11.1.3. Un caso di matrimonio clandestino (1793)

Il matrimonio clandestino

Con la seguente scrittura, [1] estremamente sintetica, Franceschi risponde in relazione ad uno dei requisiti essenziali per la validità del matrimonio clandestino: la presenza del parroco o di un sacerdote appositamente delegato, la cui funzione era evidentemente di verificare le fedi di libertà dei contraenti. La situazione è molto chiara e per il consultore non sono necessarie lunghe spiegazioni: questo matrimonio è nullo, sta ora alla decisione del tribunale prendere le misure atte a punire gli attori ed a tutelare le disposizioni della Chiesa e dello Stato.

La presenza del parroco

“Serenissimo Principe

Ill.mi ed ecc.mi sig.ri Capi dell’eccelso Consiglio di Dieci

1793 9 decembre

Due leggi di questo eccelso Consiglio prescrivono la perfetta osservanza del sacro Concilio di Trento per la forma canonica di celebrare il sacramento del matrimonio. La prima 29 agosto 1577 commette al Magistrato ecc.mo contro la Biastema di formar diligente processo e condannar li contraffattori. La seconda del susseguente anno 1578 15 gennaro estende la legge medesima a tutto lo stato con le stesse commissioni alli rettori delle rispettive città.

Ora sopra il caso partecipato a questo eccelso tribunale dal padre Lodovico Gallo, superiore dei padri Minimi di questa Dominante città, è manifesta la contravvenzione commessa dalle cinque persone a lui sconosciute cioè tre uomini e due donne, che entrate in Chiesa e due di loro avvicinati all’altare nell’atto che il medesimo sul fine della santa messa era per dare la benedizione al popolo, la donna gridò: questo è mio marito, e l’altro: questa è mia moglie, dopo di che presa una barca passarono alla locanda della Imperatrice di Moscovia a San Luca. Senza l’intervento del parroco o di sacerdote specialmente delegato, ogni matrimonio è clandestino ed è nullo, come sarebbe anche il presente.

Rassegnata la disposizione delle leggi e le circostanze del caso, è riposto nell’arbitrio di VV.EE. il prendere le misure così per l’inquisizione, come per il castigo, che tutelino le ragioni della religione e la disciplina comandata dal principato. Grazie”.


[1] ASVe, Consultori, f. 288, 9 dicembre 1793