13.4 Il tutore (parte seconda)

Ritrovandosi in casa mia e sotto governo e tutela di me Antonio Metello, fattore del magnifico messer Piero Capello fu del clarissimo messer Filippo e fidelissimo servitore di Vostra Serenità (Serenissimo Principe, Illustrissima Signoria) doe mie cognate, sorelle di mia moglie, giovani donzelle, figliole del quondam Iulio dii Donà da Galliera, l’una per nome Hieronima, l’altra Marietta, et essendo io già mesi per maritarle, anci havendo d’ambedoe conchiuso il matrimonio, mi furono insolentemente, al tempo di notte, rapite e levate di casa da alcuni scelerati dii Donà da Galliera.

Quali vennero sotto spetie d’amici e parenti et otto giorni dopoi, tenutele come prigionate, condussero la Hieronima per forza, ligata a cavallo, a Bassano, a casa d’un Nicolò Forzanino, qual insieme con Battista suo figliolo, non inferior al padre di tristezze et sceleragini, havean menata la trama con li Donà del commesso rapto.

Et qui la povera figliola semplice restò assasinata da essi raptori et dal detto Battista stuprata e vergognata.

Il qual poi, accortosi del gravissimo suo delitto, pensandosi d’emendarlo, se l’ha trattenuta et al dì d’oggi se la ritien sotto nome di soa moglie et pur egli, e tutto quel paese, sapeva che io, governator e tutore, già havevo con un altro concluso canonicamente il matrimonio.

L’altra minore, che era dalli raptori stà chiusa sopra un solaro sotto chiave, mentre conducevano la sorella a Bassano se ne fuggì dalle empie mani loro, aiuttata dalla maestà d’Iddio, e ritornò a casa mia e soa. Ma poco gli stette, perchè sulla strada publica me la tornorno a rapire e se non fuggivo mi amazzavano.

A talchè, vedendomi allor in simil guisa tirannegiato et offeso, comparsi ai piedi di Vostra Serenità et humilmente dimandai delegatione di questi rapti e di tutte li altri casi in essa supplicatione contenuti, contra le persone solamente delli sopradetti raptori.

E così Vostra Serenità la fece, partibus auditis, al clarissimo signor podestà di Padoa con la soa sapientissima corte.

Qual, havendo proceduto per i termini di giustitia et essendosi questi apresentati nelle soe forze e fatte le loro difese, usando più presto clementia che giustitia condegna a demeriti tali, li ha condannati solamente alla galea e dopoi al bando a tempo.

Or resta di veder giustitia compita contra li altri complici e delinquenti, che non sono stà castigati, contra dei quali ad esso clarissimo podestà non è parso di poter procedere sanza nova delegatione, per non esser statti nell’altra compresi, che sono li prefati Forzanini, padre et figliolo.

Quali, non contenti d’esser statti authori e promotori dell’iniquissimo rapto e d’haversi con abominevoli arti fatta condur sin nel proprio letto, come di sopra sforzata, una d’esse figliole, a piacer delli brutti appetiti d’esso Battista, sono poi statti anco così arditi e temerari che in delubrio d’ogni leggi et ordeni, iactabondi del suo mal oprare, gli è bastato l’animo al padre, sotto nome di suocero, al figlio di marito, andar e mandar imperiosamente non solo nei miei campi et in quelli di esse putte che io godevo come tutore, ma di più anco in quelli del prefato magnifico messer Capello, padrone, lavorati da me come suo massaro et lavoradore.

Et tutti li frutti et raccolte d’essi far tuor et condurseli a casa come sui, sanza pur dar almeno la parte al magnifico padrone delli suoi (cose stomacose et che proverebbono nausea e sdegno nell’inferno).

