2.1 Caterina Corradazzo: rappresentazioni di un conflitto nella prima metà del Cinquecento

La vicenda che ha come protagonista Caterina Corradazzo è tratta da un processo istruito presso la Curia Patriarcale di Udine nel quarto decennio del Cinquecento. L’originale probabilmente non esiste più e ci si è avvalsi della trascrizione che ne fece Giovanni Gortani di Tolmezzo alla fine dell’Ottocento. In realtà non si dispone né della parte iniziale del processo (querela, citazione delle parti e relativa presentazione dei rispettivi punti di argomentazione giuridica), né della sentenza. Dalle testimonianze escusse dal cancelliere patriarcale è comunque possibile desumere i capitoli (punti argomentativi) delle due parti e, in una certa misura, pure avanzare qualche ipotesi sulla possibile sentenza.

Nonostante si abbia a che fare con un processo, noi non disponiamo effettivamente delle pratiche specifiche inerenti l’oggetto del contendere e cioè di atti di doti o di testamenti, oppure, ancora, di sentenze pronunciate in materia successoria inerente casi simili. Le testimonianze escusse dal cancelliere erano incentrate sui capitoli evidentemente preparati dagli avvocati delle due parti. E gli stessi testimoni erano proposti dalle stesse parti per avvalorare il contenuto di ciascun capitolo. Ci troviamo dunque, più precisamente, di fronte a rappresentazioni che rinviano ad un possibile discorso (norme esistenti o consuetudini) in materia successoria. Si può inoltre aggiungere che tali rappresentazioni risentono fortemente dell’impostazioe culturale di coloro che formularono i rispettivi capitoli (e cioè di avvocati di formazione romanistica). Anche se, va aggiunto, gli stessi capitoli vennero reinterpretati dai numerosi testimoni che furono chiamati a dire la loro. C’è dunque una forma di rappresentazione che possiamo definire secondaria, data dagli stessi testimoni, che in tal modo riproducevano sia i loro parametri culturali che, più prosaicamente, l’interesse della parte che li aveva sollecitati ad intervenire nel conflitto. Se l’oggetto del contendere è dato indubbiamente dal patrimonio appartenuto al padre di Caterina, la discussione verte comunque su due rilevanti questioni: se una figlia, in assenza di fratelli, potesse succedere ai beni del padre, escludendo eventuali collaterali; e, poi, se la dote assegnata ad una donna equivalesse sostanzialmente alla sua quota di legittima. Così come queste due questioni vengono inglobate nell’ambito di un problema di dimensione più generale: a Forni di Sopra erano applicate le consuetudini locali, oppure le Costituzioni della Patria del Fiuli? Ed inoltre, che cosa erano veramente le consuetudini? Mentre le Costituzioni della Patria del Friuli erano espressione di quel sapere giuridico di origine romanistica, dal timbro dotto e giurisprudenziale (interpretato cioé dai giuristi), le consuetudini si caratterizzavano eminentemente per la loro oralità e per l’innato pluralismo. Dalla vicenda emerge, più complessivamente, il diaframma culturale e giuridico che divideva il mondo consuetudinario, contrassegnato dall’innata vocazione all’oralità e al pragmatismo, da quello dotto, più spicatamente cittadino, caratterizzato dalla cultura scritta e da parametri interpretativi e classificatori tendenzialmente astratti e impostati secondo un ragionamento giuridico i cui criteri tendevano a distinguere il fatto sociale da quello definibile più specificamente giuridico.