levate et tratenute, contentandomi che tal restitutione mi sia fatta con giuramento di non haverne trattenuto et di non esser da lei o da altri adherenti suoi stata occultata alcuna quantità di scritture etiam minima, oltre quelle che mi restituirà, de quali anco possa et debba esser fatto inventario, acciò si vegga in ogni occasione quali et quante scritture mi saranno da sua signoria state restituite.

Il che adempito, restar debbano salve le ragioni de ambe noi parti, sopra li giuditii pendenti per l’appellationi dell’una et l’altra di noi parti.


[1] Si intende nel giorno in cui partirono da Finale, dopo la morte del padre di Euriemma.