Ma che possi io più dir di peggio se questo Nicolò Forzanino, con ascenso del figliolo m’è venuto sino alla casa, manu armata, accompagnato dalli sodetti raptori e da un Lelio Bertone, nodaro da Cittadella suo confederato e parente dei suoi consultori, et per forza, con stanghe gettatami zoso la porta, sono entratti in casa ove era sola la meschina di mia moglie con trei miei figliolini et qui condotto seco ancor un offitiale da Cittadella per scudo delle soe insolentie, con minaccie et spaventi, detto Lelio, a contemplatione delli sopranominati, fece come nodaro inventario di tutti li mobeli che mi trovavo in casa, quantonchè a lui fosse vietato il puoterlo fare, anco de plano et mandato iudicis, per spetiale decreto di Vostra Serenità. Dal che si vede manifestamente le colpe et il mal proposito d’esso Lelio.

Et essendomegli io a caso imbattuto, volendo dolermi d’una tale prosontuosa insolentia et chiamar ad essa testimoni, fui dal detto Nicolò et dalli sodetti suoi confederati, d’altro che di parole mal trattato, onde io hebbi di gratia a lassarli far ciò che volsero et stargli con la beretta in mano a chiederli, di sì grave et enorme offesa. apresso perdono.

Et così, dopo fatto inventario dei mobeli, mi tuolse poi tutte le scritture, fra quali mi ritrovavo haver alcuni libri da conti del magnifico mio padrone sodetto; e tutti a reffuso posti in un sacco, me li portorno via per forza, talchè io fui astretto consentir che fossero depositati et consegnati ad una terza persona, per non lassarli disperder e così li ridussi poi in mano della giustitia.

Non contenti quelli Forzanini de tutto ciò, perseverando di mal in peggio obcecati dal diavolo o dalla loro natural perversità, in tempo che io son statto a Padova drio al caso delegato contra li Donadi, sono andatti a Galliera, a casa mia, e qua con minaccie et inganni hanno sforzata e sedutta la povera di mia moglie a far division e dargli la parte di ciò che havevo in casa.

E tutto s’hanno tirato, come si suol dir, nei suoi beni, operando ogni cosa sotto il nome dell’infelice Hieronima mia cognata, condotta come di sopra, uti victima ad altare.

Onde io son restato a questo modo privo espogliato di quasi tutta la mia sostanza.

Nè legge, nè statuto, nè ragion alcuna è stà usata a spogliarmi, ma tutto è statto ardir sfrennato, prosontion temeraria e tirannica, insolentia, come se fosseno tra mori e genti barbare et non sotto questo regulatissimo e felicissimo stato.

Questi, Serenissimo Principe, sono casi et eccessi troppo enormi e crudeli, ai quali, se la Serenità Vostra con la soa tremenda mano non provede, non sarà più alcuno sotto il suo tranquillo stato chi si possa tenir sicuro da simil sorte d’huomeni perversi e scelerati.

Sichè, se li Donadi raptori et ministri delle commisisoni et comandi delli Forzanini, hanno meritato castigo et in parte ricevutolo, che vogliam dire qual debba esser quello di questi Forzanini e di Lelio Bertoni, che sono statti origine e causa d’ogni mal et seditione?

Pertanto, humilmente supplico la Sublimità Vostra, per conservacione della libertà, qual deve esser illesa, et a sollevatione delle tante miserie et oppressioni, voglia degnarsi d’abbracciar li sodetti eccessi, commessi per li prefati Forzanini et Bertoni e tutti li altri che si trovavano complici di cischuno o di parte di essi et sottometterli al severissimo castigo della giustitia di questa inclita città, come delitti che meritano essemplar dimostratione, a tenore e spavento delli altri, altramente s’andarà, massime in questi nostri paesi di Cittadella, di mal in peggio, operando con scandalo e sedition delli populi e con dispiacer poi infinito di Vostra Serenità, dall’innata benignità della quale spero esser essaudito, venuta che le sia informatione dal clarissimo signor podestà di Padoa di quanto ho sopra narrato.

Et alla sua bona gratia genuflexo mi raccomando.

1565 21 zenaro

Che alla soprascritta supplicatione respondi il potestà di Padova…